Il valore delle compresenze
Gianni Gandola - 20-04-2004
Uno dei risultati dell’attuazione della Riforma nella scuola primaria e delle operazioni di assegnazione degli organici pare essere, inevitabilmente, la scomparsa delle “compresenze” dei docenti. Che cosa sono le “compresenze” e che cosa comportano sul piano organizzativo e didattico? Per i “non addetti ai lavori” occorre dire che con il sistema di formazione degli organici e di assegnazione dei docenti alle classi finora in vigore (tre docenti ogni due classi a modulo, due docenti ogni classe a tempo pieno) si verifica il fatto che l’orario complessivo di servizio dei docenti è superiore al tempo scuola degli alunni. Ad es. nel tempo pieno succede che la somma delle ore di servizio dei due docenti “contitolari” di classe è di 44 ore, a fronte delle 40 ore di scuola degli alunni. Quindi per 4 ore la settimana i due docenti vengono ad essere “presenti contemporaneamente” in classe, nella stessa fascia oraria (in genere due volte la settimana dalle 10,30 alle 12,30 o al pomeriggio, dalle 14,30 alle 16,30). Questo consente di suddividere gli alunni della classe, formare gruppi con un rapporto docente/alunni più ridotto e quindi poter svolgere attività di laboratorio, di recupero, per livelli di apprendimento o, in contemporanea con altre classi, gruppi di alunni di classi diverse (le famose “classi aperte”).

Occorre altresì ricordare che negli anni ’70 e ’80, quando l’orario di servizio settimanale dei docenti di scuola elementare era di 24 ore di insegnamento, le compresenze si verificavano quasi tutti i giorni, due ore quattro volte la settimana. L’attuale orario di servizio dei docenti (22 ore di insegnamento e 2 di programmazione didattica) se da un lato ha reso “organica” la programmazione settimanale dall’altro, riducendo l’orario di insegnamento, ha ridotto di fatto le ore di compresenza settimanali. E le attuali 4 ore non sono tante, sono il “minimo indispensabile”….

Perché dunque sono importanti queste ore? Perché sia nelle classi a modulo che nel tempo pieno consentono di svolgere attività con gruppi di alunni che altrimenti, se la matematica non è un’opinione, non sarebbe possibile effettuare. Con buona pace del prof. Bertagna infatti è possibile “rompere l’unità-classe” e formare gruppi di alunni più ridotti di numero solo se nella stessa fascia oraria sono disponibili più docenti. Non c’è altro modo né altra possibilità. Altrimenti si possono sì scombinare e ricomporre le classi, ma il rapporto numerico resta sempre un docente per classe o gruppo intero di alunni (20-25 in genere). Ora certe attività, si pensi ad esempio agli interventi di recupero, all’utilizzo di certi laboratori (informatica ma non solo), a gruppi di ricerca o di approfondimento, all’integrazione degli alunni stranieri, ecc., possono essere svolte proficuamente solo per gruppi di alunni e non a classe intera.

Nel Tempo Pieno in particolare le “compresenze” hanno sempre costituito un elemento fondante, di grande significato e le “classi aperte” un vero e proprio “cavallo di battaglia”. Al II Circolo di Rho, all’epoca di Silvano Federici, durante le ore di compresenza tutti gli insegnanti erano disponibili per tutti gli alunni della scuola e a questi venivano proposte addirittura 20-30 possibili attività, a scelta e in parte a rotazione, dai giochi da tavolo all’orto-giardinaggio, dai giochi sportivi all’animazione teatrale, alla stampa, alla danza, allo strumento musicale, a dattilografia, a pittura e ad attività espressivo-creative varie, a diverse lingue straniere. Così pure in Sant’Erlembardo, direttore Federico Niccoli, e in tanti altri tempi pieni della provincia di Milano. In parte, anche se in misura più ridotta, questo vale ancora oggi ed è esattamente uno degli aspetti che contraddistingue il Tempo Pieno tradizionale, se così vogliamo chiamarlo, dal “tempo pieno di 40 ore (27+3+10)” della Riforma Moratti. Vale a dire uno degli aspetti che fanno la differenza tra qualità e quantità oraria.

