“
Sulla necessità di riforma del corpo docente per una scuola migliore”.
di Antonio Pistillo
dalla redazione di Meridiano scuola
1. Premessa
Le ultime attività parlamentari e le recenti inchieste di varie fondazioni ripropongono un dibattito mai davvero affrontato fino in fondo sui delicatissimi argomenti della formazione degli insegnanti e della carriera docente.
Questi temi hanno un valore imprescindibile per la qualità dell’offerta scolastica e per questa ragione mi auguro che il mio intervengo sia spunto di seria analisi.
Mi scuso in anticipo se il mio scritto sarà in certi punti polemico e impietoso. Ma questo, che non ha la presunzione di proporre nulla di inedito, vuole essere un contributo sincero con informazioni riguardo alla discussione fino adesso in corso con qualche spunto polemico affinché nasca finalmente all’interno della categoria docente un serio dibattito sulla professionalità degli insegnanti e sul miglioramento del sistema scolastico.
Sarò anche brutale e massimalista nel puntare il dito contro i difetti della categoria perché lo scritto si rivolge proprio agli insegnanti ed è redatto da un appartenente alla categoria. Tra pari ritengo fondamentale un’analisi franca che rifuggi dall’auto indulgenza per permettere la costruzione di un’identità priva di debiti con il passato.
Qui voglio sollecitare alla costruzione di una coscienza professionale che fino adesso è mancata alla categoria.
Nella mia disquisizione terrò sempre come priorità condivisa che la scuola è funzionale allo studente; il fine ultimo di tutto il sistema d’istruzione è la qualità dell’apprendimento dell’allievo.
Parto dalla considerazione che la scuola italiana, lungi dall’essere un sistema definitivamente inefficiente come a qualcuno potrebbe far comodo far credere, è un sistema che però riscontra una seria situazione di paralisi ed inadeguatezza alle esigenze dell’attuale società moderna.
Parto dall’assioma più volte da me ribadito che il miglioramento della scuola italiana passa necessariamente dal miglioramento della classe docente italiana.
Non va nemmeno dimenticato che, sempre per effettuare l’auspicabile azione riparatrice dei guasti della scuola, non si può prescindere da una seria politica di grandi investimenti economici per il rilancio del sistema. Senza un significativo supporto economico nessuna operazione di riforma che si presenta come seriamente valida potrà dare significativi frutti.
Vista l’ampiezza e la delicatezza della materia trattata il mio intervento si articolerà in diversi punti che compariranno sulle pagine di questa rivista in maniera separata. L’intervento pertanto si suddividerà e verrà così pubblicato: 1. “Premessa” e “Il corpo docente”; 2. “Responsabilità dei sindacati e consapevolezza professionale” e “Formazione e carriera”; 3. “La Commissione per la carriera insegnante”; 4.“Una proposta per la valutazione della pratica didattica” e “Conclusioni”.
Il corpo docente
Il corpo insegnante è la categoria deputata a fare una riflessione sul risanamento della scuola che parta da un’analisi severa e obiettiva sulla propria categoria proponendosi di migliorarla.
A causa di ragioni ormai storiche che non tratterò qui per motivi di spazio, il corpo docente è mediamente troppo anziano (notizia ANSA del 28 Giugno 2004 “Scuola: un prof su due e' over 50”.), sempre più numeroso (rispetto agli alti numeri di studenti per classi. Nel merito il Ministro Moratti, in occasione della presentazione del 1 Luglio 2004 dell’Indagine dell’associazione TreeLLLe ha riferito che il rapporto alunni docenti “è pari a 10,2 contro un 12,5 del resto d’Europa”. Il Ministro però dimentica che nella cifra da lei citata vengono anche conteggiati gli insegnanti di sostegno che invece sono assenti nei sistemi scolastici europei. Dunque è vero che il numero degli insegnanti è abbastanza alto ma le proporzioni reali non sono molto distanti da quelle europee.), demotivato (inchiesta dell’Espresso n.41 anno XLIX del 9 Ottobre “E’ scoppiato il Prof”), in molti casi esausto (ciò è evidentemente strettamente connesso al livello anagrafico. Esso risulta troppo avanzato per una professione che, per gli alti livelli di logorio psicologico che comporta, avrebbe bisogno di livelli anagrafici molto più bassi per garantire le necessarie energie per alti risultati di rendimento), e purtroppo, in certi casi, impreparato, disinteressato e paradossalmente diffidente nei confronti della teoria didattica. Non vi sono indagini ufficiali per corroborare l’affermazione delle ultime aggettivazioni (caratteristiche spesso legate tra loro) ma chiunque abbia lavorato per un certo periodo nella scuola si trova immancabilmente a constatare che non pochi insegnanti risultano sforniti di dotazione didattico-teorica e/o adeguata conoscenza della disciplina insegnata. E’ altresì innegabile che altri insegnanti si palesano quotidianamente indifferente agli obblighi etici della propria professione.
