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Quelle due donne disperate nei video la nostra impotenza
Repubblica - 02-03-2005
I volti della Aubenas e della Sgrena sono il simbolo della violenza cieca che sta infuriando in Iraq


di BERNARDO VALLI


Dopo il volto disperato, inondato di lacrime, di Giuliana Sgrena, dalle tenebre irachene è emerso ieri anche il volto scavato, implorante, di Florence Aubenas. Della giornalista francese non si avevano più tracce dal 5 gennaio, giorno in cui era scomparsa in un quartiere centrale di Bagdad, insieme alla sua guida, Hussein Hanoun Al Saadi. Era come se fosse stata inghiottita dalla folla che, nonostante le esplosioni quotidiane, gli scontri armati, i rapimenti, continua a riempire imperterrita e compatta strade e piazze della metropoli di sei milioni di abitanti, dall'alba al tramonto, quando al traffico infernale succede infine, all'improvviso, il deserto, e porte e finestre si chiudono, lasciando la notte ai fantasmi. Alle pattuglie blindate americane, a quelle motorizzate o appiedate irachene, ai guerriglieri e ai terroristi, che i comunicati dell'ambasciata Usa chiamano genericamente "insorti".

Per quasi due mesi il buio più completo ha avvolto la sorte di Florence Aubenas. Uccisa? Prigioniera? E se rapita, da chi? Delinquenti comuni alla ricerca di un riscatto? Islamisti? Saddamisti? Uomini di Zarqawi, il capo locale di Al Qaeda, che sgozza i prigionieri, uomini o donne? Niente.

Nessuna notizia di Florence, una cronista abituata alle zone calde, Algeria, Bosnia, Afghanistan, descritta dai suoi colleghi di Libération come una donna decisa, a volte brusca nei modi, con lo sguardo franco, e il discorso altrettanto diretto. Una bella faccia. Quarantaquattro anni portati bene. Béatrice, una sua amica, quasi sorella, in quei giorni di angosciante silenzio mi ha detto: "Sono sicura che sa tenere al loro posto i rapitori".

I due mesi di cattività hanno scavato la faccia della brava, forte Florence, riemersa ieri in un video, di cui la tv francese ha trasmesso soltanto un fotogramma, ritenendo non dignitoso mostrare un ostaggio in un atteggiamento imposto, supplicante, che lo priva della sua dignità. La giornalista è dunque viva. In cattiva salute e psicologicamente ferita, come essa stessa ha detto nella breve dichiarazione consentitale dai carcerieri, ma in vita. Quando due settimane fa, il 16 febbraio, Giuliana Sgrena, l'inviata del Manifesto, comparve in un drammatico video, si fecero inevitabili calcoli e si arrivò all'allarmante conclusione che il buio sulla sorte di Florence Aubemas era ormai tragico. Giuliana era stata rapita il 4 febbraio e già i rapitori la mostravano, imponendole di recitare un messaggio politico, in cui chiedeva il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq e dichiarava la sua opposizione alla guerra.
Invece, dopo più di quaranta giorni, non c'erano notizie di Florence. Come non pensare al peggio?

Ed ecco che con un intervallo di due settimane anche la reporter francese infine riemerge. Sconvolta, scarmigliata, affilata, ma viva. Con nello sguardo forti tracce di sgomento. Ma in cui ho l'impressione non si sia spento del tutto quel guizzo che faceva dire, ancora giorni fa, alla sua amica Béatrice: "Vedrai che li sa tenere al loro posto".

Giuliana e di Florence, prigioniere di carcerieri per ora senza un'identità precisa, ci ricordano la nostra impotenza di fronte alla mischia irachena, in cui sono impigliate coscienze occidentali e orientali, in un groviglio impastato di odio, collera e violenza. Gli ostaggi, è bene rammentarlo, hanno tutti diritto alla nostra solidarietà incondizionata, indipendentemente dalle loro idee. Ma il fatto che Giuliana Sgrena e Florence Aubenas fossero e siano contrarie alla guerra ci aiuta a sottolineare quanto sia cieca la furia, oggi, in quella terra di antichissima storia. Il peggiore, il più incivile dei modi per affrontare il prossimo e quello di giudicarlo per quel che è e non per quel che fa. Quindi per i rapitori le due reporter incarnano (probabilmente) l'"Occidente".

L'avverbio "probabilmente" è di rigore. Obbligatorio.
Ignoriamo infatti l'identità dei rapitori di Florence. Come del resto non conosciamo con esattezza quella dei rapitori di Giuliana. Non sono tuttavia gli stessi, se si giudica dai video in cui le due donne sono apparse. Quello dell'inviata del Manifesto era politico. Vi si chiedeva il ritiro delle truppe dall'Iraq e vi si esprimeva l'opposizione alla guerra. In quello dell'inviata di Libération non c'è nulla di tutto questo. Florence annuncia in inglese la propria identità e chiede aiuto, perché malata anche psicologicamente.
Nient'altro. Pochi secondi. Non c'è nessuna dichiarazione politica. Nessuna richiesta. Nessuna domanda di denaro. Né appare il simbolo o il nome di un'organizzazione. Né una data. Il video ha un solo apparente obiettivo: mostrare che Florence è in vita. In cattive condizioni ma viva. Perché? Forse i rapitori vogliono farla vedere a coloro che devono pagare il riscatto. Ai servizi speciali francesi con i quali sono indirettamente in contatto? Può darsi.

