Viva la guerra
Pierangelo Indolfi - 18-09-2004
Segnalo da l'Unità di domenica 19 settembre:


Il vicepresidente del Consiglio italiano Gianfranco Fini ha detto con calma e con chiarezza: «Il pacifismo è una caricatura della pace. La pace si ottiene solo con una azione pacificatrice. Il pacifismo è vile come Ponzio Pilato, volta la testa dall’altra parte». Infine ha lanciato un appello alla «guerra contro il pacifismo».

Ho detto all’inizio di queste righe che Fini ha parlato con calma e chiarezza, come testimoniano le registrazioni ripetutamente ascoltate nei giornali radio e nei telegiornali. Dunque, nessuna possibilità di errore. Fini ha detto ciò che voleva dire. Dove ha fatto queste dichiarazioni Fini? Le ha fatte al Convegno dei giovani di An. Giovani, dunque un pubblico particolarmente ricettivo. Il loro capo, che è anche il vicepresidente del Consiglio italiano, li ha incitati al disprezzo delle bandiere arcobaleno, caso mai ne vedessero passare una. Ha incitato una platea giovane alla «guerra contro il pacifismo», che secondo qualsiasi comune interpretazione significa semplicemente guerra.

Quando ha parlato Fini? Ha parlato il giorno 18 settembre, nella settimana che il corrispondente inglese del giornale ha definito “Il fondo dell’abisso in Iraq”, per il carico di sangue, di morti, di vittime civili, di ostaggi rapiti, scomparsi, o uccisi. Erano trascorsi 24 giorni dalla uccisione del pacifista italiano Enzo Baldoni, ad opera di terroristi che non ne hanno ancora restituito il corpo. Era il dodicesimo giorno del rapimento delle due giovani pacifiste italiane della organizzazione “Un ponte per...”.

Un’organizzazione che è sempre molto occupata a portare cure, ospedali, scuole, soccorso dovunque la guerra produca i suoi disastri, ma se deve comparire in pubblico lo fa sempre con le bandiere della pace. Sono quelle stesse bandiere che erano apparse a milioni alle finestre delle case italiane, quando il massacro dell’Iraq poteva ancora essere evitato.
Adesso le parole di Fini ci fanno capire quel rapimento di due ragazze indifese (i pacifisti, a differenza di Ponzio Pilato non hanno scorta) operato da decine di uomini bene armati, dotati di potenti fuoristrada che - hanno notato i testimoni - erano lucenti e puliti come se venissero da un garage, impugnando - sono sempre i testimoni a dircelo - gli ultimi modelli di armi automatiche. È cominciata la guerra ai pacifisti.

***

Con un solo gesto netto e calcolato, per ragioni che non è dato di capire ma che non si può far finta di non vedere, Fini ha rovesciato il tavolo di Palazzo Chigi al quale si era presentata tutta l’opposizione, decisa a mostrare, insieme al governo, la volontà del Paese di apparire unito di fronte al rapimento delle due Simone, per far sì che quell’unità rendesse un po’ meno arduo il lavoro di stabilire un contatto, forse di avviare un dialogo.

Per dirla nel suo linguaggio, Fini se ne frega del dialogo, se ne frega delle due Simone, se ne frega dell’angoscia delle loro madri, dei loro padri e di tutti gli italiani che non sono ossessionati dalla guerra ma dal tentativo di salvare la vita a quanti più esseri umani è possibile. Per dirla nel suo linguaggio, Fini se ne sbatte di donnicciole che non combattono e che invece di guardare dalla parte delle armi, guardano, come dice lui, dall’altra parte: si occupano di togliere il moccio ai bambini, di dare una mano di bianco alle loro scuole semidistrutte, di portare una coperta e un orsacchiotto ai bambini che sono in ospedale, dove gli ospedali esistono ancora. Fini trova ridicole e anzi spregevoli - al punto di meritare guerra - le divagazioni pilatesche dei pacifisti che si occupano di donne e bambini invece che di carri armati. Dice ai suoi giovani che la pace dei pacifisti fa schifo perché quello che occorre è «una azione pacificatrice». La parola, purtroppo, esiste, non l’ha inventata lui ma personaggi ben più autorevoli del suo albero genealogico. Azione pacificatrice vuol dire guerra. L’Italia ha fatto la sua parte. Si chiamavano così le stragi e i gas asfissianti in Libia (i libici celebrano ancora, un secolo dopo, una “giornata di odio” contro gli italiani); le stragi e i gas asfissianti in Etiopia; i massacri italiani nei Balcani; le scrupolose collaborazioni ai massacri eseguiti dai nazisti in Europa.

Fini forse non sa, perché ognuno ha la sua cultura, che non esiste al mondo una sola circostanza in cui gruppi di esseri umani si riuniscano, in qualche data e in qualche luogo del mondo, per esecrare le malefatte dei pacifisti. Ma in ogni luogo del mondo e in moltissime ricorrenze, sopravvissuti e discendenti delle vittime si riuniscono ogni anno per ricordare le tante Marzabotto, le tante Sant’Anna di Stazzema, le tante Boves, le tante risiere di San Saba, le tante vittime del croato fascista Ante Pavelic, che teneva sul tavolo i bulbi oculari dei suoi nemici quando era sostenuto e protetto dai gerarchi di Roma e Berlino. Voi direte: inutile voltarsi indietro. Fini parla nei giorni atroci di questo angoscioso terrorismo dopo le due Torri, di Quattrocchi, dei bambini assetati e poi assassinati nella scuola di Beslan. Appunto. E in questi stessi giorni, in queste stesse ore, mentre stiamo aspettando di sapere che cosa è accaduto a Simona e Simona, nell’inferno creato dall’incrocio fra guerra e terrorismo, lui dice ai suoi giovani, che hanno tutta la vita davanti per far germogliare il seme di odio che Fini gli ha donato che il pacifismo è una ridicola caricatura fatta da gente vile. Il pacifismo, capite? E dunque “guerra al pacifismo”, che vuol dire in parole pure e semplici: viva la guerra. Sono parole che ci conducono indietro, in un’area triste, squallida, mortuaria della storia. Si chiama fascismo.

Quanto a Simona e Simona, chi ha fede preghi, chi può si faccia vedere alle finestre e per le strade con tutte le bandiere, le fiaccole e i segni della pace possibili. Non sarà certo gente come Fini a salvarle.

Furio Colombo

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 Pierangelo Indolfi    - 20-09-2004
E, da Liberazione del 19 settembre

La faccia tosta di Fini: le due Simone come Ponzio Pilato

Un fantasma inquieta il sonno di Gianfranco Fini: quello del pacifismo. Dato in crisi irreversibile dai suoi detrattori e trattato con alternata diffidenza dalla sinistra moderata, il movimento pacifista è stato ieri l'oggetto degli strali del maggiordomo nero di Palazzo Chigi. Il vicepremier ne deve avvertire tutta la sua vitalità e forza culturale e sociale. Lo dimostra la platea scelta per lanciare i suoi anatemi, la festa nazionale di Azione Giovani, e il tono da vera e propria crociata usato per l'occasione. «Dovete diventare l'avanguardia di una grande battaglia per la pace e contro il pacifismo» ed ancora «il pacifismo è la caricatura della pace. Ponzio Pilato era il primo pacifista della storia, si lavava le mani, guardava dall'altra parte». Con virilità mascolina, Fini ha riproposto il vecchio clichè coloniale dei soldati italiani "pacificatori" e il riflesso condizionato dei pacifisti ambigui e contigui con il terrorismo.

Proviamo a dare una spiegazione a tanta acredine.

La guerra non sta andando bene non solo per americani, inglesi e polacchi il cui numero di morti continua a crescere di giorno in giorno. I militari italiani a Nassiriya sono infatti da mesi immobili, acquartierati nei loro fortini e ci pensano tre volte prima di mettere il naso fuori. La richiesta di Frattini agli Usa - anch'essa evidentemente vissuta come concessione al pacifismo - di «bombardare con moderazione» evidenzia drammaticamente l'insulsaggine dell'Italia e della sua politica in Iraq.

La missione "Antica Babilonia" di umanitario non ha ormai proprio più nulla e i "pacificatori" rimangono lì, nel deserto, sperando di non tornare ad essere oggetto di rappresaglie e attacchi della guerriglia. L'intero Iraq è uno scannatoio a cielo aperto e anche se l'ordine di scuderia è la militarizzazione dell'etere e della stampa, l'opinione pubblica rimane sempre di più convinta che la guerra sia stata uno sbaglio (per di più - come dice Kofi Annan - illegale) e che le truppe dovrebbero tornare subito a casa.

Fini conosce bene anche i flussi elettorali e percepisce come la cultura pacifista, antimilitarista e fondata su valori forti come il ripudio della guerra, stia spostando a sinistra settori consistenti del mondo giovanile. Lo dimostra anche la crisi dell'arruolamento dei volontari nel nuovo esercito professionale. Il governo, nonostante la crescita della disoccupazione e della precarietà del lavoro, ha dovuto mettere mano al portafoglio e prevedere una crescente riserva di posti nella pubblica amministrazione da destinarsi ai militari volontari una volta congedati. Cose poco nobili per chi - rispolverando D'Annunzio e contrapponendolo a Che Guevara - vorrebbe che le nuove generazioni abbracciassero la carriera militare di slancio, in nome degli antichi valori della Patria e dell'Onore.

La cultura militarista - di cui Fini è espressione - è inceppata anche sul versante del coraggio. Ci vuole infatti una bella faccia tosta nel dare del pilatesco ai pacifisti proprio quando due suoi esponenti, Simona Pari e Simona Torretta, sono sequestrate da mani ignote e rischiano di essere uccise. Il lavoro svolto da "Un Ponte per" e dal movimento pacifista italiano e mondiale - se ne faccia una ragione l'on. Fini - è il vero antitodo alla violenza del terrorismo e della guerra. Perché, a differenza dei militari falsi "pacificatori" e vere forze di occupazione, il lavoro dei pacifisti costruisce e non abbatte i ponti, tiene aperte le scuole invece di distruggerle, potabilizza l'acqua invece di avvelenarla con armi micidiali. Sono ponti che si ostinano a stare in piedi nonostante in troppi abbiano dichiarato la guerra di civiltà, come dimostra lo straordinario sussulto del mondo arabo e della sua società civile a sostegno dei quattro del "Ponte per" e per la loro liberazione. Il terrorismo poi non è una entità metafisica. Non lo si combatte con la guerra ma con una politica che svuoti i giacimenti d'odio e rimuova le ingiustizie.

Diceva, ormai oltre dieci anni fa, padre Balducci che «nell'epoca della globalizzazione essere pacifisti significa diventare eversori dell'ordine delle cose esistenti». Forse sta qui la spiegazione della preoccupazione di Fini. Lo ha capito anche lui: i pacifisti possono, se vogliono, cambiare il mondo.

Alfio Nicotra