On. Piera Capitelli - 19-05-2004
Il sottosegretario all'istruzione,
Valentina Aprea, nel corso di un confronto a Milano, con il sottosegretario al welfare,
Maurizio Sacconi sulle interazioni tra le riforme della scuola e del lavoro, ha puntato il dito contro l'eccessiva scolarizzazione della formazione professionale italiana. Quest’ ultima è scelta dal 60% degli under 18 che continuano a studiare e si svolge esclusivamente sui banchi di scuola. L'
assenza di scambi con le imprese sarebbe, ha detto l'Aprea
la causa principale degli alti tassi di disoccupazione.
Secondo un rapporto presentato dal ministero dell’istruzione, l'alternanza tra istruzione, anche professionale, e impresa, è in uso in paesi come la Svizzera (la sceglie quasi il 57% degli studenti del canale tecnico), seguita dalla Danimarca (52,5%), Germania (quasi 49%), Francia (a quota 20%), Finlandia e Spagna.
Un sistema che, argomenta il dicastero di viale Trastevere,
serve a preparare meglio gli studenti rispetto alle esigenze delle imprese e a sottrarli dall’inattività, ossia alla condizione di non studiare e non lavorare. In Italia, gli studenti tra i 15 e i 19 anni, alle prese con gli studi, non svolgono nessuna attività lavorativa. In questa stessa fascia d’età, inoltre, quasi il 35% non studia, e non lavora.
Interpretiamo il messaggio: questo governo di centro destra vuole meno scuola e più lavoro.
Ma quale lavoro!? Con questo record, tre anni di Berlusconi al governo, abbiamo meno lavoro, meno scuola, meno reddito e più tasse per le famiglie.
Non sarebbe più serio dire che anche gli adulti dovrebbero ritornare a studiare? E soprattutto che sono necessarie: più scuola, più formazione professionale nelle istituzioni pubbliche scolastiche e nelle imprese e più alternanza scuola e lavoro dopo la scuola dell’obbligo fino a 16 anni?
In Danimarca, in Svezia e soprattutto in Germania è pur vero che vi è un’alternanza consolidata tra scuola e impresa, ma consiste nel portare la scuola nell’impresa e non viceversa. Significa che l’impresa riceve un’erogazione di fondi e sgravi fiscali e che, valorizzando le qualifiche dei dipendenti (adulti compresi), aumenta la produttività.
Non meno scuola! Ma più scuola e più possibilità per il giovane lavoratore (e adulto per la riqualificazione professionale) di ritornare a studiare.
Le idee un po’ più chiare le ha il PRESIDENTE CIAMPI che è intervenuto il primo maggio a favore della SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO TECNICO E PROFESSIONALE DELLA SCUOLA ITALIANA: “
All'Italia servono più laureati, più diplomati. Non va disperso lo straordinario patrimonio degli istituti tecnici superiori. Ne ho visitato di recente alcuni davvero straordinari, a Cantù e a Como, come mi era occorso prima in tante altre province d'Italia. Parimenti, deve essere favorita la formazione "permanente", non limitandola all'apprendimento in fabbrica.”
Senza l’alta tecnologia, saremo fuori dall’area dei paesi più ricchi. La parola d’ordine del futuro è l’economia della conoscenza. I settori più dinamici del commercio mondiale, negli ultimi dieci anni sono stati: farmaceutica, elettronica di consumo, computer, macchinari elettrici, strumenti di precisione, aerei. Insieme, costituiscono ormai un quarto di tutto l’interscambio. La stessa OCSE produce ogni anno un resoconto della scienza e della tecnologia. Gli «
investimenti in sapere», dove i ricercatori OCSE sommano la spesa per la ricerca, la spesa per l’istruzione superiore, la spesa per il software, fra il 1992 e il 2000, gli anni in cui è esplosa la «
knowledge economy», il tasso di aumento di questi investimenti, che ne sono il motore fondamentale, è stato in Italia il più basso di tutto il mondo sviluppato.
Non si può condividere con l’on. Aprea l’affermazione che più scuola equivale a più disoccupazione. Meno scuola corrisponde a meno competitività e quindi ad assenza di accesso ai nuovi mercati. Altro che meno scuola: Cina, India ci fanno concorrenza non per i manufatti semplici, ma quelli per l’alta tecnologia, e stanno avanzando perché stanno offrendo più scuola a tutti.
E allora diciamo la verità: meno scuola significa: assenza di innovazione e competitività che punta solo alla precarietà del lavoro di bassa qualifica, che esporta i cervelli migliori per comprare a caro prezzo dall’estero i benefici della ricerca.
In più per la nostra bassa natalità dobbiamo fornire maggiori attenzioni ai nostri giovani.
È un discorso freddo e arido dal punto di vista demografico e statistico, ma ne va del futuro di tutti noi.
red - 19-05-2004
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Riceviamo e riportiamo
Benedetto Vertecchi, ordinario di pedagogia sperimentale a Roma Tre, stronca il decreto legislativo.
ROMA - Vertecchi, l’obbligo scolastico è stato sostituito dal diritto-dovere. Che cosa ne pensa?
«Sono convinto che sia un errore gravissimo. E’ un ritorno al passato, a quella concezione classista e gentiliana, che vuole un Paese con giovani formati in scuole d’élite e altri, più svantaggiati, avviati precocemente al lavoro».
Professore, ma chi opta per la formazione professionale non è condannato a questa scelta. Può sempre fare marcia indietro
«E andare al liceo per studiare greco? Non prendiamoci in giro, questa è pura demagogia. La verità è che la riforma poggia le basi su un concetto liberista della società: lo Stato offre determinati servizi, ai singoli la scelta».
A suo parere, con quali conseguenze?
«Il diritto-dovere di cui parla la Moratti crea solo confusione e di fatto smantella del concetto di obbligo, sancito dalla Costituzione. E’ un fatto gravissimo. Tutto ciò si traduce nell’indebolimento della scuola».
E’ contrario alla formazione professionale?
«Assolutamente no, dico che è importantissima, ma non si può dire ad un ragazzino di 13 anni: scegli. Chi vuole che s’iscriva ai corsi di meccanico o di elettricista, come alternativa alla secondaria statale? I più svantaggiati. E dov’è allora la funzione della scuola dell’obbligo, che dovrebbe colmare le differenze di partenza e gli squilibri sociali? Insomma, optare tra i banchi e la fabbrica non è cosa di poco conto, segna la via di una persona».
A. Ser.
Dal Messaggero sulla rassegna Stampa Cgilscuola
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