La scarsa preparazione di molti docenti è dovuta alla mancanza, fino a pochissimi anni fa, di una seria, adeguata e specialistica formazione universitaria, e anche all’esistenza di pratiche abilitanti spesso poco serie a causa della sciagurata passata (purtroppo ancora vitale) politica scolastica ordita dalla miopia politica e dall’egoismo della pratica sindacale.
Il disinteresse alla missione dell’insegnamento è scaturito dal ‘patto scellerato’ come qualcuno lo ha definito prima di me, per cui: “io, Stato, ti do poco, e io, insegnante, faccio poco”. Anche ciò scaturito dalla corporativa trattativa sindacale fino adesso condotta.
2. Responsabilità dei sindacati e consapevolezza professionale
Emerge da una rigorosa analisi dei limiti dell’attuale corpo docente italiano la pesantissima responsabilità dei sindacati. Questi hanno fatto ad oltranza fino adesso una politica di difesa dei diritti dei propri lavoratori senza avere il coraggio di puntare alla valorizzazione della professione per ottenere un adeguato riconoscimento economico. I sindacati hanno piuttosto preferito operare in un primo momento un’azione di mass-recruiting scambiando la scuola, luogo deputato all’insegnamento, per un luogo deputato al reclutamento indiscriminato; nel secondo momento si sono concentrati sulla difesa e l’imperituro mantenimento indifferenziato dei diritti acquisiti degli insegnanti di ruolo.
E’ mancata disastrosamente, da parte delle sigle sindacali, una politica per il miglioramento del sistema scuola, azione questa spesso inconciliabile con le priorità sopra elencate del sindacato.
Ma, vista la natura stessa di ogni organizzazione sindacale, era ovvio che questo accadesse.
L’errore più grosso è stato quello di aver delegato i sindacati come unici interlocutori per la discussione di qualsiasi questione scolastica.
Ne consegue che, per il bene della categoria insegnante e conseguentemente per il bene del sistema scuola, deve diffondersi una consapevolezza professionale tra i docenti affinché questi costituiscano una forte, rappresentativa e autorevole associazione insegnanti con la quale affrancarsi dal patronato sindacale.
Il problema consiste nel fatto che tale consapevolezza si può innestare solo all’interno di un corpo docente nuovo, motivato, selezionato, e non compromesso con il vecchio sistema assistenzialistico. Un corpo docente pronto a mettere da parte i gretti interessi personali per il bene della categoria tutta e della scuola. Un corpo docente fortemente motivato, dunque, e non fatto in buona parte di insegnanti che vedono la docenza soprattutto come mera possibilità di contribuire economicamente agli introiti familiari con molto tempo libero da poter dedicare alla famiglia o ad un secondo lavoro.
Per cambiare sembrano dunque necessari due fattori imprescindibili: la seria formazione (che sia anche forte selezione. Galimberti, durante la puntata di Ballarò del 2 marzo, a gran voce affermava “che ad insegnare devono essere persone veramente capaci di comunicare quello che sanno”) che dia il necessario bagaglio teorico/pratico e che al tempo stesso dissuada dall’idea di un facile ingresso in questo mondo professionale; e un’adeguata retribuzione che finalmente riconosca alla professione docente l’importante funzione che svolge per la costruzione di una società civile ed avanzata come la nostra pretende di essere.
Formazione e Carriera
Riguardo alla formazione la riforma Moratti ha previsto l’art.5 che regola il reclutamento attraverso un corso universitario specialistico di due anni più un periodo di tirocinio nelle scuole (l’argomento merita sicuramente un approfondimento che rimando ad altro intervento). La questione è costituita dal fatto che prima di quegli insegnanti ci sono, in attesa da anni, centinaia di migliaia di insegnanti precari che a vario titolo aspettano (e non si sa per quanti anni ancora dovranno attendere) di essere definitivamente assunti. Il colmo dell’incoerenza di questo esecutivo è che, tra questi precari, ve ne sono alcune decine di migliaia già formati alla stregua dell’art. 5 della riforma. Questi, se in un primo momento hanno visto riconosciuto il valore aggiunto della formazione specialistica, negli ultimi due anni sono stati fortemente penalizzati.
Anche l’art. 5, come le recenti scuole universitarie di specializzazione, e come più volte il Ministro Moratti ha ribadito, prevede una formazione a numero chiuso in funzione del fabbisogno occupazionale. Purtroppo tale numero non è stato fino adesso rispettato, e mi auguro di cuore che lo sia nel futuro (altrimenti, tale legislazione, oltre a risultare discutibile perché ‘doppione’ rispetto alla Ssis, sarà del tutto inutile).
Il secondo fattore imprescindibile per migliorare il corpo docente è costituito dalla retribuzione adeguata. Ma affinché possa davvero avvenire una palingenesi della categoria e contribuire, insieme alla formazione/selezione, a risolvere il problema del precariato, la retribuzione deve essere necessariamente differenziata.
Finalmente l’opportunità di carriera professionale per il docente è ormai generalmente riconosciuta come fondamentale (il 1 luglio è stato presentato il quarto quaderno “Quali insegnanti per la scuola dell’autonomia” dell’associazione TreeLLLe per il miglioramento della qualità dell'Education. L’analisi conferma la necessità, soprattutto a seguito di un confronto del nostro sistema scolastico con le più innovative esperienze estere, di una carriera insegnante che preveda differenti profili professionali secondo il merito di ogni docente e una adeguata differenziazione salariale). L’idea di possibilità di carriera infatti, da una parte motiva l’insegnante valido e volenteroso, e dall’altra scoraggia atteggiamenti di lassismo tipici dei luoghi di lavoro caratterizzati dall’appiattimento salariale.
Su questo argomento si sta discutendo negli ultimi mesi attorno al tavolo dell’Aran (la commissione prevista dall’art. 22 del ccnl 24.7.2003 composta da ARAN, MIUR e organizzazioni sindacali ha elaborato un documento con alcuni possibili percorsi della carriera insegnante e un’appendice relativa a esperienze europee desunte dai dati OCSE). La materia è estremamente delicata, e, affinché si possa arrivare ad un’articolazione valida del percorso di carriera, è fondamentale che si apra all’interno della categoria un serio dibattito, per evitare che, come sta succedendo, siano solo gli onnipresenti sindacati a gestire il confronto con il rischio di vedere sfumare un’importante occasione.
Da un’attenta analisi della questione emerge subito che il quesito più ostico da porsi è: come determinare l’avanzamento del docente affinché questi possa salire i vari gradini della carriera con adeguata progressiva retribuzione economica?
Uno dei criteri deve essere certamente quello dell’anzianità, ma tale criterio, che fino adesso è stato assurdamente l’unico, dovrà essere, per il bene della scuola e della categoria stessa, l’ultimo in ordine di peso. Questo perché chi lavora nella scuola sa benissimo che anni di insegnamento non sono assolutamente certezza di qualità di insegnamento. Paradossalmente la pratica quotidiana in molti casi è stata una fossilizzazione di vecchie e errate pratiche didattiche con gravi ricadute su molti studenti che hanno avuto l’unica colpa di essere finiti nella classe di insegnanti inadeguati e privi della coscienza della propria inadeguatezza.
