Era il 7 aprile 1994 il giorno in cui Kurt Cobain si uccise con un colpo di fucile, nella sua casa di Seattle, dopo aver ingerito il solito cocktail di alcool e pastiglie. Era il leader della band piu’ amata: ogni concerto dei Nirvana era un evento mediatico e di massa e Kurt, di quel rock maledetto, duro e straziante, rappresentava l’anima e il volto. Quel giorno Giulia aveva 7 anni, viveva la sua infanzia tra le corse in cortile e le bambole, immersa nel mondo di gioie e paure di ogni bimba tenera, vivace, ombrosa quando coglie le pieghe del cuore. Ormai fattasi ragazzina, a 14 anni Giulia si e’ uccisa l’8 aprile scorso gettandosi nel vuoto dalla casa di Jesi dove abitava coi genitori. Erano le 23, la madre si trovava nella stanza accanto. “Da circa un anno – scrive il Messaggero - andava dicendo ai compagni e scrivendo sul suo diario, da ultimo sempre più insistentemente, che avrebbe voluto uccidersi, che non sarebbe arrivata viva alla cresima, né a Pasqua. Nessuno però le aveva dato retta, perchè la ragazza non spiegava le ragioni per cui avrebbe voluto togliersi la vita. Sabato, con l'avvicinarsi dell'anniversario del suicidio di Kobain, Giulia ha scritto sul banco di scuola «Voglio morire». Qualcuno, compagni e docenti, ha tentato di parlarle, ma lei ha scrollato le spalle e la cosa è finita lì.
Ieri la classe si è interrogata per cercare di capire, insieme agli insegnanti, che cosa è scattato nella mente della compagna. La ragazza viene descritta di carattere allegro ed estroverso, ma riservatissimo sulle sue scelte più intime. Lei stessa, nel corso di un'iniziativa di prevenzione dal disagio, si era definita «simpatica e trasgressiva», mettendo ai primi posti dei suoi interessi l'amicizia, la famiglia e il futuro”.
Se n’e’ andata in silenzio, senza lasciare nemmeno un bigliettino, in questo distinguendosi dal suo adorato Kurt il quale, prima di morire, aveva scritto “Vi amo” alla moglie e al figlio. Su questo episodio, scrive ancora il Messaggero, “cerchera’ di far luce il sostituto procuratore della Repubblica di Ancona Irene Bilotta”, per verificare se e come il suicidio “possa essere collegato con gli ambienti frequentati dalla ragazzina”. Ma e’ improbabile che saltino fuori storie di droga o altro ed e’ prevedibile che l’inchiesta si concluda in un nulla di fatto. Anche perche’ ci sono domande in questa vicenda a cui nessun giudice sapra’ mai rispondere. A cominciare da quella piu’ importante di tutte: cosa e’ accaduto in questi sette anni, cosa ha trasformato Giulia, crescendo, da una deliziosa e incantata bambina in una adolescente decisa a pagare il suo tributo di sangue all’idolo conosciuto molti anni dopo la morte, attraverso l’ascolto delle sue canzoni, la lettura accanita dei testi mandati a memoria, le immagini-poster che lo ritraggono sul palcoscenico, i capelli lunghi e fluenti, il profilo del viso stagliato, l’espressione dolente, la chitarra sghemba? Quale processo di trasfigurazione e’intervenuto?
Quali meccanismi psicologici profondi, complessi, devianti hanno agito nell’animo di questa ragazza normale, apparentemente serena, “estroversa”, come si definiva lei stessa? Non sono uno psicologo e non ho risposte, In questi casi, normalmente non riesco a trovarne neppure come insegnante. Ma forse ha ragione Paolo Crepet, quando scrive che “Non siamo capaci di ascoltarli” (Einaudi, 2001) e, a proposito della rimozione della morte operata dai genitori per proteggere i figli, argomenta che il dolore e la morte, appunto, “vengono espulsi dal mondo affettivo del bambino: comportano significati ingombranti, stonano con la patina edulcorata con la quale abbiamo avvolto l’esistenza dei piccoli rendendola cosi’ spesso irreale e fredda”. E quindi anche la morte, come l’amore o l’amicizia, ridotta a simulacro, subisce lo stesso effetto di spettacolarizzazione che la rende anaffettiva, privandola di senso.
“Cosi’ la morte reale equivale a quella vista centinaia di volte in un telefilm o al telegiornale, ma anche a quella ancora piu’ virtuale di un videogioco: le sale giochi odierne che altro sono se non la consacrazione della morte come gioco multimediale? Quanti bambini e ragazzi di divertono a uccidere mostri e marziani? La morte per le nuove generazioni rischia dunque di essere un Game-over”. Anche la propria morte, evidentemente.
Credo che uno dei piu’ bei saggi sulla condizione giovanile reperibili sugli scaffali delle librerie, sia quello uscito nel 1995, a cura di Stefano Pistolini: “Gli sprecati”, Feltrinelli. Il capitolo 3, aperto proprio da una significativa epigrafe di Kurt Cobain (“Vi prenderei in giro se vi dicessi che mi sono divertito al cento per cento”), contiene questa illuminante riflessione: “L’artista che muore giovane, che si distacca violentemente dal suo tempo, resta immerso per un po’ in una placenta del mito, ancora cieco, muto, impacciato. Ancora morto, assente, poi comincia a espandersi…”, nel caso di Kurt Cobain “stemperato lo sbigottimento, trascorsa la prima estate dopo il suicidio, il procedimento e’ esploso. Esiste ora un secondo Cobain, moltiplicatosi all’infinito, che vive tra i sussulti e le ansie dei suoi fan. Dopo morto, Cobain ha ripreso a vivere, si e’ espanso, ha occupato una miriade di luoghi della mente, nuovo angelo custode di tanti adolescenti”.
Nel corso degli anni, il mito si e’ ancora esteso, come un fiume sotterraneo ha attraversato l’immaginario collettivo di tanti adolescenti, fissato nella forma estrema del gesto che lo ha partorito e col quale una generazione incapace di trovare risposte concrete alle proprie paure e ai propri bisogni affettivi, ha finito per identificarsi.
Ciao Giulia, se hai deciso di andartene seguendo il richiamo notturno del tuo Kurt la colpa e’ anche nostra e quindi anche mia. Di noi che non abbiamo saputo, di noi che tutti i giorni facciamo finta di non sapere e vi lasciamo andare a morire perche’ non riusciamo ad insegnarvi a vivere il dolore e la morte, senza i quali nessuna felicita’ e’ possibile.
“Gesù non mi vuole per un raggio di sole / I raggi di sole non sono mai fatti come me”: “Jesus doesn't want me for a sunbeam”, chissa’ quante volte l’avrai ascoltata…chissa’ quanto l’hai amata.