Uscirà il decreto attuativo della legge per la scuola secondaria?
Le scommesse sono aperte. Il termine della delega scade l’11 aprile e per farcela dovrebbe uscire almeno entro Natale. E’ il pezzo strutturalmente più complicato: materie, indirizzi, insegnanti diversi tra loro. Ed è anche il pezzo più impegnativo visto che si vuole dividere in due il sistema: i licei, la serie A, allo Stato (devolution permettendo), i professionali, la serie B, alle regioni.
E se la riforma della superiore, che ha avuto finora solo riforme parziali, non va in porto il fatto che il Ministero abbia puntato subito sull’elementare, riformata globalmente nell’85, si rivela come il tentativo di affondare il bisturi non dove c’era più bisogno ma dove l’operazione sembrava strutturalmente più facile da praticare e soprattutto da usare in termini di propaganda. Se non fosse che la reazione di insegnanti e famiglie ha mandato all’aria anche questo piano.
Cosa dirà questo decreto?
Dovrà chiarire molte cose, anche se la legge dice già che il percorso successivo alla media sarà diviso in due sistemi: quello dei licei e quello dell’istruzione e della formazione professionale. Per quello che si sapeva finora da cose che Bertagna e altri avevano detto ai giornali si parla di 8 licei (classico, scientifico, artistico, musicale, linguistico, scienze umane, tecnologico e economici) e di 10 aree nei professionali (agro-ambientale, tessile-moda, meccanica, chimico-biologica, grafico-multimediale, elettrico-elettronico-informatica, edile-del territorio, turistico-alberghiera, aziendale-amministrativa, socio-sanitaria). Vediamo già da queste denominazioni che più che del professionale si tratta di tutto il settore tecnico-professionale.
Sappiamo infatti che i licei avranno un profilo squisitamente teorico ( pre-bocconiano per gli economici, pre-politecnico per i tecnologici che non saranno perciò né i nuovi Itc né i nuovi Itis con un altro nome) e che quindi il sistema professionale potrebbe coprire non solo lo spazio oggi coperto dall’istruzione professionale ma anche da quella tecnica .
Sappiamo inoltre che per un’interpretazione estremistica del titolo V della Costituzione tutto il potere sul sistema professionale o, meglio, tecnico-professionale (titolarità, programmi, contenuti, organizzazione , amministrazione) andrà alle regioni. Vanno fatte salve le ulteriori novità contenute nel terribile testo di riforma costituzionale in corso di approvazione: dal punto di vista del rapporto di lavoro livellerebbe al ribasso mettendo tutti quanti alle dipendenze delle regioni, ma manterrebbe comunque una differenziazione forte tra i due sistemi, i licei, la scuola vera, e la formazione professionale.
Ma su questo punto non c’è stato un dissenso anche di Confindustria?
Su questo punto equivoci e contraddizioni si sono sviluppate nella maggioranza e tra la maggioranza e persino Confindustria che, timorosa di vedere gli Itis schiacciati sulla formazione professionale propone solo di cambiargli il nome in licei tecnologici e di lasciarli allo Stato. La proposta aggrava il problema dei professionali sempre più soli e marginalizzati, ma è una bomba sul modello liceale astratto che la Moratti e Bertagna vorrebbero.
Sappiamo inoltre che al Ministero le lobby interne, di materie di indirizzo, si stanno dando da fare per non finire in serie B.
Con tutte queste contraddizioni anche tra loro il decreto definirà di che morte bisogna morire. Dove passerà la linea divisoria tra i vari pezzi. Chi andrà di qua e di là.
Dovrà definire anche come si procede col personale che fra riduzioni di orario, annualità soppresse e passaggi di competenza alle regioni verrà tolto dai ranghi dello stato. La cosa si scaricherà sicuramente sui precari. Ma solo su loro? Troverà applicazione il decreto 212/2002 sulla messa a disposizione dei soprannumerari e sui licenziamenti?
Perché si scaricherà soprattutto sui precari?
