Una piccola storia ignobile
Grazia Perrone - 15-04-2004
L’impresa economica non è solo una comunità di capitale (e di interessi soggettivi) ma – prima ancora – una comunità di persone. Un’impresa è tanto più solida non solo quando sono positivi i bilanci economici e i “trend” di crescita esponenziale ma, soprattutto, quando – in “attivo” – sono anche le relazioni umane.

Gli imprenditori non devono o, meglio, non dovrebbero preoccuparsi solo di promuovere i valori economici della propria azienda (efficienza, profitto, produttività … tutti termini che – guarda caso – sono entrati anche nel lessico della scuola!), ma anche i valori umani; rispetto della persona, giustizia, equità, solidarietà.

Tutti concetti – è un caso anche questo? – enunciati dalla nostra “vecchia” Costituzione.

L’efficienza e la competitività sono leggi economiche care al sistema liberista … e non disdegnate dalla sinistra “buonsensìsta” … ma non sono – a parer mio – degli assoluti specie se si considera che la flessibilità esasperata (ovvero senza regole né leggi) si traduce in facile e arbitraria libertà di licenziare.

E’ quanto è accaduto ad una nostra
giovane lettrice protagonista, suo malgrado, di una “piccola storia ignobile” (parafrasando Guccini) alla quale è indirizzata questa nota dell’avv. Casimiro Mastino pervenuta in Redazione.



PARERE SUL CASO DELLA SIGNORA MARTA R.


È veramente difficile capire da dove cominciare nel trattare il caso della signora Marta R. Infatti la vicenda presenta un monumentale numero di elementi di illiceità e di illegalità che uno non sa veramente dove iniziare. Mi scuso, quindi, in anticipo se non toccherò tutti i punti indicati dalla signora ma solo quelli che mi paiono più cruciali.
Tuttavia, dovendo fare una scelta, cominciamo dal titolo e diciamo subito che questo licenziamento è ovviamente illegale. Un licenziamento deve essere fatto per iscritto e adeguatamente motivato. Questo licenziamento è stato orale e non ha un minimo di motivazione credibile.
Questo potrebbe essere un ottimo punto di partenza per una eventuale causa del lavoro e la signora farebbe bene a rivolgersi ad un buon professionista della sua città per impugnare il licenziamento.
Tra l'altro, essendo un licenziamento orale, non vale neppure il termine di 60 giorni per presentare ricorso.
Rimarrebbe il problema di quel documento – estorto alla signora e messo nel cassetto – con cui lei presentava le sue dimissioni dall'impiego. Su questo punto bisogna dire che l'atto legalmente non dovrebbe essere considerato valido in quanto la signora è stato costretto a firmarlo e manca, quindi, la sua effettiva volontà di concludere questo atto.
Di fronte, quindi, all'eccezione dell'ex datore di lavoro della signora, il suo difensore ben potrebbe chiedere una perizia sul documento firmato per stabilire in quale periodo è stato compilato e firmato. Dimostrando che l'atto è stato composto in periodo molto antecedente al licenziamento, si dimostrerebbe anche l'assunto che il documento è stato estorto.
Ora, fermo restando che un ricorso sul licenziamento ha buone possibilità di successo a causa dell'assoluta irregolarità dello stesso, rimane il discorso relativo al mobbing. Qui c'è un dilemma da risolvere: in che misura la signora può dimostrare i vari punti del suo racconto? Anche qui bisognerà che si consulti con il professionista di sua fiducia per valutare le prove a disposizione.
Se la signora fosse ancora “dentro” l'azienda, le avrei raccomandato di fotocopiare il maggior numero possibile di atti che la coinvolgono e che dimostrano le funzioni che ricopriva.
In ogni caso è possibile che la signora ci abbia pensato da sola ed abbia già a casa svariati documenti sul lavoro che eseguiva.
Il punto, comunque, è che bisogna essere in grado di ricostruire, in un modo o nell'altro, l'andamento delle cose come la signora le ha descritte. Perlomeno occorre poter dimostrare che nei vari periodi indicati lei ha ricoperto determinati incarichi.
Se riusciamo a far questo, allora posso vedere dal racconto della signora tutti gli elementi tipici del mobbing, primo fra tutti il demansionamento per il quale un'ampia giurisprudenza prevede il risarcimento del danno.
Inoltre, è opportuno che la signora faccia valutare ad un adeguato psicoterapeuta gli eventuali danni apportati alla sua salute dalla sofferenza dovuta al trattamento subito e richieda un'appropriata relazione medica. Preciso che non intendo un semplice e laconico certificato, ma una dettagliata relazione medica, elaborata secondo tutti i parametri del DSM IV, che sarà utilissima per l'eventuale causa di merito.
In conclusione, la situazione non è facile, la maggiore difficoltà che vedo sta nel riuscire a mettere insieme i pezzi del puzzle e questo può richiedere un po' di tempo e lavoro. Tuttavia, ho motivo di pensare che la signora, affidandosi ad un buon professionista di sua fiducia, come tanti ce ne sono nella sua regione e ricostruendo con una certa approssimazione i fatti della vicenda può riuscire ad ottenere giustizia.


avv. Casimiro Mastino


interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf