Dalla Spagna a Torino
Grazia Perrone - 10-01-2005
(...) Il funerale di Piero Ferrero segretario provinciale della FIOM di Torino era presto, alle otto. E allora ci troviamo lì, al cimitero, eravamo cinque uomini, undici donne, compresa mia moglie. Ecco, io ho poi commentato in certe interviste, con più di ventimila organizzati dalla FIOM, non c'era un rappresentante della FIOM. (...)" Eccolo l'effetto del terrore fascista.(Maurizio Garino)


Nella testimonianza di Maurizio Garino, uno dei fondatori, introdotta e redatta da Marco Revelli, [1] l'affascinante (e sconosciuta ai più) storia della Scuola Moderna di Torino, nella prima e seconda decade del secolo scorso. Una scuola ideata, progettata e realizzata - sulla falsariga di quella fondata da Francisco Ferrer in Spagna - da operai anarchici e socialisti che sceglievano liberamente la loro cultura senza condizionamento alcuno e che fu spazzata via, nel 1922, dalla violenza fascista. La scuola libera - è questo, in ultima analisi, il succo del pensiero pedagogico della Escuela Moderna di Francisco Ferrer - farà degli uomini liberi, delle coscienze adamantine, degli atleti del pensiero e dell'azione, mentre invece la scuola dogmatica, serva dei pregiudizi e dei privilegi, non ci può dare che degli ipocriti, dei deboli, dei servi, dei codardi, dei ciurmatori della politica e dei mistificatori del giusto e del vero. Nella scuola - scrive Ferrer - si deve al bambino, al giovinetto, all'adulto insegnare a leggere, a scrivere, ad osservare e studiare i fenomeni della natura, delle cose e degli uomini; lasciare che la sua intelligenza conservi tutta la libertà di osservazione e d'iniziativa; non trasportarla dal verismo e dalla realtà dei fatti; non incominciare a inculcare l'odio fra gli uomini e fra i popoli; ma insegnargli invece fin da quando può balbettare la prima parola e scrivere la prima lettera ad amare la verità e la giustizia, le sole figure simboliche ed astratte che si devono far grandeggiare nella mente e nell'animo di tutti.

E per far questo bisogna far sì che la scuola sia libera dalle prepotenze e dai pregiudizi politici, economici e religiosi, e deve essere razionale; vale a dire ispirata ai soli sentimenti che rispecchiano la realtà dei fatti, e deve insegnare a dare a questi il loro significato e il loro valore, senza ricorrere a giustificazioni inique, a ipotesi assurde. Non si potrà quindi in questo genere di scuola giustificare e alterare la genesi della proprietà privata; nobilitare la funzione degli Stati e delle Chiese; fomentare istinti selvaggi di guerra, e di militarismo; elevare inni alla tirannide ed allo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. (cfr. Francisco Ferrer in un articolo pubblicato nella rivista, da lui fondata, L'Ecole Renovée e The origin and Ideals of the Modern School opera postuma pubblicata, nel 1913, a New York a cura della Casa editrice G.P. Putnams Sons).



"Eravamo una trentina di soci fondatori, giovani e anziani mescolati. C'erano degli anziani molto anziani con i capelli bianchi, socialisti e anarchici. Abitavamo quasi tutti in Barriera di Milano. Molti giovani: mio fratello Antonio, poi Carabba, un ragazzo molto bravo, morto anche lui deportato in Germania, poi quell'altro Nairone che aveva costituito una piccola compagnia drammatica in seno a questa nostra scuola, e altri. Questa scuola è andata avanti fino al '20, dopo si è dissolta a causa del fascismo. E' finita. Ma negli ultimi tempi eravamo più di trecento. E da questa scuola sono usciti tutti gli operai che hanno diretto le pricipali lotte di quel periodo, fino all'occupazione delle fabbriche del 1920.

