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Così la povera Africa sovvenziona il Nord
Pierangelo Indolfi - 04-10-2004
Da Liberazione - 2.10.2004

Sulla stampa è sempre più incalzante la litania dei mali africani raccontata secondo uno sterile paternalismo. Eppure, basterebbe dare un'occhiata al rapporto dell'Unctad, l'agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo e del commercio, per comprendere la gravità della situazione dal punto di vista della bilancia dei pagamenti. Si tratta di un'analisi certosina, presentata ieri, e condotta sugli ultimi trent'anni, dalla quale emerge il vero dramma che affligge l'intero continente. In effetti, almeno dal punto di vista economico, nonostante tutte le ricette e i buoni propositi dello stuolo di benefattori o presunti tali, la situazione è a dir poco allarmante.

Il fardello del debito estero continua a strangolare il Continente, a causa degli interessi in crescita esponenziale. In pratica, sono più i soldi che l'Africa restituisce al Nord del Mondo (governi occidentali, banche e altre istituzioni), sotto forma di interessi sul debito, di quelli ad essa elargiti, come aiuti allo sviluppo, dai Paesi ricchi. In un mondo-villaggio globale, perché non guardare all'Africa come ad un laboratorio per l'elaborazione di modelli sociali ed economici diversi da quelli imposti dai cliché "primomondisti"? Purtroppo, invece, non sono pochi i casi in cui la classe dirigente africana è stata istruita proprio per assecondare gli schemi e gli interessi altrui. A pensarci bene, allora, l'Africa ha già compiuto, a modo suo, un miracolo. Nelle situazioni di dissolvimento delle economie statali, l'economia informale ha permesso di garantire la sopravvivenza attraverso un reddito che nessuno, a partire dal Fondo monetario e dalla Banca mondiale, avrebbe mai immaginato. Se il Continente è riuscito a "sbarcare il lunario" (il 2002 dell'Africa sub-sahariana è stato di 318 miliardi di dollari contro i sei trilioni e mezzo della Ue) è perché possiede delle potenzialità e un ingegno che rappresentano l'azzardo dell'utopia. Il che potrebbe costituire la premessa per la realizzazione di un modello di sviluppo africano fondato innanzitutto sul mercato interno. Idea, questa, che non ha nulla a che spartire con lo schema dell'autarchia.

A questo riguardo Joseph Ki-Zerbo, intellettuale burkinabé, curatore della grande storia dell'Africa voluta dall'Unesco, insiste da anni sulla libera circolazione delle merci. Il fatto di avere un grande mercato interno africano, secondo Ki-Zerbo, valorizza la produzione dei contadini. «Se si forma un mercato libero più grande - ha affermato - è possibile distribuire meglio la produzione. Ciò porta allo scambio di saperi e di tecnologie e ad una divisione più scientifica del lavoro, senza dover sempre produrre tutto dappertutto». Ma, per poter governare l'economia, servono politici illuminati. E' per questo che la cooperazione internazionale dovrebbe investire maggiori risorse nella formazione delle classi dirigenti. «I figli e le figlie dell'Africa - ha scritto Giovanni Paolo II nell'esortazione apostolica Ecclesia in Africa - hanno bisogno di presenza comprensiva e di sollecitudine pastorale. Occorre aiutarli a raccogliere le proprie energie, per porle al servizio del bene comune». Se il presidente Sankara (rovesciato e ucciso nel 1987) riuscì a far passare un severo piano di austerità e moralizzazione nel Burkina Faso (etimologicamente, "Paese degli onesti") fu perché lo applicò in primo luogo a se stesso. Un caso positivo pressoché sconosciuto.

Quale altro presidente, chiamato a dichiarare pubblicamente i propri averi, potrebbe elencare solo una moto e una piccola casa di cui stava ancora pagando il mutuo? Vengono alle mente le parole dell'intellettuale beninese Albert Tévoédjrè che, nel suo noto libro Povertà, ricchezza dei popoli, citava una poesia di Salvador Diaz Mirón: «Sappiatelo, sovrani e vassalli, eminenze e mendicanti, nessuno avrà diritto al superfluo, finché uno solo mancherà del necessario». E insisteva sul valore della povertà praticata a partire dai dirigenti che con onestà e responsabilità scelgono di essere esempio al proprio popolo. Ed è questa la vera questione di fondo: l'Africa ha bisogno di leader illuminati capaci d'essere, come scriveva lo stesso Tévoédjrè, «prima di tutto dei dirigenti della vita sociale».

Giulio Albanese
(da "Avvenire" dell'1.10.2004)

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