Innanzitutto la perdita di posti assoluta dovuta alle riduzioni di annualità e di orari impedirà di rinominare tutti quei precari che sono stati nominati in questi anni, mentre i docenti di ruolo vanno in soprannumero ma non perdono lo stipendio, anche se su di loro incombe quel decreto 212 che dice: riconversione o messa a disposizione poi licenziamento.
A ciò occorre aggiungere i passaggi di amministrazione ( dei docenti del professionale secondo la “vecchia” costituzione, di tutti secondo la “nuova”). Non si sa ancora come si procederà col personale di ruolo, se ci saranno meccanismi di opzione o altro. Ma se per esempio ci fosse il mantenimento in carico ad una amministrazione fino ad esaurimento dei docenti per andata in pensione questa si eserciterebbe solo sul personale di ruolo, non su quello precario. I precari si troverebbero a dover affrontare subito un numero minore di opportunità secondo le vecchie norme, graduatorie, punteggi ecc. e dovrebbero misurarsi con nuovi meccanismi e regole regionali. Il sindacato potrebbe rivendicare, come ha già promesso, alcune garanzie ( validità delle “vecchie” graduatorie, reclutamento con regole nazionali ecc.) ma allo stato attuale nulla è garantito.
Quali modificazioni all’organico della secondaria superiore comporterà la riforma?
Molto dipenderà da dove passerà la linea divisoria di cui si parlava prima ecco un motivo per cui le lobby interne al Ministero premono per questa o per quella soluzione.
Nella scuola secondaria superiore ci sono all’incirca 2.500.000 studenti e ad essi corrispondono all’incirca 250.000 insegnanti. Avremo tre fattori che modificheranno l’organico statale ( sempre che la devolution non sparigli tutto) : la riduzione degli anni di studio nel professionale, la riduzione degli orari, il passaggio dell’istruzione tecnico- professionale al sistema della formazione professionale.
La riduzione di anni di studio riguarda l’istruzione professionale. Un anno in meno in questo settore sono circa 10.000 insegnanti i meno, ma se sotto questa dizione finisse anche l’istruzione tecnica saliremmo a 30.000
La riforma prevede orari oscillanti tra le 25 e le 28 ore contro gli attuali orari di 30 ore nei licei, 35 nei tecnici e 40 nei professionali. Calcolando perciò ottimisticamente una base di 28 ore e moltiplicando le differenze per le classi dei vari settori e dividendo queste ore per 18 abbiamo nei licei 5.000 posti in meno, nei tecnici 17.500 posti in meno, nei professionali 11.700 posti in meno, negli artistici 3.300 posti in meno. Il totale fa 37.500 posti in meno, che sommati alla perdita precedente fa da 47.500 a 67.500 posti in meno.
I passaggi alla formazione professionale variano anch’essi a seconda delle diverse possibilità: allo stato attuale se passa la sola istruzione professionale tutti i 70.000 docenti vanno alla formazione professionale con una perdita complessiva per la scuola di 95.800 posti; se passa anche l’istruzione tecnica passerebbero 160.000 posti con una perdita di 169.300 posti; se passano anche gli istituti d’arte passerebbero 165.000 posti con una perdita complessiva di 171.650 posti.
Sono cifre bibliche, ma non sono irreali se si pensa che il ministero equivoca spesso tra opzionalità e facoltatività e che le materie opzionali , che sarebbero la via per coniugare orari meno gravosi per gli studenti con la molteplicità delle competenze richieste, sono comunque giocate al ribasso all’interno delle 25-28 ore, in chiave di insegnamento del dialetto piuttosto che in chiave dell’orientamento professionale.
La perdita di posti riguarderà anche il personale Ata. Grosso modo salterà (o passerà alla formazione professionale) un Ata ogni tre docenti.
Ma da un po’ di anni l’utenza si sposta verso i licei: ciò potrebbe compensare queste perdite?
Fin qui tutto a bocce ferme. Ma arriverà un fenomeno imponderabile a modificare tutto ciò: lo spostamento dell’utenza. Infatti la creazione di un sistema binario e separato riposiziona tutta la domanda.. Oggi noi abbiamo circa il 60% degli alunni nell’istruzione tecnica e professionale e il 40% nei licei. Se la cosa si riproducesse così avremmo nella scuola la perdita massima indicata prima: 171.650 posti.
Ma se l’utenza si sposta avremo grosso modo le seguenti possibilità:
50% e 50% resteranno allo stato circa 100.000 insegnanti
40% e 60% resteranno circa 120.000 insegnanti
30% e 70% resteranno circa 140.000 insegnanti
20% e 80% resteranno circa 160.000 insegnanti
E’ illusorio pensare che si accalcherà nel sistema dell’istruzione e della formazione professionale la percentuale tra il 60 e il 70% che oggi si accalca nei settori tecnico e professionale. Non siamo più negli anni 50, l’industrialismo non paga più, le famiglie scelgono per i figli le scuole migliori, il settore professionale ha caratteristiche di scuola di seconda scelta, i ragazzi hanno tempi di vita diversi e c’è uno spostamento verso studi generalisti, soprattutto nella fase tra i 14 ei 16 anni. I paesi europei che hanno l’alternativa tra studi generalisti e studi specialisti in questa fascia di età (Francia, Germania) vedono uno svuotamento dei secondi a favore dei primi e i paesi che hanno l’alternativa secca tra licei e formazione professionale mancano di personale tecnicamente preparato (Spagna). In Trentino dove non c’è l’istruzione professionale di stato ma solo la formazione professionale regionale, per quanto essa sia buona, raccoglie solo il 14% dei ragazzi contro il 23% dell’istruzione professionale statale a livello nazionale nazionale.
Il fenomeno dell’aumento delle iscrizioni ai licei è evidente da anni, con le notizie sulla riforma si è accentuato. Quest’anno quasi metà delle alunne delle prime risultano iscritte a un liceo. Tutto ciò ci dimostra che oggi non si può pensare alla formazione professionale neppure come alla scuola della classe operaia, cosa che poteva essere negli anni cinquanta, ma come alla scuola per la parte più debole dei figli della classe operaia. Un’ingiustizia più grossa che nel passato. Una marginalità più evidente.
Allora lo spostamento dell’utenza salverà le cattedre?
Se ciò è vero, ci sarà una correzione alla perdita di organici nella scuola. Ma ci sono categorie di docenti che non ne beneficeranno affatto. Sono i docenti delle materie tecniche, non solo pratiche ma anche teoriche. Essi sono la metà dell’intera categoria e saranno destinati alla formazione professionale dove il rischio è che non ci siano alunni, mentre il grosso degli alunni sarà nei licei dove non ci sono le discipline che essi insegnano. Tenendo conto che metà dei docenti tagliati per riduzione di orario e di annualità sono già insegnanti di tecnica, se ipotizzassimo anche solo una ripartizione dell’utenza del 50% nei due settori, possiamo presumere, non solo che dei 120.000 insegnanti di tecnica la stragrande maggioranza dovranno migrare nella formazione professionale, ma anche che circa 50.000 insegnanti di tecnica, teorici e pratici, non troverebbero più il posto, né di qui né di là.
In conclusione?
In conclusione si può dire che il decreto, come la legge d’altronde, mira a prendere non due ma tre piccioni con una fava. In altre parole c’è una coincidenza di obiettivi economici, ideologici e sociali.
Economici: la riforma dimezza il personale della scuola secondaria, del tutto o passandolo ad altre amministrazioni. Sommata alle altre riduzioni nella media e nell’elementare a lungo andare porta l’organico docente in carico allo stato (sempre devolution permettendo) dagli attuali 800.000 a circa 500.000 addetti e gli Ata da 250.000 a circa 150.000.
Ideologici: si comincia alle elementari dicendo che il maestro che insegna italiano e matematica è quello che mette i voti e parla con i genitori mentre quello della plastilina no, si passa alla media ed educazione tecnica, se c’è, è quasi tutta nelle ore facoltative, si finisce alle superiori con una scuola teorica di serie A e una tecnica di serie B, Che idea si farà un ragazzo del lavoro manuale? Del saper fare? Altro che scuola che unisce sapere e saper fare! Li separa!!!!
