breve di cronaca
APPELLO
Carta.org - 08-09-2004


Simona Torretta e Simona Pari, cooperanti di ³Un ponte per², sono state rapite a Baghdad da uomini armati, insieme a due iracheni che lavorano per la Ong italiana. Un terzo iracheno è sfuggito al sequestro. Secondo testimoni, i rapitori sono arrivati a bordo di tre automobili, hanno preso le quattro persone e sono ripartiti. I fatti sono confermati da ³Un ponte per², che è presente in Iraq da oltre dieci anni, e che ha lavorato a lungo per combattere gli effetti micidiali dell¹embargo cui il paese è stato sottoposto tra le due guerre irachene: una delle poche Ong che continuano a restare in Iraq e che è in particolare impegnata, in questo periodo, nel ripristino della fornitura di acqua potabile a Bassora e nel sud del paese.
Simona Pari ha collaborato con Carta, che nel marzo scorso pubblicò un suo reportage sulle scuole disastrate di Baghdad (quell¹articolo, straordinario per umanità, è leggibile ora nel sito di Carta).

Rivolgiamo un appello urgente a tutto il movimento per la pace perché si mobiliti, nei modi che ³Un ponte per² indicherà, per ottenere la liberazione delle due cooperanti e dei due iracheni sequestrati con loro. Dobbiamo tutti insieme esigere che il governo italiano si metta a disposizione, per ottenere la salvezza di Simona Pari e Simona Torretta, come quello francese ha fatto per i due giornalisti a loro volta rapiti.


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 Fuoriregistro    - 08-09-2004
Così Un ponte per Baghdad spiega la decisione di essere in Iraq, per "riempire il baratro che la guerra scava tra i popoli".
Eppure ruspe gigantesche scavano senza sosta e il baratro diventa incolmabile.



Gli aerei italiani stavano bombardando Bassora quando, rispondendo ad una suggestione di padre Balducci che disse "bisognerà risarcire gli iracheni per quello che gli stiamo facendo", decidemmo di dare vita ad una raccolta di fondi per inviare medicinali in Iraq.
Nacque così "Un ponte per Baghdad", come atto che riconosceva una nostra "responsabilità" per non essere stati in grado di evitare la partecipazione italiana alla prima guerra del Golfo. Nello stesso tempo, dicemmo, occorreva "riempire il baratro" che la guerra scava tra i popoli.

Quindi non solo sostenere materialmente quello che ufficialmente era il nostro nemico ("I popoli non possono essere mai nemici"), ma costruire conoscenza reciproca e amicizia. Di qui l'idea del "ponte". Un ponte idealmente lanciato sull'atra sponda della guerra ad evitare quello che in seguito poteva e può ancora diventare una "guerra di civiltà". Quanto diversa sarebbe stata la vita di 20 milioni di iracheni, e la nostra stessa vita, se invece che costruire il muro dell'embargo anche i governi occidentali avessero costruito ponti?
Dopo qualche giorno la guerra sembrò finire, ma scoprimmo presto che non era vero. La tragedia dell'embargo era appena iniziata, ed anche la nostra storia.
In questi lunghi anni abbiamo imparato a conoscere e a apprezzare questo paese e la sua gente. Su quel "ponte" sono passati non solo aiuti umanitari, ma gente italiana e irachena, nei due sensi, per conoscersi e sostenersi. Un ponte i cui pilastri sono la solidarietà concreta dei progetti, l'impegno civile per ottenere una diversa politica estera, la relazione e la conoscenza della cultura dell'altro come prevenzione del sostegno delle opinioni pubbliche alla guerra. Insieme ai progetti nel campo sanitario, educativo e della potabilizazione dell'acqua che si è potuto realizare in Iraq, e che senza soluzione di continuità continuano tuttora, Un ponte per... ha svolto una intensa attività di sensibilizzazione politica dell'opinione pubblica italiana perchè non fosse dimenticata la tragedia irachena e il genocidio dell'embargo. Con i viaggi di conoscenza e solidarietà, le iniziative culturali, i sostegni a distanza e i gemellaggi scolastici abbiamo tentato di far conoscere questo popolo. Una attività che crediamo abbia contribuito a creare le condizioni per le imponenti mobilitazioni che proprio in Italia ci sono state contro la guerra di Bush.
Nel 1995 finalmente raggiungiamo Bassora, ove i bombardieri italiani avevano seminato morte, e apriamo un ufficio a Baghdad. Da allora la presenza sul territorio è stata continua senza interrompersi nemmeno durante la guerra del marzo 2003. Siamo ancora in Iraq e continueremo ad esserci come abbiamo sempre fatto con un obiettivo in più: contribuire alla crescita della società civile irachena che sola può evitare al paese la inaccettabile alternativa tra occupazione militare e guerra civile e permettere di non disperdere le conquiste sociali, di civilità, laicità e autonomia che la gente dell'Iraq, nonostante la dittatura ha comunque conseguito in un legame forte con 6000 anni di storia.