La priorità dovrà andare finalmente, e indiscutibilmente, alla meritocrazia.
Antonio Pistillo
Anna Di Gennaro Melchiori - 23-07-2004
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Vi ringrazio per aver pubblicato l'interessante analisi di Antonio Pistillo: non so chi sia, ma finalmente leggo lucide affermazioni che riportano alla problematica di cui mi occupo da circa un anno. Il disagio mentale della categoria degli insegnanti l'ho infatti vissuto in prima persona e solo dopo aver incontrato il dott. Lodolo D'Oria in commissione medica ho avuto il coraggio di affrontare con determinazione, senza vergogna e finalmente non più sola come mi ero sentita per anni. La mia storia professionale è da tempo pubblicata su vari siti e gli ultimi dati statistici parlano chiaro, eccone uno stralcio: "Come documentato da recenti studi scientifici, tra gli insegnanti è in costante aumento la percentuale di accertamenti per idoneità al lavoro a causa di patologie psichiatriche (dal 44.5% del triennio 92-94 al 56.9% del periodo ’01- ’03 Fonte: La Medicina del Lavoro 2004)."
A settembre la rivista scientifica li pubblicherà insieme al prosieguo dello studio Getsemani e non si potrà più far finta di nulla. Del resto la Fondazione IARD ha già attivato corsi speciali sulla tematica e la Regione Lombardia per il secondo anno consecutivo ha stanziato fondi FSE per Corsi di altissimo livello. Al primo ho avuto il piacere di partecipare.
L'importante è cominciare a dichiarare che la nostra categoria è più soggetta al rischio di sviluppare psicopatie e sicuramente correre ai ripari al più presto con azioni valide da parte di chi ha il dovere di attuarle. Già nel lontano 1979 la CISL pubblicava un libello intitolato "Professione usurante" in collaborazione con l'università di Pavia. L'uso degli psicofarmaci era già altissimo e dopo la chiusura delle pensioni nel '95 la situazione è precipitata.
Grazie di nuovo per l'attenzione e buon lavoro.
Anna Di Gennaro
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Anna Di Gennaro Melchiori - 23-07-2004
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Burnout: Regione Veneto promuove indagine su condizione insegnanti.
Inviato il Mercoledì, 21 luglio @ 07:00:00 CEST di redazione2
Daniele segnala "Regione Veneto promuove indagine su condizione insegnanti.
Assessore Serrajotto, fattore 'benessere' condiziona qualità sistema
21 luglio 2004
da www.adnkronos.it
Venezia, 20 lug. - (Adnkronos) - Secondo i dati del Ministero dell'istruzione, dell'universita e della ricerca, nel Veneto erano in servizio nell'anno scolastico 2003/2004 oltre 48mila insegnanti, di cui circa 3500 nella scuole materne, oltre 18mila nelle elementari, piu' di 11 mila alle medie e circa 15.500 alle superiori. In questi ultimi anni la scuola e' stata interessata da profondi cambiamenti e per questo la giunta regionale del Veneto ha deciso la realizzazione di una ricerca sulla condizione del corpo insegnante e in particolare sul benessere-malessere lavorativo di questa categoria.
La ricerca sara' condotta dal dipartimento di psicologia dell'universita' di Verona. ''La Regione del Veneto - ha spiegato l'assessore regionale all'istruzione Ermanno Serrajotto - sta attuando dal 2001 un ampio ventaglio di iniziative che incentivino e accompagnino la crescita qualitativa del proprio sistema scolastico. Sinora gli approcci alla qualita' destinati agli insegnanti non hanno pero considerato la prospettiva di valutare il 'benessere' o il 'malessere' degli insegnanti stessi come un fattore che puo' influenzare la Qualita' della scuola veneta nel suo insieme''. (segue)
(Red-Atf/Pn/Adnkronos)" |