L’autonomia non è libertà dalla norma
Dedalus - 18-03-2005
A proposito del dibattito sulle prove Invalsi e dintorni

Com’è noto, uno degli effetti della riforma Moratti è di aver dato vita ad un’ampia opposizione da parte di insegnanti, genitori, sindacati e associazioni contro lo stravolgimento dei modelli esistenti (il modulo e il tempo pieno nella scuola elementare) e in difesa della scuola pubblica. Ci sembra però che accanto a forme di “resistenza” legittime, fondate su motivazioni di carattere pedagogico e sociale ma anche su solidi presupposti giuridici (il riferimento al Regolamento sull’autonomia in primis), emergano anche posizioni più estreme, connotate da una netta propensione a sottovalutare o a disconoscere il valore delle norme e delle disposizioni di legge. E’ un fenomeno che merita qualche riflessione perché rimanda ad alcune “questioni di metodo” tutt’altro che secondarie, sulle quali è bene avere la massima chiarezza.

A leggere certi interventi o certe “proposte di delibera”, per i toni usati e i contenuti impliciti, si ha l’impressione che qualcuno consideri i collegi docenti come organismi sovrani e indipendenti o addirittura forme di “contropotere”, scambiando forse l’autonomia delle scuole con l’autarchia o con l’anarchia. Come se una delibera di un Collegio fosse atto in sé compiuto, sufficiente per sottrarsi al rispetto delle norme (Leggi, decreti o circolari ministeriali che siano, fatte ovviamente le debite proporzioni).
E’ il caso forse di ricordare che esistono ambiti di competenza ben distinti, che esiste una gerarchia delle norme legislative e che il rispetto della norma, in uno Stato di diritto e in una democrazia è questione essenziale. Autonomia non vuol dire che ciascun istituto o ciascun collegio è libero di fare quello che vuole. Non è autodeterminazione. Affatto. Il DPR 275 del 1999 a questo proposito è molto chiaro, definendo con una certa precisione i contenuti e i contorni dell’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole, gli ambiti di decisione dei Collegi e le materie che sono e restano di competenza esclusiva del ministero, valide su tutto il territorio nazionale (cfr: Federico Niccoli “In difesa dell’autonomia delle istituzioni scolastiche” ).

Sarebbe davvero paradossale criticare da un lato il governo di centrodestra di avere scarso senso dello stato e della legalità, di voler stravolgere le regole del gioco, di voler manomettere la Costituzione eccetera eccetera e poi riproporre dall’altro, all’opposizione e a sinistra, la stessa logica, la stessa forma mentis, nell’ambito della scuola.

Un’altra distorsione della realtà, una leggenda metropolitana è quella che dipinge i dirigenti scolastici come i “cani da guardia” del Miur, funzionari governativi ansiosi di applicare le disposizioni in maniera autoritaria e burocratica, e i docenti come soggetti sottoposti a soprusi e forme di strapotere. Nulla di meno corrispondente al vero. Non c’è dubbio che sta al dirigente scolastico - in quanto rappresentante dell’istituzione autonoma e funzionario della Repubblica (non del governo in carica!) - far rispettare e applicare correttamente la normativa, esercitando in questo un ruolo di garanzia (anche nei confronti dell’utenza e degli stessi insegnanti, in una scuola pubblica e di Stato). Ma le norme non sono un optional, valgono tanto per il dirigente quanto per il docente: non hanno due pesi e due misure differenti. “La legge è uguale per tutti”, come sta scritto nelle aule dei tribunali.

Prendiamo due questioni, diverse, come esempi-tipo.

Sulla questione del tutor molti Collegi (e molti dirigenti scolastici) si sono inseriti correttamente tra le pieghe della normativa, utilizzando margini interpretativi e spazi di manovra che le stesse norme consentivano. Ad es. il richiamo (appropriato in questo caso) al regolamento sull’autonomia che prevede che è competenza dei collegi ragionare e disporre sulle modalità di impiego dei docenti. Oppure il fatto che il contratto di lavoro non prevede attualmente l’articolazione di una diversa “figura docente”, non contemplata tra l’altro neppure dalla legge delega 53/2003. Hanno scelto quindi in molti casi la via delle “funzioni tutoriali diffuse” (si riconosce cioè l’importanza di funzioni quali la guida, l’orientamento, la cura delle relazioni con le famiglie, ecc. ma non si vede perché – nell’attuale contesto normativo e contrattuale - accentrare tali funzioni su un solo docente, con un “incarico” specifico).

Nel caso delle prove Invalsi si assiste invece ad una opposizione preconcetta, largamente infondata. In questo caso infatti le norme parlano chiaro: il DPR 275/99 prevede “la verifica del raggiungimento degli obiettivi di apprendimento e degli standard di qualità del servizio” quale atto di competenza del ministero al quale demanda modalità e tempi. La legge di riforma 53/2003, all’art.3 comma b prevede che “ai fini del progressivo miglioramento e dell'armonizzazione della qualità del sistema di istruzione e di formazione, l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione effettua verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative; in funzione dei predetti compiti vengono rideterminate le funzioni e la struttura del predetto Istituto”. Il Miur riordina il preesistente servizio, l’Invalsi (D.Lgs. n.286/2004) che a sua volta aveva preso il posto del Cede nel 1999 e che a questo scopo era stato istituito, avendo fra i propri compiti o ”priorità strategiche cui dovrà attenersi” la valutazione degli apprendimenti (Direttiva n.56/2004).

Ora l’Invalsi ha fatto, in buona sostanza, il suo mestiere (vedremo, semmai, se bene o male, ma questo era il suo compito). Non si vede francamente che senso ha un rifiuto aprioristico alla somministrazione di prove di verifica estesa a livello nazionale,.
Affermazioni del tipo “No all'Invalsi. Nessun quiz alle nostre alunne e ai nostri alunni “ oppure “Le prove non sono obbligatorie” ci sembrano francamente eccessive, fuori luogo e fuori misura. C’è qualche arbitrarietà o illegittimità in tutto questo? Ci sembra di no, perché non vi è stato alcuno sconfinamento in campi non ammessi dalla legge. Si può e si deve discutere sulla validità di questa operazione, sui suoi limiti, sull’affidabilità delle prove e degli stessi risultati, ma non si può disconoscerne la legittimità. E in ogni caso, in via generale, il giudizio di legittimità o meno delle norme non spetta né ai collegi docenti né ai dirigenti scolastici, spetta semmai agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa o alla corte costituzionale, come prevede la nostra Costituzione.

In questo senso, in tema di diritto, atteggiamenti superficiali o lassisti sono preoccupanti e “pericolosi”. Il rispetto delle norme, il “valore” della legalità (non vorremmo scomodare a questo proposito insigni maestri quali Norberto Bobbio, Scalfaro o Saverio Borrelli) in una democrazia è una questione fondamentale, irrinunciabile. Specie poi nella scuola pubblica e tra chi ha un ruolo importante nell’educazione delle giovani generazioni. Il Miur semmai va attaccato proprio su questo: quando emana circolari o direttive illegittime (per eccesso di delega, eccesso di potere o altro) non quando applica le leggi con disposizioni attuative conseguenti.

Certo, le leggi possono non piacere (anche la legge 53/2003 non ci piace affatto!) ma allora occorre lavorare per cambiarle con una diversa maggioranza parlamentare, più rappresentativa e in sintonia con la società civile e la cittadinanza. In democrazia non vi sono scorciatoie!

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 Patrizia    - 20-03-2005
Le decisioni dei governi potrebbero rispecchiare solo i desideri della maggioranza.
La scuola dell’autonomia intende rispettare anche le aspettative delle minoranze.