Sociali: segrega gli studenti secondo le capacità e inevitabilmente secondo il censo. Nell’obbligo in diverse attività facoltative, alle superiori in due sistemi diversi.
Ma la Moratti non diceva di voler unire scuola e lavoro?
Sebbene il decreto più importante ancora non ci sia sono stati emanati due decreti che riguardano direttamente la scuola superiore: quello sul diritto-dovere e quello sull’alternanza scuola-lavoro. Ma i decreti in realtà sono tre: Il terzo decreto non è un decreto applicativo della legge 53, è un decreto applicativo della legge 30 sul mercato del lavoro: il decreto 276/2003 che riguarda l’apprendistato.
Il decreto sul diritto-dovere abolisce l’obbligo scolastico stemperandolo in garanzie vaghe, consolida l’arretramento scolastico a 14 anni, promette che il diritto dovere si eserciterà fino a 16 anni, ma non solo nella scuola: nella formazione professionale e nell’apprendistato. Ecco dove entra in scena il decreto 276: questo decreto prevede che in apprendistato, cioè in azienda, si possano anche prendere qualifiche e diplomi, validi anche per andare all’università,. senza neppure un’ora di formazione ( le poche ore di formazione, 120 o 240, che c’erano nella legge precedente non ci sono più). In questo modo le aziende non solo sfrutteranno gli apprendisti con contratti di favore ma si prenderanno anche i finanziamenti europei per la formazione.
Di fronte a ciò il decreto sull’alternanza scuola-lavoro che viene tanto propagandato dal ministro crea equivoci e svia l’attenzione. Esso lascia sì alle scuole la titolarità, ma si tratta di stages e di aziende che entrano a scuola a spiegare, non di vera alternanza. Noi dividiamo in tre (formazione professionale, alternanza e apprendistato) quello che nei paesi dove queste cose si fanno sul serio è una cosa sola. In Germania, Austria, Belgio, Olanda, Svizzera e Danimarca, dove la formula è diffusa non c’è differenza fra queste tre cose: si fa metà lavoro e metà scuola ( 600-700 ore di scuola vera, educazione fisica compresa) e a 16 anni compiuti.
Da noi non esiste questa cultura della formazione professionale: la nostra borghesia ha utilizzato l’apprendistato solo per sfruttare meglio la forza lavoro giovane. Secondo l’Isfol nel 2002 su più di 400.000 apprendisti solo 31.000 hanno frequentato corsi di formazione e non era neppure scuola vera e propria!
Vengono dunque fuori handicap ereditari storici della nostra formazione?
La mancanza della cultura della formazione professionale nelle classi dominanti italiane non è l’unico handicap storico. La nostra arretratezza economica fino agli anni sessanta e una classe dirigente che fino ad allora si preoccupava solo di riprodurre sé stessa ha dato alle classi medie di allora un ginnasio dimezzato: la vecchia scuola media. E noi oggi abbiamo, insieme all’obbligo scolastico più corto d’Europa, la scuola media più corta d’Europa: tre anni laddove altrove è di quattro o di cinque. Questo ha più influenza di quanto non sembri perché altrove la scuola media arriva a ridosso della fine dell’obbligo (16 anni quasi ovunque) e all’inizio dell’età minima da lavoro. Tra i 14 e i 16 anni, la centralità della scuola non è in discussione. Non ci sono equivoci: quando si parla di formazione professionale, apprendistato, alternanza se ne parla a 16 anni. Persino in quei paesi che malauguratamente hanno tre o quattro scuole medie di indirizzo, questo scelta pur precoce si pratica nella scuola, non è una scelta tra la scuola e qualcos’altro. Solo noi mandiamo i quattordicenni in formazione professionale o nei corsi tappabuco, che il Ministero ha spacciato per integrati e sperimentali, e i quindicenni in un apprendistato che è solo lavoro. Solo noi descolarizziamo a 14 anni.
Questo non vuol dire necessariamente volere anche da noi la scuola media lunga, ma vuol dire tenerne conto per i primi anni della superiore.
