A proposito di giornalismo corretto...
Giovanna Nigrelli - 16-04-2004
Insegno lettere alle scuole superiori e da qualche anno il Ministero dell’Istruzione mi “ha imposto”, come ai miei colleghi, di insegnare ai miei alunni anche come si scrive un articolo di giornale.
Certamente non sono la sola ad essermi chiesta: “In che modo si scrive un articolo di giornale?” Il Ministero stesso ci dà alcune regole base, una delle quali che l’articolo di giornale dovrebbe fare una chiara distinzione tra “notizia” e “opinione personale dell’autore”, ciò al fine di non influenzare l’opinione del lettore. Si suggerisce uno stile semplice, poco “retorico”, un linguaggio tratto dalla quotidianità e non “sensazionalistico”, facendo parlare il più obiettivamente possibile la notizia stessa, magari supportata da cifre e dati.
Così spesso mi capita di spiegare “per exempla”, ovvero utilizzando come modello uno dei quotidiani che ogni giorno arriva in omaggio a scuola. Allo stesso tempo dagli stessi quotidiani traggo i documenti che servono per effettuare le prove pragmatiche di scrittura.
E’ così che il 9 marzo, mi capita di sfogliare La Repubblica e noto in prima pagina sull’inserto di Palermo un articolo titolato “I vigili urbani ne fanno un’altra”. Accanto un editoriale, dal titolo più enigmatico: “Troviamogli una Giulietta”.
Incuriosita comincio a scorrere le righe. La lettura si trasforma ben presto in stupore, poi in indignazione. Indignazione che diventa sdegno e perplessità quando leggo l’articolo a pagina V dell’inserto e l’editoriale di cui sopra.
Sdegno e perplessità perché entrambe gli articoli contraddicono tutto ciò che ho fin’ora insegnato. E non soltanto come docente di lettere, ma anche come “educatore alla legalità” e formatore di coscienze civiche.

Tra colleghi ne abbiamo discusso e tutti ci siamo chiesti quale motivo poteva spingere dei giornalisti, teoricamente accreditati a livello regionale, a scrivere un articolo contro un vigile urbano. Non contro uno qualsiasi, ma facendone addirittura il cognome.
Trattandosi di un accreditato quotidiano di chiaro orientamento politico, che vanta precedenti di denuncia, inchieste giornalistiche serie ed approfondite, ci aspettatavamo che il “bersaglio” dell’articolo ne avesse fatta una grossa. Chissà, magari invece di lavorare se ne stava a fare la spesa, o a giocare la schedina, o a fare altro, come spesso accade tra gli impiegati… e che La Repubblica denunciasse il suo assenteismo. E invece no.

L’articolo, di ben cinque colonne, racconta di uno “zelante” agente di polizia municipale che, udite udite, forse per la prima volta nella storia di Palermo, ha multato i “pacifici automobilisti” colpevoli di aver “innocentemente posteggiato” la propria autovettura dove da anni tutti posteggiano, nella fattispecie, sotto un fornice. Dove sta l’inghippo? Che sotto un fornice non si può posteggiare.
Certo, se anche la Prefettura prima, e la motorizzazione oggi, per rilasciare la patente richiedono ai candidati la conoscenza dell’intero codice della strada, è anche vero che la maggior parte dei patentati di fatto non conosce a memoria lo stesso codice. Allora i due giornalisti, data questa “lacuna pregressa” e diffusa circa alcuni commi del codice della strada (se non della maggior parte di essi), avrebbero potuto informare gli automobilisti della zona di non posteggiare più sotto il suddetto fornice, pena la multa, fornendo un servizio di informazione pubblica alla cittadinanza, magari aiutando nella diffusione della legalità i corpi di polizia cittadini. Questo sarebbe stato giornalismo corretto.

Ebbene, gli autori dei due articoli, al contrario, sembrano condurre un attacco “retorico e personale” contro questo pubblico ufficiale, e nell’esercizio delle sue funzioni; come se l’articolo fosse di satira politica, si fanno beffe dello stesso agente di polizia municipale prendendolo apertamente in giro per il suo cognome (alla faccia della privacy!); tra le righe giustificano un atteggiamento di diffusa illegalità; tra sberleffi e battute di discutibile spirito offendono anche la città di Palermo.

Come insegnante di lettere posso dirmi una esperta dell’interpretazione testuale, quindi capace di “leggere tra le righe” la reale intenzione comunicativa di un autore. Dall’articolo, di chiara intonazione retorica, traspare un certo livore, chiaramente di carattere personale: quasi certamente il vigile ha multato, tra gli altri “pacifici automobilisti”, anche uno dei due giornalisti (o entrambi?); probabilmente costoro, lungi dal pensare che fosse giusto pagare la multa perché comunque avevano commesso un’infrazione (chissà magari sostando proprio sotto il famigerato “fornice” di piazza Matteotti) hanno deciso, MOLTO POCO PROFESSIONALMENTE di sfruttare a proprio personale interesse le pagine del quotidiano su cui scrivono.