Ma è proprio questo che vogliono i rapitori? Nel dramma si inserisce un giallo, con un dettaglio che dà alla vicenda un accento politico, curiosamente più francese che iracheno. Nella sua supplica Florence Aubemas lancia un sorprendente appello al deputato neogollista Didier Julia. "Per favore Monsieur Julia mi aiuti. È urgente, mi aiuti". Florence non si rivolge al presidente Chirac, al primo ministro Raffarin, al suo direttore Serge July, ma a un parlamentare dell'Upm, il partito di centro destra al governo A Didier Julia, appunto, un politico che vanta (o millanta) buoni e frequenti contatti mediorientali. L'Iraq di un tempo, quello di Saddam, e la Siria attuale, di Assad. Ma diffidato dal prendere iniziative in quella regione, dopo il suo inquietante intervento in una precedente vicenda di ostaggi, sempre in Iraq. Quella dei giornalisti Christian Chesnot e Georges Malbrunot, liberati in dicembre dopo quattro mesi di prigionia. In quell'occasione Julia fu accusato di avere compromesso il rilascio dei due reporter, di averlo comunque ritardato, e per questo fu sottoposto a un'inchiesta (insieme a due suoi collaboratori) e invitato dal capo del suo gruppo parlamentare a non impegnarsi in altre imprese del genere.

Perché dunque quella supplica di Florence rivolta al deputato neogollista di non chiara fama? A suggerirgli il nome sono stati senz'altro i suoi rapitori. A che scopo? Per dare l'occasione a Didier Julia di riabilitarsi liberando infine un ostaggio dopo la precedente figuraccia? C'è un risvolto politico parigino nel dramma iracheno? Tante sono le ipotesi al vaglio dell'intelligence francese. La quale cerca di dare al più presto una data al video di Florence. Anzi ai due video in cui compare la giornalista. Nel frattempo, infatti, ed è un'altra sorpresa, si è saputo che un primo film era stato mostrato martedì alla famiglia per rassicurarla sulla sorte di Florence. Un film tenuto segreto. Perché? Comunque in quel primo film (ma non si sa se girato in un giorno precedente a quello reso pubblico) la brava giornalista francese non chiedeva aiuto all'inquietante onorevole Julia.


2 marzo 2005

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 dal Manifesto    - 03-03-2005
Affari privati

Il nostro dissenso con Sergio Romano è radicale. A proposito del rapimento di Giuliana Sgrena, sul Corsera di ieri ha scritto: «Credo che occorrerebbe fare il contrario di ciò che è stato fatto in Italia dopo il rapimento di Giuliana Sgrena. Le manifestazioni, le veglie, il coro delle dichiarazioni politiche, degli interventi personali del presidente della Repubblica e il commovente incontro del capo dello Stato con i genitori della giornalista hanno dimostrato ai rapitori che avevano scelto bene la loro vittima». A voler rispondere al modo di quel che in giornalismo si chiama corsivo, dovremmo scrivere: «Bravo Romano, tu solo sei il Machiavelli della situazione».

Noi del manifesto non abbiamo avuto la dignità di trattenere la nostra preoccupazione per una compagna di lavoro rapita; le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato il 19 febbraio a Roma erano utili idioti che facevano il gioco dei rapitori; il presidente della Repubblica un povero vecchio che, per senile emozione, abbracciava i genitori di Giuliana. Tutti poveri idioti salvo lui che con un machiavellismo da quattro soldi ha preteso di insegnarci la via giusta: far finta di niente. Un far finta di niente che nemmeno il defunto Stalin sarebbe riuscito a imporre al manifesto e agli italiani. E mi viene da aggiungere che «congelare il patrimonio della famiglia colpita», cioè quello dei genitori e di Pier Scolari, non sarebbe stata la misura che avrebbe fermato i sequestratori.

E' ovvio - non bisogna essere ambasciatori per capirlo - che quello di Giuliana Sgrena sia un sequestro politico e che con la politica occorre rispondere. E' certo che la manifestazione del 19 febbraio a Roma è stata vista con soddisfazione dai rapitori, ma anche con la coscienza di stare facendo qualcosa contro se stessi e contro l'Iraq, in nome del quale dicono di agire. E questo ancora dicono la mobilitazione degli imam e dei sacerdoti della chiesa cattolica. Sia pure nel caos che attualmente domina nell'Iraq (chi lo governa? E che potere ha l'ambasciata Usa forte delle truppe e di duemila agenti della Cia?) tutte le questioni, compreso il rapimento di Giuliana e Florence, hanno una portata politica, di una politica difficile da individuare e districare, ma assolutamente politica. Ed è proprio per questo - e non solo per il legame forte che ci unisce a Giuliana - che abbiamo fatto e faremo tutto il possibile per leggere politicamente i sequestri, soprattutto dei giornalisti (non c'è proprio nulla di corporativo, come malamente insinua Romano). I giornalisti sono l'informazione e nel caso di Giuliana una informazione schierata per la pace, per l'avvenire di un Iraq libero da occupazioni straniere, per una possibilità di pace nel medio oriente, che sembra prossimo a diventare la polveriera del nostro mondo.

Il rapimento di Giuliana, inviata del manifesto, e di Florence, inviata di Liberation (ieri abbiamo visto in video le immagini drammatiche del suo messaggio) non possono essere, nel contesto iracheno, affari di delinquenza privata: chiedono - come abbiamo fatto e continuiamo a tentare di fare - una risposta politica. E' difficile capire perché uno come Sergio Romano voglia ridurre il tutto a un affare privato.


VALENTINO PARLATO