Quando un'ingiustizia passa inosservata
Elena Duccillo - 13-03-2004
Vorrei sottoporre all'attenzione dei docenti, specialmente di quelli specializzati una cosa che non riesco a tenere assolutamente per me.
Come ogni mattina, in cui ci si accinge ad affrontare la giornata lottando contro tutto e contro tutti per affermare che anche i nostri figli hanno dei diritti e sono degli esseri umani a tutti gli effetti, oggi mi sono recata a lavorare.
Mi sono imbattuta in una "cosa del tutto sconosciuta fino ad ora" che molte scuole praticano su tutto il territorio nazionale.
Mi riferisco al "progetto pilota 3 per la valutazione del sistema dell'struzione " lo potrete tranquillamente visionare qui: non voglio neanche perdere tempo a descrivervi nel dettaglio cosa sia.

Dico l'essenziale anche se è riduttivo.

Alcune scuole volontarie, oltre alle scuole campione, si iscrivono al progetto, ricevono del materiale per somministrare delle prove agli alunni e partecipano per avere informazioni affidabili sulle competenze raggiunte dagli studenti. Sulla base dei risultati si identificano dei punti prioritari di MIGLIORAMENTO della qualità del servizio erogato. Ciò avviene a livello nazionale e si svolge secondo un protocollo preciso con molte regole. All'insegnante viene fornito un manuale di somministrazione che deve seguire alla lettera per la buona riuscita delle prove da raccogliere.
Oggi ho avuto per le mani il manuale ed ho scoperto, se mai ci fosse ancora qualche dubbio, che a nessun livello nella scuola Italiana si conosce o meglio si riconosce ufficialmente l'esistenza della "programmazione individualizzata" nonché il rispetto delle rilevazioni statistiche per chi non rientra nei canoni della ****normalità****. In ogni classe dove si svolgono le prove ( Italiano, matematica, scienze ) viene consegnato un fascicolo ad ogni alunno con i test. Il manuale dice che per non urtare la sensibilità dei bambini il test va somministrato a TUTTI.
La prova e i tempi sono uguali per tutti anche per quelli che hanno disturbi di apprendimento o disabilità psicofisica nonché sensoriale, sicché a molti studenti in queste settimane che seguono una programmazione individualizzata è stato chiesto o sarà chiesto di svolgere un compito che non sono in grado di fare. La cosa non finisce qui. Esiste un codice cosiddetto di E S C L U S I O N E che si deve annotare in fase di raccolta dei dati che va apposto in una delle colonne del registro e che serve a non far entrare nel campionamento i risultati del compito che prima è stato somministrato al "poverino" di turno per non farlo sentire diverso e poi non viene analizzato come dato altrimenti falsa la statistica.
Di nuovo non è finita qui. I codici di esclusione prevedono o la disabilità fisica o quella psichica o la minorazione visiva. Il massimo della sfumatura è il codice di esclusione per chi non legge in lingua italiana.

Nulla è previsto per tutti coloro, e sono tanti, che seguono un P.E.I. per disturbi specifici dell'apprendimento.

Questi ultimi o fanno le prove e vengono registrati senza codice di esclusione ma abbassano il livello degli apprendimenti nei risultati o vengono esclusi con il codice di disabile psichico che mi sembra una bella forzatura.
E' rispetto della dignità di questi alunni dare prove uguali a tutti sapendo già che non sono in grado di svolgerle?
E' rispetto prendere in considerazione i disabili consigliando di farli partecipare per poi escluderne gli elaborati ?
In verità un occhio di riguardo c'è per i disabili, ma solo per i minorati della vista.
Solo per loro è prevista dal manuale la presenza dell'insegnante di sostegno durante le prove come "supporto logistico" e i tempi di consegna del compito vengono prolungati di dieci o otto minuti rispetto agli altri alunni. Per i non udenti non un minuto di più, per chi non legge lo script nessun adattamento del testo: esiste un fascicolo ingrandito solo per gli ipovedenti e basta.
Io ho provato molta rabbia leggendo questi documenti e mi appresto la settimana prossima ad assistere impotente alla somministrazione le prove: penso che in quei tre giorni celebrerò la sconfitta del sistema scolastico italiano e l'unica cosa che mi adopererò per fare è di non far capire nè ai miei alunni nè a mio figlio quello che sta succedendo in classe.