Certo anche in Europa, come da noi, ci sono forze politiche o governi che vorrebbero anticipare le scelte e magari anticipare anche l’apprendistato. Ma da noi si sta veramente sfruttando la nostra arretratezza per essere davanti a tutti nella ritirata della scuola.
Da noi non manca solo la cultura della formazione professionale manca anche quella della formazione civile!
Roma, 7 novembre 2004
Anna Pizzuti - 15-11-2004
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In Tuttoscuola:
La Francia rilancia i licei professionali
In Francia, com’è noto, il sistema scolastico offre agli allievi in uscita dalla scuola dell’obbligo l’alternativa tra tre tipi di liceo: generale (3 indirizzi), tecnico (4 indirizzi) e professionale (una trentina di indirizzi, cui si accede però da oltre 250 percorsi iniziali di formazione professionale). In sostanza, se si volesse tentare un non facile confronto con il modello proposto dalla riforma Moratti, si potrebbe dire che:
- il liceo generale corrisponde ai licei classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane;
- il liceo tecnico è paragonabile ai nostri licei tecnologico ed economico, ma articolati in indirizzi (i 4 indirizzi di base francesi prevedono 12 opzioni obbligatorie, di cui 5 nell’indirizzo industriale e 4 in quello terziario);
- il liceo professionale (due anni) è con qualche forzatura comparabile al quinto anno di preparazione all’esame di Stato, riservato dalla riforma Moratti agli allievi che conseguono un diploma quadriennale nel "sistema di istruzione e formazione professionale".
La differenza fondamentale è costituita dal fatto che i percorsi di accesso al liceo professionale sono organizzati in Francia nell’ambito del sistema di istruzione (salvo l’apprendistato), mentre in Italia sono attribuiti alla competenza "esclusiva" delle Regioni.
La situazione francese attuale, per quanto riguarda la filiera professionale, è non troppo diversa da quella che c’era in Italia prima della riforma dell’istruzione professionale di Stato (1992-1994), quando esistevano oltre 150 diplomi triennali di qualifica, poi ridotti a una ventina. Ora l’ormai celebre rapporto Thélot sulla scuola francese ("Per la riuscita di tutti gli allievi"), una cui sintesi in italiano è disponibile nel sito dell’ADi, consiglia di accrescere la valenza culturale, e diminuire drasticamente il numero dei percorsi professionali. Esattamente ciò che si fece in Italia con il "Progetto 92". Sarebbe bene che in Italia si tenesse conto di tutto ciò, e che l’emanando decreto legislativo sul sistema di istruzione e formazione, che richiede la (non facile) previa intesa con le Regioni, ponesse limiti precisi alla proliferazione e all’inconsistenza culturale dei corsi. Va ricordato comunque che lo Stato, anche nella Costituzione "federalista" del 2001, ha pur sempre competenza esclusiva in materia di determinazione dei "livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".
Anche il diritto a una buona "istruzione e formazione professionale" rientra in questo ambito.
Diverse settimane fa Tuttoscuola, in un altro commento sull'eventuale decreto per il secondo ciclo, se ne usciva con questa osservazione che cito a memoria e che, all'epoca, mi lasciò molto perplessa. Ragionando su chi starà di qua e chi di là, nel doppio canale, sosteneva che "di là", nell'istruzione, sarebbero potuti passare anche "quei professionali che seguono il Progetto 92 o il progetto 2002".Chi conosce il sistema dei professionali, comprenderà la mia meraviglia, perchè:
a) il progetto 92 è di "ordinamento", cioè applicato in tutti i professionali; b) quella del Progetto 2002, che in qualche modo rivedeva quello che qualcuno considerava un eccesso - nel numero di ore, soprattutto - è stata una delle prime abrogazioni decise dal ministro Moratti, come conseguenza dell'abrogazione prima, cioè quella dell'organico funzionale, sul quale questo progetto si reggeva.