Soprattutto nella scuola a tempo pieno, all’interno di una “giornata lunga” di scuola, poter disporre di momenti di scomposizione della classe e poter offrire attività varie per piccoli gruppi di alunni ha un particolare valore, sul piano pedagogico-didattico e di gestione del tempo scuola. Consente una maggiore individualizzazione dell’insegnamento e più possibilità di recupero (con una maggiore attenzione ai processi di apprendimento dei singoli alunni, soprattutto a quelli in difficoltà o agli alunni stranieri). Diversifica la proposta delle attività didattiche in modo da renderle più interessanti e, perché no?, piacevoli e divertenti per i bambini.

Ora, con l’attuazione della Riforma Moratti, se l’organico verrà assegnato alle scuole in base all’orario degli alunni, al “tempo scuola strettamente necessario” per la copertura della classe (27, 30 o 40 ore - vedi comma 4 dell’art.7 del D.Lvo n.59/2004) tutto questo non sarà più possibile. In una logica aziendalistica il “taglio delle compresenze” comporta senza dubbio un risparmio per il MIUR, riducendo il numero dei docenti necessari e quindi i posti in organico. In una visione pedagogica questo riduce drasticamente le potenzialità dell’offerta formativa, compromette la “qualità” stessa del progetto educativo, del modello scolastico.

Per questo è necessario riaffermare il valore delle compresenze e difendere il tempo pieno. In un intervento su ScuolaOggi in risposta ad un precedente articolo di Dedalus, Vittorio Del Moro, “insegnante di T.P. da vent’anni”, sostiene che non sarebbe il momento, adesso, per porsi tanti interrogativi sul tempo pieno (cosa funziona e cosa no). Sotto bombardamento - dice Del Moro -sotto il fuoco nemico della Riforma Moratti, bisogna difendere il tempo pieno e basta e tenercelo ben stretto. Un po’ come dire “primum vivere, deinde philosophare”. Certo, caro Del Moro, che bisogna difendere il tempo pieno, ma per difenderlo efficacemente bisognerà pur dire cosa lo contraddistingue dalle 40 ore della Riforma Moratti, quali sono le differenze in termini “qualitativi”. Altrimenti la battaglia è persa in partenza e vinceranno i messaggi veicolati dagli spot televisivi (tempo pieno di 40 ore di scuola, internet, inglese). Riaffermare il valore delle compresenze allora vuol dire battersi innanzi tutto per mantenerle, conditio sine qua non per poter fare scuola in un certo modo. Mai poi vuol dire anche “fare scuola in un certo modo”, attuando sul serio progetti didattici e attività di classi aperte e di laboratorio, programmate insieme dal team docente. Qualificarle quindi o riqualificarle, nei casi in cui ne venga fatto un cattivo uso (doppia presenza dei docenti in classe, senza attività programmate e per gruppi-alunni), per rendere effettivamente credibile questa battaglia.

Alla domanda “quale Tempo Pieno difendiamo e che cosa?” cominciamo allora col rispondere: le classi aperte, i progetti didattici e le attività per gruppi di alunni. Quindi, ipso facto, le compresenze dei docenti.


Gianni Gandola, dirigente scolastico



interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Vilma Baraccani    - 25-04-2004
Concordo pienamente con quanto esposto, estendendo la problematica al Tempo Pieno della scuola media.
Quali laboratori, quali recuperi, quale orientamento è possibile con gruppi di ventune più alunni in un momento in cui, sempre più, ogni alunno richiede di essere oggetto privilegiato nel rapporto con l'insegnante?
Piccoli gruppi, tante contemporaneità, possono davvero rispondere ai bisogni formativi dei nostri alunni, portandoli così ad approdare con strumenti saldi nel pianeta delle scuole superiori.
Non si possono cancellati 20 anni d'esperienza seria anche nella scuola media, con un'offerta genererica e non mirata.