Il vigile viene accusato di essere un eccentrico, un esibizionista, uno che vuole farsi notare a tutti i costi: forse porta i capelli lunghi, il cappello alla rovescia, invece del fischietto ha una tromba? No.
La sua eccentricità, la sua colpa infamante è quella di lavorare, di fare applicare le leggi, tutte le leggi, nella fattispecie tutti gli articoli ed i commi del Codice della Strada.
Certo, in Italia, chi lavora, chi lavora seriamente, credendo in quello che fa, è sicuramente un eccentrico; chi non si vergogna di ammetterlo pubblicamente è di certo un esibizionista!! Ma un vigile urbano che, a Palermo, decide di fingere di trovarsi a Zurigo o a Stoccolma, e di comportarsi di conseguenza, è proprio un aspirante suicida! Un pazzo, uno che vuole farsi notare…

Che c’entrano Zurigo e Stoccolma? C’entrano, perché “g.f.”, l’autore dell’editoriale, prende in giro l’agente con il riferimento alla presunta mancanza di una Giulietta, dal momento che di cognome fa Romeo. Con questa “ironicamente insinuata” mancanza di una compagna intende forse motivare l’eccentricità della “pignoleria” del vigile. E a proposito del suo “zelo” cita anche queste due città europee. Se ci fossimo trovati a Zurigo o a Stoccolma allora sì che avrebbe capito lo zelo dell’agente di polizia municipale, la letterale applicazione di tutti i commi del Codice, anche quelli più “astrusi” e “cervellotici” (cito testualmente), perché Zurigo o Stoccolma si sa, sono conosciute a livello mondiale per la loro assoluta pulizia, financo del loro manto stradale, dove “non c’è nemmeno una carta per terra”, mentre a Palermo…
Oltre ad essere una città dove per terra trovi di tutto, Palermo è una città dove gli automobilisti fanno quello che vogliono, in barba ad ogni più semplice norma del vivere civile, quindi… che bisogno c’è di “scomodare” addirittura i fornici?!
Ovvero i vigili urbani dovrebbero occuparsi solo del grosso, di ciò che “salta agli occhi” e lasciare stare i pacifici automobilisti che posteggiano qua e là sotto qualche fornice (e se fosse stato Porta Nuova?), su qualche marciapiede o in qualche zona vietata, magari un po’ più nascosta delle altre. Per codesti contravventori di minor specie basta una pacca sulla spalla… un rimprovero verbale, forse, ma una multa no!
Ma, sulla strada… ognuno si fa le sue regole? Ogni vigile deve decidere arbitrariamente quello che conta e quello che non conta?
Certamente l’agente in questione è uno di quelli che lascia decidere al Codice della strada e multa chiunque commetta una qualsiasi infrazione, di qualsiasi genere, chiunque esso sia e ovunque esso si trovi, e non credo lo faccia per sfogare una insoddisfazione sentimentale. E probabilmente lo fa anche a suo rischio e pericolo, conoscendo l’arroganza di molti…

La legge è rappresentata da una donna bendata che regge una bilancia: il che vuol dire che essa non guarda in faccia nessuno, ed è uguale per tutti; ma anche che è uguale da per tutto e che la legge sul piatto di destra è uguale a quella sul piatto di sinistra. La legge non è come i fustini di detersivo, “due al prezzo di uno”: non ci sono due leggi di qualità inferiore che equivalgono ad una legge di qualità superiore. E chi le deve fare rispettare le deve fare rispettare TUTTE, senza distinzione qualitativa.
Pensare il contrario, o lasciarlo intendere, come hanno fatto Alessandra Ziniti e g.f. vale a dire che un chirurgo che sta asportando un carcinoma maligno ad un paziente deve occuparsi solo della massa tumorale e lasciare perdere i piccoli linfonodi qua e là. O che le forze di polizia dovrebbero occuparsi solo di omicidi o azioni terroristiche, lasciando perdere i furti, gli stupri, e i reati di minore entità.

Anche questo è dovere di noi insegnanti: educare alla legalità; ovvero a rispettare la legge; a rispettare chi fa rispettare la legge; a rispettare la legge sempre e comunque, anche se nessuno ci osserva; a fare della legge un habitus mentale, un modo di essere, e non solo a Zurigo o a Stoccolma, ma anche e soprattutto a Palermo.
A Palermo c’è già tanto, troppo, da fare per diffondere l’abitudine alla legalità. A partire dalle scuole, dove dovremmo formare “i cittadini di
domani”. Dove dovremmo improntare la nostra attività di educatori sul pensiero democratico, sul dialogo, sul rispetto del nostro prossimo, allo scopo di inculcare i valori del vivere civile.
Se una barca la si vuole condurre in porto è opportuno che tutti i suoi occupanti remino nella stessa direzione. Certo che se uno dei più diffusi quotidiani nazionali, che entra a buon diritto nelle aule scolastiche, “rema contro”, il nostro lavoro ha una difficoltà in più.

In quanto docente di lettere spero che i due giornalisti ripassino il loro manuale di giornalismo: o sbagliano loro o sbagliano i manuali…in entrambi i casi, che qualcuno me lo dica, quantomeno per etica professionale, mia o loro.
In quanto cittadino rispettoso delle leggi e in quanto educatore e formatore mi ritengo indignata per la campagna denigratoria messa in atto contro l’agente Romeo sulle pagine dell’inserto di Palermo de “La Repubblica”, campagna che temo non sia finita, dato che sull’inserto del 25 marzo è comparso un altro articolo della Ziniti che ha come “oggetto” sempre lo stesso agente. Ma questa è un’altra storia.


Giovanna Nigrelli
Docente di lettere
I.I.S.S. “M. Picone”
Lercara Friddi (PA)



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