Allora io mi chiedo: è Tuttoscuola che non è informata e prende una cantonata? O è il ministro, o quelli che per lei stanno preparando il colpo definitivo alla scuola, che non sanno nulla di quello che stanno facendo? Ho un'altra domanda, per Patroncini, ma non solo, naturalmente. Si sta preparando il decreto sui licei: non si sa bene come (cioè non si sa ufficilmente) , ma si sa che lo stanno facendo. Essendo i licei una "gamba" del sistema di Istruzione e Formazione, immagino che , regione per regione, si stiano preparando altrettanti decreti per l'altra "gamba". O che, comunque, chi sta preparando la prima, deve essere in stretto contatto con chi sta preparando la seconda, se è vero che debbono essere di pari dignità e garantire i passaggi.
Risulta a qualcuno che questo stia accadendo? O si dà per scontato che, una volta scavato un canale, nell'altro ci casca dentro, alla rinfusa, quello che avanza? |
pino patroncini - 16-11-2004
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Tuttoscuola dimentica alcuni particolari importanti. In Francia:
1) la scuola media (college) è di 4 anni (2+2) e termina a 15 anni, non a 14 come da noi,
2) nei secondi due anni di questa scuola vi sono due percorsi: uno generale e uno tecnologico
3) comunque in questi secondi due anni 9 alunni su 10 oggi frequentano il percorso generale ( nel 1975 i due percorsi erano più o meno a pari).
4) l'obbligo è comunque a 16 anni ( almeno un anno della superiore!)
5) i due anni dei licei professionali danno luogo ad un brevet ( simile alla nostra qualifica)
6) che con ulteriori altri due anni al liceo professionale si ha il baccalaureat professionale ( la nostra maturità professionale) che da anche accesso all'università
7) che in questo modo il liceo professionale termina a 19 anni mentre i licei generali e tecnologici terminano a 18: non un anno in meno( come vorrebbe la Moratti) , bensì uno in più , come si conviene a una scuola che fornisce un "prodotto finito" e non uno da "rifinire" all'università! |
giorgio - 17-11-2004
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Sull'esodo biblico di docenti di cui parla diffusamente Patroncini.
1. Se i ragazzi non si iscriveranno al nuovo canale cosa accadrà? L'esodo è rinviato o si istituisce il numero chiuso nei licei?
2. Mi pare che ci sia anche un'altra opzione alternativa all'esodo. Che tutti i docenti passino alle regioni che li assegnano ai nuovi licei o alla nuova formazione professionale in base alle scelte dei regazzi. E' l'opzione prevista dalla attuale costituzione, secondo la lettura che ne ha dato la Corte nella sentenza 13/2004. |
pino patroncini - 18-11-2004
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PER GIORGIO
Il problema del numero chiuso non dovrebbe porsi. Se si pone è proprio perchè vi sono delle "sbavature" amministrative. Ma gli stabili ci sono e sono quelli degli ITIS , ITC ecc. ed eventualmente anche i professionali. I docenti anche. Il problema non è nei licei. Prendiamo il caso estremo che faccio 20% fp e 80% licei servono nei licei 160.000 docenti circa, 125.000 sono di materie generali e un po' di tecnologie più generali ( chimica, tecnologia meccanica, macchine, elettronica, elettrotecnica, economia aziendale) che comunque un po' di ore nel tecnologico lo avranno. Fra riduzioni d'orario e altro al massimo potranno mancare 10.000 docenti.
Il problema sarà nella FP lì serviranno 40.000 docenti ( standard attuali proporzionati a riduzioni di orario e di annualità) : lì mancheranno i docenti di discipline generali che nel caso in esame sarebbero tutti riassorbiti dai licei e comunque anche dei retanti 90.000 insegnanti di tecnica ne serviranno al massimo 40.000 ( anzi meno perchè un po' di nozioni di carattere genenerale dovranno essere date anche lì). A prescindere dall'amministrazione da cui dipenderanno i vari docenti.
