Una forma di lotta irrinunciabile
Francesco Mele - 22-06-2004
SCIOPERO CONTRO LA POLITICA SCOLASTICA DEL GOVERNO

Uno dei temi al centro del dibattito del movimento in questa fine di anno scolastico è quello dello sciopero contro la legge Moratti e l’idea di scuola che c’è dietro. Questo tema, in verità, è all’ordine del giorno da più di due anni: da marzo del 2002 la scuola aspetta di esprimersi in modo unitario contro la politica scolastica di questo governo attraverso lo strumento classico di protesta dei lavoratori, lo sciopero.

Questo strumento, nella tradizione del movimento sindacale, può avere due caratteri fondamentali, uno rivendicativo e uno politico.

Il primo ha come oggetto questioni squisitamente sindacali cioè legate al rapporto di lavoro, di natura economica e/o normativa.

Il secondo mira invece a condizionare l’azione politica di un governo, ad esempio per bloccare o modificare suoi provvedimenti ritenuti lesivi di diritti o tutele dello stato sociale.

Inevitabilmente però la separazione tra i due caratteri non è così netta e in realtà tutti gli scioperi possono considerarsi in qualche misura politici, se nel concetto di politica, estensivamente inteso, si vuol far rientrare qualsiasi attività esercitata in campo pubblico o in campo sociale per raggiungere fini di rilevanza collettiva. Aggiungo - prendendo a prestito un pensiero di Michele di Schiena espresso ai tempi della lotta contro l’abolizione dell’art 18 - che lo sciopero, qualunque sciopero, “consiste in una combattiva espressione di dissenso di una collettività che contrasta scelte di portata generale della controparte sociale o dei poteri pubblici ovvero di entrambi questi soggetti; la rilevanza politica dello sciopero è ovviamente maggiore quando con esso ci si oppone ad indirizzi e decisioni che non sono solo, come nel caso dell’attuale protesta, della controparte sociale ma anche e soprattutto del governo; lo sciopero e le manifestazioni che lo accompagnano, specialmente quando esprimono il disagio e le attese della stragrande maggioranza dei lavoratori, sono un momento alto e significativo di quella partecipazione “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” che, per convincimento radicato nella coscienza civile e per dettato costituzionale, costituisce il contenuto sostanziale della nostra democrazia destinata altrimenti a trasformarsi in un simulacro di se stessa fatto solo di voti, di schieramenti e di deleghe in bianco”.

Questo per dire che io penso che lo sciopero sia ancora un’azione di alto valore simbolico per tutti i lavoratori, per tutti i cittadini, un gesto legato alla dignità dell’essere contro e del lottare per le proprie idee.

La difesa e la promozione della scuola statale, la necessità che essa risponda ai bisogni formativi di tutti i cittadini, rappresentano obiettivi, e non solo ideologici, per tutti coloro - e cioè, potenzialmente, tutti i cittadini - che riconoscono nella scuola uno dei fondamenti di ogni società.

Voglio affermare con questo due concetti che ritengo importanti nell’affrontare il tema dello sciopero contro la politica scolastica del governo:

1. esso ha valore sia di lotta sia di testimonianza
2. esso riguarda tutti i cittadini

è per questo che il nostro obiettivo strategico dovrebbe essere uno sciopero generale di tutte le categorie, per la rilevanza fondante che la scuola riveste per il futuro dell’intero paese.

Di solito quando faccio questa affermazione vengo accusato, sia da destra sia da sinistra, di essere velleitario e il commento che mi viene rivolto è: eh sì, uno sciopero mondiale magari…

Lungi dal mettere in crisi il filo del mio ragionamento, questo commento mi rinforza nell’idea della dimensione globale della difesa e della promozione di una scuola statale. Una parola d’ordine transnazionale sarebbe un sensato terreno di lavoro, a maggior ragione in un’Europa che comincia ad avere consapevolezza di sé e con i GATS che vogliono mercificare anche l’istruzione. Tutto questo sarà velleitario ma è un percorso di lavoro che un movimento che si pone come obiettivo la difesa della scuola statale non dovrebbe trascurare.

Tornando all’interno dei confini nazionali, mi rendo conto che uno sciopero generale richiede un percorso di costruzione complicato, specie in un contesto politico e culturale poco sensibile ai temi della scuola. Ecco quindi che occorre proseguire per vie interne la mobilitazione, partendo ancora una volta dalle scuole, ma con un occhio alla necessità di portare fuori in modo dirompente e non più ignorabile le ragioni della nostra lotta.
In questo spirito uno sciopero di comparto contro la politica scolastica del governo può rappresentare un passaggio tattico molto importante per tutti coloro che hanno realmente a cuore la sopravvivenza della scuola statale.

Parlo di “politica scolastica del governo” non a caso.

Io penso che non si tratti solo della legge 53 e dei decreti attuativi, ma di un insieme di provvedimenti che hanno tutti come obiettivo, più o meno scoperto, la distruzione della scuola statale e l’introduzione di irreversibili elementi di liberismo anche in questo campo. Mi riferisco ai tagli dei finanziamenti e degli organici, alla precarizzazione del personale, ai nuovi esami di stato, alle cattedre a 18 ore, per quello che già è successo e allo stato giuridico dei docenti, ai nuovi organi collegiali, ai nuovi tagli, per quello che ci aspetta da qui a poco.

Voglio dire che le parole d’ordine: abrogazione della legge 53 e ritiro dei decreti attuativi, pur essendo parole d’ordine necessarie, rischiano di essere insufficienti a combattere il disegno complessivo messo in atto da questo governo.

Combattere globalmente la politica scolastica del governo potrebbe aiutarci a sensibilizzare anche coloro che finora, solo apparentemente, non sono toccati dai decreti attuativi della legge 53. Una sponda per la nostra lotta e per la riuscita di una iniziativa di sciopero che, in questo modo, assumerebbe anche quei connotati rivendicativi utili a catalizzare energie e consensi.

Ovvio che occorrerà lavorare dal basso in maniera rigorosa e diffusa per la riuscita di una scadenza come questa che, inevitabilmente, assumerà il carattere di una prova di forza, giocata come mai sul filo delle percentuali di adesione; inoltre in un contesto sempre più caratterizzato dal mezzo mediatico e quindi dalla visibilità, l’importanza del successo quantitativo diventa un imperativo.

Questo porta alcuni all’immobilismo, nella paura di essere minoranza nel “paese scuola”, altri a ritenere così irraggiungibile la possibilità di essere maggioranza da tentare comunque iniziative d’avanguardia che assumerebbero, inevitabilmente, il solo carattere di testimonianza.

Mi rendo conto che c’è una difficile linea di equilibrio tra queste due posizioni che però va ricercata con abnegazione, avendo come obiettivo portante e irrinunciabile l’unità di tutti coloro che hanno interessi e posizioni comuni in questa battaglia di civiltà.

Io penso che uno sciopero come questo può avere speranza di esprimere una maggioranza dissenziente solo se riesce a coinvolgere almeno CGIL-CISL-UIL.

Credo sia scontata l’adesione dei sindacati più a sinistra, meno scontata quella degli altri ma, ribadisco, ritengo che un’ampia unità debba essere non solo auspicabile ma un vero e proprio obiettivo da perseguire.
Detto questo, non si può ignorare il fatto che i sindacati confederali della scuola sono sollecitati da più di un anno su questo tema ma per un motivo o per l’altro non hanno ancora risposto a questo bisogno crescente nel movimento, bisogno espresso in più modi: appelli, mozioni votate all’unanimità, manifestazioni …

Sono state molteplici e differenziate le motivazioni che i confederali hanno portato a difesa di tale comportamento e se ne possono ritrovare tracce in diversi articoli apparsi, anche sulle reti di movimento, ad opera di esponenti del sindacalismo confederale.

Forse c’è un equivoco su tutti che va chiarito, nessuno pensa che uno sciopero possa rappresentare la soluzione ai nostri problemi, che con esso si riescano a raggiungere, in un colpo solo, gli obiettivi che ci proponiamo. Lo sciopero non è la panacea, ma è e rimane un passaggio irrinunciabile e significativo.