 Pierangelo Indolfi    - 08-09-2004
Appello del Comitato Fermiamo la guerra e di Un Ponte per la liberazione di Simona Pari e Simona Torretta

Noi, movimento italiano per la pace, fratelli e sorelle di Simona Pari e di Simona Torretta, operatrici di pace in Iraq, chiediamo alle persone che le detengono insieme ai due operatori iracheni, Ra'ad Alì Abdul-Aziz e Mahnaz Bassam, di liberarli subito. Vi chiediamo di considerare quanto danno state provocando alla causa della pace e a quella del popolo iracheno.

Come ha scritto l'Unione delle comunità islamiche in Italia, "testimoniate coscienza di un debito di riconoscenza nei confronti di coloro che hanno condiviso la sofferenza del popolo iracheno negli anni dell'embargo, che sono rimasti nel paese quando dal cielo piovevano le bombe, che non l'hanno abbandonato neanche in questi mesi orribili di confusione e violenza".

Vi chiediamo di non spezzare il filo di solidarietà che, nonostante e contro l'embargo prima e la guerra poi, nonostante e contro le scelte del nostro governo, persone come le nostre sorelle hanno mantenuto tenacemente e coraggiosamente, ad esempio rifornendo di acqua la popolazione assediata di Falluja e Najaf.

"Un ponte per", la loro Ong, insieme a centinaia di organizzazioni sociali e politiche del nostro paese, ha organizzato gigantesche manifestazioni a favore della pace e per il ritiro delle truppe straniere dall'Iraq, e ha cercato di non abbandonare gli iracheni all'arbitrio dell'occupazione militare.

In nome di questa lotta e della verità, vi scongiuriamo: liberateli subito.

Al popolo iracheno e a tutti gli amanti della pace nel mondo, e in Italia, chiediamo di aiutarci nel tentativo di salvare la vita di Simona Pari, di Simona Torretta, di Ra'ad Alì Abdul-Aziz, di Mahnaz Bassam. Erano a Baghdad a nome di tutti noi. Nella loro prigione siamo anche noi, oggi.

La loro liberazione sarebbe uno spiraglio di luce nel buio della violenza. Ancora in queste ore, in molte città irachene, la guerra miete vittime innocenti. Perciò continuiamo a chiedere con fermezza che tacciano le armi, che termini l'occupazione.

Ogni forma di mobilitazione, di pressione, gli appelli e le fiaccolate, i messaggi ai rispettivi governi sono i mezzi di cui disponiamo, noi popolo della pace. Usiamoli tutti, adesso.

Al movimento italiano chiediamo di scendere in piazza, in ogni città, da subito, con i colori dell'arcobaleno e nel nome delle nostre sorelle e dei nostri fratelli sequestrati in Iraq.

http://www.fermiamolaguerra.it/>Il Comitato italiano Fermiamo la guerra, organizzatore delle marce del 15 febbraio 2003 e del 20 marzo 2004

http://www.unponteper.it">Un ponte per Baghdad




 Catherine Dickehage    - 08-09-2004
Il Consorzio Italiano di Solidarietà - ICS esprime solidarietà e vicinanza alle ONG Intersos e Un Ponte Per e si stringe attorno alle famiglie di tutti gli ostaggi rapiti ieri a Baghdad.