PER ANNA
IL nodo è il fatto che in Francia si da per scontato che l'orientamento venga svolto nella scuola media fra i 13 e i 15 anni e che un ulteriore orientamento di indirizzo venga svolto tra i 15 e i 16 anni (esempio verso i diversi indirizzi del tecnologico), mentre da noi è chiaro che non viene fatto in quel periodo, ma tutt'al più nella media tra i 13 e i 14 anni ( un anno solo). |
Anna Pizzuti - 19-11-2004
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Altre informazioni da Tuttoscuola. Mi sembra che ci si stiano accorgendo del fatto che non esistonono solo i licei. E che la pari dignità è una bufala. Resta comunque la domanda sui tempi: come si può fare un decreto per un sistema, senza ragionare anche sull'altro?
Secondo ciclo: Regioni: un impiccio o una risorsa?
I tempi per il primo decreto dovrebbero essere ovviamente più brevi, almeno sulla carta. Nelle scorse settimane si sono svolti al MIUR vari incontri di lavoro per la definizione degli "Obiettivi specifici di apprendimento" degli otto licei, e non si dovrebbe essere lontani dalla possibilità di redigere una prima bozza di decreto, sempre che si risolva il nodo relativo agli indirizzi dei licei tecnologico, economico e artistico.
Il fatto è che da come verrà sciolto questo nodo dipenderà l’impostazione del secondo decreto legislativo, quello che deve preventivamente acquisire l’intesa delle Regioni. Il problema è questo: se i tre licei che si articolano (soprattutto il tecnologico) lo faranno in modo tale da favorire la confluenza in essi della domanda sociale che attualmente si rivolge agli istituti tecnici e professionali, quanto spazio resterà per il sistema di istruzione e formazione di competenza delle Regioni? E come potrà essere "di pari dignità"?
Quale significato avrebbe presentare due decreti distinti? La riforma del Titolo V, parte seconda della Costituzione postula che lo Stato e le Regioni assumano una logica cooperativa e partenariale. Ricorrere a due decreti potrebbe suonare come un considerare le Regioni un impiccio fastidioso e non una positiva risorsa istituzionale. Del resto, come si può procedere all’articolazione del sistema dei licei se non sono stati predisposti i livelli essenziali che lo Stato chiede alle Regioni di rispettare per organizzare il loro sistema dell’istruzione e formazione professionale spendibile ai fini dell’esercizio del diritto–dovere a 12 anni di istruzione e formazione per tutti di pari dignità? Secondo ciclo: Regioni: un impiccio o una risorsa?
Secondo ciclo, uno o due decreti?
Ma il decreto legislativo sul secondo ciclo sarà uno o saranno effettivamente due?
Sembra si stiano confrontando due posizioni. C’è chi sostiene che sarebbe opportuno predisporre un unico decreto per i licei e per gli istituti dell’istruzione e formazione professionale. Ma si ha timore che non avrebbe vita e percorso facile per "colpa" delle regioni. Altri osservano che sia necessario predisporne due. Il primo potrebbe avere un iter di perfezionamento rapido perché di esclusiva competenza dello Stato, l’altro avrebbe tempi più distesi a causa dei necessari confronti ed accordi con la Conferenza Unificata.
La legge n. 53/2003 individua infatti due diverse procedure per l’esercizio della delega, a seconda che si tratti di materie sulle quali il parere delle Regioni è previsto, ma non è vincolante (è il caso del decreto sul "sistema di istruzione"), oppure di materie per le quali deve essere raggiunta la "previa intesa" con le Regioni. Quest’ultimo è il caso del "sistema di istruzione e formazione", che è rimesso alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni in base all’art. 117 della Costituzione così come riformulato nel 2001 (allo Stato spetta solo la definizione dei "livelli minimi di prestazione". La "devolution", se passerà, non toccherà questo aspetto).
TuttoscuolaNEWS venerdì 19 novembre 2004
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giorgio - 25-11-2004
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Anna
si chiede (15 nov) quanti decreti ci saranno per l'altra gamba del sistema (i non licei).
I decreti saranno uno, nazionale emanato dal governo perché la legge 53 prevede la delega sull'intero 2^ ciclo (licei e istruzione e formazione professionale).
L'incertezza è se il governo adotterà un decreto unico o due decreti (uno per gamba, per capirci). La questione non è solo formale.
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