Chi non riesce a riconoscere questa necessità, questo bisogno, deve rassegnarsi a prendere atto della propria distanza dal comune sentire di un movimento fatto di genitori e lavoratori.

C’è da dire però che alcuni segnali lasciano pensare che qualcosa invece possa cambiare se pensiamo alle iniziative di alcune regioni (Emilia Romagna e Lombardia ad esempio) che hanno lanciato le parole d’ordine che tutti auspichiamo e hanno proclamato su di esse scioperi regionali unitari. A questo si aggiunga che il quadro politico generale, dopo le elezioni europee e ancor più le amministrative, è decisamente cambiato e ci possono essere tutte le condizioni per un diverso orientamento dei confederali in merito allo sciopero.

C’è chi però, nel movimento, non vuole vedere questi segnali e spinge per una costruzione dal basso dello sciopero nazionale della scuola che sottintende, neanche tanto velatamente, la proclamazione dello sciopero da parte del movimento.

Io penso che questo sia profondamente sbagliato per molteplici motivi.

Il primo deriva dal fatto che considero improprio e politicamente inopportuno per un movimento proclamare scioperi, come è improprio e politicamente inopportuno per un movimento elaborare leggi: per queste cose ci sono i sindacati e i partiti; i movimenti hanno il compito a mio avviso di incalzare gli uni e gli altri, indicando i bisogni maturati e le possibili soluzioni.

Oltretutto, a rendere ancora più impropria la proclamazione dello sciopero c’è il fatto che il movimento nato intorno alla difesa della scuola statale è costituito da genitori, docenti e, si spera in un prossimo futuro, da studenti. Ora, come si può pensare che un movimento costituito da soggetti diversi, possa chiedere ai lavoratori di un comparto di rinunciare ad una giornata di stipendio in nome di un’idea, spingendosi forse anche a condirla con elementi di natura rivendicativa? Con quale legittimità, con quale autorevolezza, con quale credibilità diffusa a livello nazionale?

Uno sciopero così proclamato poi, quante speranze avrebbe di diventare maggioranza? Quante possibilità avrebbe di far capire che il mondo della scuola difende la scuola statale e che l’idea di scuola di questo governo è minoritaria? Per me la risposta è ovvia e scontata e io penso che in questo momento il movimento di lotta contro la politica scolastica del governo non abbia bisogno di uno sciopero d’avanguardia. Un tale sciopero assumerebbe il significato di mera testimonianza dei centomila, forse duecentomila (a voler essere ottimisti), docenti e ATA che in questo anno siamo riusciti a mobilitare tra una storia e l’altra. È questo che vogliamo? Sono questi i nostri obiettivi? Io, francamente, penso di no.

E allora siamo condannati a spostare le montagne.

Io sento che possiamo riuscirci. E qui sì partirei dal basso, con un documento chiaro, semplice, definitivo e unitario, sulla necessità di uno sciopero della scuola costruito su parole d’ordine condivise (io ribadisco la necessità di parlare in generale di politica scolastica del governo). Su questo appello, unico in tutta Italia, si chieda il pronunciamento dei lavoratori, di singoli iscritti ai sindacati confederali, delle RSU. Una campagna che parta dal primo settembre (collegi di apertura d’anno) o al massimo dall’apertura delle scuole, condotta a livello nazionale dal movimento, TUTTO, e che prosegua e culmini nelle iniziative del primo ottobre. Una campagna che si ponga come obiettivo di far pervenire forte e chiaro il messaggio ai direttivi provinciali, regionali, nazionali di CGIL Scuola, CISL Scuola, UIL Scuola. È fondamentale, a mio avviso, che il messaggio parta dal basso e nel suo iter non tralasci nessuno degli organismi dirigenti intermedi.

Questo dibattito è già in corso in ciascuna organizzazione, si tratta allora di incalzarle per un pronunciamento chiaro, onesto e risolutivo.

Penso che questo faccia parte di ciò che compete ad un movimento, e che non si tratti di elemosinare come qualcuno dice, ma perseguire con abnegazione un obiettivo strategico vincente.

Francesco Mele
ScuolaFutura - Carpi
L'articolo è stato pubblicato su Retescuole



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