La presenza del Consorzio Italiano di Solidarietà - ICS in Iraq non è in dubbio: si ribadiscono la propria volontà di proseguire nell'impegno umanitario nel paese e la decisione di rimanere seppur siano state temporaneamente sospese le attività e la prevista partenza per Bagdad dei propri operatori italiani.

"Siamo vicini a Simona Pari, Simona Torretta, Ra'ad Alì Abdul-Aziz e Mahnaz Bassam con i quali in questi mesi abbiamo condiviso tanto lavoro e tanto impegno" commenta Rosita Viola, Direttrice di ICS - "auspichiamo vivamente la loro pronta liberazione e ci auguriamo di poterli riabbracciare presto".

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Il Consorzio Italiano di Solidarietà - ICS ha iniziato le proprie attività in Iraq nell'aprile del 2003 con l'ingresso nella capitale irachena bombardata dei primi convogli umanitari in collaborazione con Intersos e Un Ponte Per. Con le stesse organizzazioni condivide dal maggio del 2003 la propria sede di Baghdad.
ICS è attualmente impegnata in programmi di assistenza umanitaria nel campo della sanità e dell'educazione oltre ad aver avviato attività di sostegno alla società civile e di formazione professionale rivolti alle categorie più vulnerabili.

 Stefano Olivieri di inmovimento.it    - 10-09-2004
Lo hanno definito un sequestro “anomalo” perché stavolta sono state rapite due donne. Come si in guerra si facesse distinzione per età e sesso e non si colpisse invece indiscriminatamente nel mucchio. Soltanto ieri ad esempio a Falluja gli americani hanno fatto 100 morti sganciando le bombe, e le bombe per quanto intelligenti e teleguidate non ti chiedono la carta di identità prima di vaporizzarti. Donne bambini e vecchi fra l’altro sono bersagli assai più facili di un miliziano armato fino ai denti e quando ti prude il dito sul grilletto ogni bersaglio è buono.

Così il sequestro di Simona Pari e Simona Torretta non è anomalo per niente. Forse è insolito, perché avvenuto in pieno giorno al centro di Baghdad, con un gruppo di fuoco che ha agito in tutta tranquillità. Ma è insolito anche il fatto che le due donne, per quanto regolarmente presenti nell’elenco - a disposizione del nostro governo – dei civili presenti a vario titolo in Iraq, fossero totalmente indifese, nemmeno un soldato italiano dei tremila schierati umanitariamente in Iraq a sorvegliare la loro attività. Una occasione persa per la nostra guarnigione, di dimostrare al paese che la missione Antica Babilonia è davvero umanitaria. Invece le ong sono ignorate, quando non guardate addirittura con sospetto, ne sa qualcosa Emergency di Strada. D’altra parte anche l’organizzazione ufficiale umanitaria italiana, quella della Croce Rossa, restata ostinatamente in Iraq malgrado le immense difficoltà e il grave pericolo di vita, anche dunque l’organizzazione presieduta dal forzista Scelli non è riuscita a proteggere il povero Baldoni dall’imboscata che gli è costata la vita.

Direi piuttosto che il sequestro delle due donne di pace italiane, più che insolito, è imbarazzante per la destra al governo. Perché Simona Torretta è una donna apertamente impegnata a sinistra, vicina a Rifondazione comunista e collaboratrice dell’Unità. A meno di trenta anni rischia la vita per salvare i bambini irakeni dalla guerra, per restituire dignità e speranza a un popolo soggiogato prima da un tiranno come Saddam e poi da due anni di occupazione manu militari messa in atto dai “liberatori”. Questo sì che è imbarazzante, e non servono i giochi di prestigio – esemplare il titolo di “Libero” : “Rapite dal pacifismo” – per nascondere la verità all’intero paese. Operazioni di sciacallaggio giornalistico come questa condotta dal giornale più filogovernativo avvengono mentre Berlusconi richiama tutti all’unità, roba da matti. Questa è davvero la repubblica delle bandane.