Il dibattito delle idee era continuo, in mezzo a noi, agli associati e anche all'altra gente che veniva poi quando c'erano delle conferenze importanti, anche non iscritti. E questo sistema è stato molto utile, perché di lì sono poi venuti fuori degli elementi veramente coscienti. Io cito solo questo: il Banfo, per esempio, poi fucilato dai fascisti, il carattere se lo era formato alla Scuola Moderna. O l'altro, quel Mairone che si è fatto a sua volta individuare come antifascista alla Grandi Motori, l'hanno preso e l'hanno mandato in Germania, e là l'hanno seviziato.

La maggioranza erano operai. E poi c'erano i nostri intellettuali, tre o quattro studenti anarchici, Denardo Iomeis, Bozzatto, il famoso artista, sempre col mantello nero, emergeva sotto i portici di Via Po; e poi avevamo Acutis, anche lui capocomico dilettante di una compagnia drammatica. Lì si dibattevano anche problemi di carattere sindacale, ognuno poi era libero di appartenere all'Usi o alla Fiom, ed emergeva, naturalmente, in prevalenza lo spirito dell'azione diretta. Sì, anche un riformista poteva dire la sua, era liberissimo di farlo, ma erano pochi. Poco lontano c'era il circolo socialista, una specie di Casa del Popolo, dove i socialisti dibattevano a loro volta i problemi. Eravamo amici, si collaborava in un certo senso, non c'era odio, non c'era scontro. C'era la compagnia drammatica, c'era il coro, avevano uno spazio per le bocce, il salone. Era stata costruita tutta nelle ore libere dagli operai.

La base programmatica della Scuola Moderna si basava su tre punti essenziali: l'attività sindacale, per far maturare nell'operaio la coscienza dei suoi interessi, e metterlo in condizioni di rivendicarli; la parte politica, ognuno nel suo partito, nei singoli gruppi, per dare una coscienza politica a questi giovani; poi la parte culturale, per dare una cultura, sia pure un'infarinatura generale, di quello che c'è di meglio con la scienza e col sapere.

Si facevano molte conferenze, trattando di evoluzione della specie di Darwin - gli operai di allora erano assetati di sapere queste cose, perché a quei tempi là non c'era come oggi, una coscienza sia pure molto superficiale, di cosa ci circonda, dell'universo, della nostra esistenza. O - che so io - dell'anatomia. Ci avevano dato dall'Università addirittura uno scheletro umano completo sul quale noi si facevano le discussioni. E tutte le pareti erano tappezzate di grandi cartelli per lo studio appunto del corpo umano. Erano argomenti che ci appassionavano molto.C'erano degli sbavatori: sbavatore è un lavoro durissimo, consistente nel prendere un getto fuso di acciaio o di ghisa, e di svuotarlo di tutta la terra e delle armature metalliche che ha nell'interno. C'erano dei fresatori, dei tornitori, i quali dopo una giornata di lavoro - allora si facevano dieci ore, prima dodici fino al 1907 - affluivano in questa scuola, per sentire delle conferenze. E allora si parlava di astronomia, di scienze naturali, che primeggiavano su tutto! Si discuteva delle religioni, anche se l'ambiente era tutt'altro che religioso, perché la maggior parte erano atei.

Ricordo un altro operaio che frequentava, Casassa. Proveniva da Pessinetto Alto, ed era un enciclopedico, anzi per dire il vero lo denominavamo Satana. Lui non voleva assolutamente sottomettersi allo sfruttamento, ma essendo artigiano enciclopedico era capace di fare qualunque lavoro, costruiva navi mercantili (modellini, eh). Questo nostro vecchio compagno di allora si intendeva molto di mineralogia, perché aveva fatto anche il minatore, e quindi tutti i libri che uscivano in quel tempo lui li acquistava per potersi approfondire; infatti nelle gite che facevamo, in quelle vallate in mezzo alle montagne, lui sapeva distinguere ogni sorta di minerale. Qualunque pezzo di porfido in cui inciampasse, lui diceva "ecco, questo proviene dagli strati geologici di un milione di anni fa perché contiene questo e quest'altro". Ha fatto, in quel tempo, un'attività molto pericolosa, ma molto efficiente: quando arrestavano qualcuno dei suoi compagni, allora cercava di "rivendicarli", di farli uscire con l'azione diretta, ecco, per non dire di più.

Le scienze naturali erano il campo dove più noi eravamo curiosi. Siamo andati a vedere il Museo di Antropologia di Lombroso - si andava a fare dei sopralluoghi, dopo le conferenze -; e anche il Museo Egizio. Molte lezioni si son fatte proprio sul posto, lì dentro il Museo Egizio. Noi ci entusiasmavamo, quando si vedevano dei corpi mummificati magari di quattromila anni fa, magari con tutto l'arredamento. Per noi era scoprire il mondo in quei tempi.

E' venuto anche il direttore dell'Osservatorio del Pino, perché studiavamo anche astronomia - siamo sempre a sessant'anni fa eh - poi noi siamo andati al Pino a vedere le stelle. E ci interessavamo dell'universo. Noi per esempio leggevamo i libri di Verne, Ventimila leghe sotto i mari, che venivano poi spiegati con conferenze. Parlavamo dell'evoluzione della specie: il Darwin noi l'abbiamo discusso molto tra di noi, e con degli studenti, che venivano e naturalmente portavano tra di noi quello che avevano imparato all'Università. Era tutta un'integrazione tra uno e l'altro. Queste cose ci servivano per controbattere la propaganda clericale, il potere del clero. Ma il nostro non era un anticleralismo uso "l'Asino" di Podrecca. Ci occupavamo anche di arte. Per esempio allora c'era quella macchinetta, la lanterna magica, e vedevamo i quadri di Raffaello, le opere di Michelangelo. Il piatto forte, però, era Galileo Galilei, per noi. E prima ancora di Galileo Galilei, Keplero.

E poi filosofia: Nietzsche, Stirner… Si è incominciato dalla Città del sole di Campanella, e dagli utopisti, e avanti, avanti, si discuteva di filosofia! Certo, se io andavo a chiedere a uno di questi qui: "Dimmi un po' bene il marxismo cos'è, cos'è la dialettica, come si deve interpretare la storia?", allora quello là restava con la bocca così. Ma in senso generale, si conosceva la differenza fra Marx e Bakunin, la differenza tra Kautsky e la Rosa Luxemburg. Si dibatteva molto. C'erano anche quelli che si riconoscevano in Stirner. Allora c'era quel tipo di operaio lì, che dopo dieci ore di lavoro aveva ancora la forza di venire al Circolo a discutere di Marx, di Bakunin, di Stirner. Su cento ne prendiamo cinque che erano così, che sapevano perché Stirner era in disaccordo col comunismo. Ma c'erano! Secondo me era la sostanza che derivava dalle lotta mazziniane fatte nel secolo precedente, che rimaneva ancora. Questa volontà, questo desiderio di conoscere, perché quando Mazzini diceva che bisogna fare gli Italiani, aveva ragione! Poi avevano scartato Mazzini con le sue società di Mutuo Soccorso, e c'era stata un'evoluzione che le ha assorbite, però conservano quello spirito di iniziativa, quello spirito di volontarismo, ecco! Credo che quella parola lì "volontarismo" dica tante cose. Nel nostro campo, chi ha sposato una causa e queste idee, deve arrischiare tutto perché non c'è nessuna pietà! Noi siamo contro lo Stato, ma quello che resiste, perché ha carattere, e se poi si è formato una cultura resisti due volte di più".



Per leggere l'intera intervista rilasciata, nel 1975, a Marco Revelli clicca il sito della Fiom di Torino

[1] Marco Revelli, scrittore, storico, docente di Scienza della politica all'Università del Piemonte Orientale

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