Le due Simone sono state rapite perché italiane, prima di tutto. Cioè provenienti da un paese il cui presidente padrone appoggia Bush e Sharon senza mezzi termini. Sono state rapite perché portatrici di una modalità di fare democrazia realmente democratica, cioè niente armi ma dialogo e vera conoscenza dei problemi, a cominciare dalle piccole menti dei bambini. Far nascere in Iraq una scuola libera nello stesso tempo dalle veline governative di un governo fantoccio e dal controllo dei fondamentalisti (ricordiamoci sempre delle scuole craniche che hanno sfornato i talebani..) è una impresa davvero rivoluzionaria e coraggiosa, che avrebbe meritato maggiore rispetto e tutela da parte del nostro governo. Siamo alle solite.

Adesso che la frittata è fatta è perfettamente inutile strapparsi le vesti. Berlusconi raduna governo e opposizione per pararsi le spalle, in attesa di una richiesta dei sequestratori. Se chiederanno di andarcene dall’Iraq si risponderà naturalmente di no, manco a ragionarci, e se piangeremo altre vittime saremo tutti uniti nella responsabilità. Questo il disegno del premier, che oramai ha pochissime frecce al suo arco per continuare a tenere soldati in Iraq. Se qualcuno nel centro sinistra gli farà da sponda sarà la fine dell’unità raggiunta nell’ultima mozione.

Ne hanno rapite due, non una, di donne italiane. Ed io ho un tremendo presagio, tornando con la memoria alla prima vicenda di sequestri che interessò i mercenari italiani, fra cui il povero Quattrocchi. Il sospetto che i sequestratori hanno la possibilità di sacrificare una vita per alzare il prezzo dell’altra, che una delle due donne possa essere sacrificata per esercitare pressioni.

Così stavolta occorre davvero pensarci su, prima di unirsi tutti nel rituale del rifiuto al negoziato. Non per mostrarsi deboli nei confronti dei sequestratori, ma per smascherare una volta per tutte al popolo italiano il vero scopo della nostra missione in Iraq, quello di fare la guerra al servizio delle truppe occupanti. Anzi meglio, di tentare di farla, perché ormai ad ogni uscita i nostri soldati sono oggetto di attacchi ripetuti, ieri addirittura da tre diverse postazioni. L’Iraq è un incendio ed è assurdo affermare, come ha fatto Casini, che non ci sia laggiù una vera resistenza. A meno di non identificare ogni irakeno, anche le donne e i bambini, in un miliziano o in un terrorista.

L’Iraq rifiuta la democrazia importata, questo è l’unico dato certo. Tutto il territorio occidentale del paese è in mano agli insorti, e non vi è centro urbano di una certa consistenza che possa dirsi sotto il completo controllo degli angloamericani. La guerra preventiva è fallita, perché non ha annientato il terrorismo ma lo ha invece alimentato, perché non è finita ma anzi continua più virulenta di prima.

Tra pochi giorni ricorrerà un triste anniversario, tre anni dall’undici settembre. Tra Israele e Palestina è ancora guerra di morti, in Russia si piange la morte di più di 150 bimbi per mano dei terroristi ceceni, in Iraq si combatte e si bombarda ovunque e ovunque si attuano sequestri, sempre più spesso di civili. Il paragone con il Vietnam comincia a barcollare, qui potrebbe finire anche peggio, basti pensare a Sharon che accusa Damasco, basti guardare in Russia, non solo in Iraq.

Opponiamoci uniti alla guerra, se vogliamo davvero salvare non solo le due nostre connazionali, ma tutto l’Iraq da questa carneficina. Pretendiamo con tutte le forze che riusciamo ad esprimere un immediato ritiro delle nostre truppe e un intervento delle Nazioni Unite, altrimenti l’elenco dei lutti si allungherà ogni giorno di più. Simona Pari e Simona Torretta stavano lavorando per la pace, e sono state fermate perché molti altri italiani in Iraq lavorano in tutt’altra direzione. Fin quando non li fermeremo il nostro paese non sarà mai quello di “italiani, brava gente” quanto piuttosto quello delle mine anti uomo, quello degli alleati servizievoli a Bush e Blair, quello di un premier che farnetica sul primato dell’occidente. Fermiamoli e voltiamo pagina con questo incubo, prima del prossimo sacrificio umano.