E' TROPPO POCO però per chi crede nelle famose parole di don Lorenzo Milani: "Nulla è più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali"

All'inizio ho pensato che tutto questo facesse ancora una volta parte dei regali della riforma, ma questa volta no!

Ho saputo che non è il primo anno che succede questo, che il progetto pilota ha avuto già altre edizioni negli anni passati.

Cari colleghi dove siete? Perchè nessuno grida allo scandalo per queste cose?

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 Salvatore Nocera    - 13-03-2004

In questi ultimi anni, la riflessione pedagogica e quella giuridica stanno concentrando i loro sforzi nel tentativo di individuare degli indicatori che consen­tano di valutare i livelli di qualità dell'integrazione sco­lastica realizzati nelle singole scuole.

La normativa è andata affinandosi in tal senso; si è passati infatti dalla generica formulazione dell'art. 12, comma 6, della legge n. 104/92 «verifiche per control­lare gli effetti dei diversi interventi e l'influenza eserci­tata dall'ambiente scolastico» a formulazioni più circo­stanziate.
Così il D.P.R. n. 275/99, «Regolamento per l'attuazione dell'autonomia scolastica», richiede una valutazione complessiva della qualità del servizio scolastico, includendo ivi, per necessità logica, anche quel­la dell'integrazione che di tale servizio è ormai parte trasversale ed essenziale.

Anzi, alla valutazione del livello di qualità raggiun­to dalle singole scuole si ricollegano anche possibili in­centivi finanziari. E l'obbligo di valutazione della qualità grava anche sulle scuole parificate, giacché ,espres­samente previsto dalla legge n. 62/00.

È stato di recente ristrutturato un apposito ente denominato Invalsi, Istituto nazionale per la valutazione del servizio d'istruzione.

Ciò che preoccupa, però, quanti operano per la generalizzazione della qualità dell'integrazione scola­stica è il fatto che le metodologie che si stanno utiliz­zando e gli indicatori cui si sta facendo riferimento per valutare a livello nazionale il servizio dell'istruzione non tengono in alcun conto il fenomeno dell'integra­zione scolastica.

Se non si ponesse rimedio a tale lacuna, si rischierebbe o di penalizzare le scuole che attuano l'integra­zione scolastica o di emarginare gli alunni con handi­cap.

Infatti, l'integrazione scolastica presenta compara­tivamente, rispetto alla comune ordinaria scolarizza­zione, maggiori costi finanziari, maggiori tempi e, per gli alunni con handicap intellettivo, minori risultati interni di profitto scolastico.

Per evitare i due rischi sopra prospettati, occorre individuare degli indicatori di qualità che la normativa giuridica deve inserire nel progetto nazionale di valu­tazione della qualità della scuola che sta portando a­vanti l'Invalsi per conto del Ministero dell'Istruzione.

Gli indicatori di qualità

Tali indicatori dovranno riguardare tre ordini di aspetti:

- indicatori strutturali, cioè le pre-condizioni organizzative del servizio scolastico e degli altri servizi territo­riali che garantiscono in prospettiva una maggiore o minore qualità dell'integrazione;

- indicatori di processo, cioè come si realizza dall'inizio alla fIne di un anno scolastico lo svolgimento dell'inte­grazione;

- indicatori di risultato, cioè quali sono gli effetti che il processo di integrazione produce sugli alunni con han­dicap.

Su questo terzo punto occorre fare chiarezza. Normalmente per risultato si intende il profItto scola­stico, cioè gli apprendimenti maturati. Se per gli alunni con handicap si dovesse tener conto solo di questa vo­ce, per molti alunni con handicap intellettivo questo risultato sarebbe inferiore alla media, se valutato se­condo i parametri legali dei programmi ministeriali o degli obiettivi fIssati per ciascun ordine e grado di scuola.

Invece, l'Invalsi dovrà tener conto dell'art. 12, comma 3, della legge quadro n. 104/92, che fIssa come segue le fInalità che debbono essere realizzate dal­l'integrazione scolastica: crescita negli apprendimenti; crescita nelle capacità di comunicazione; crescita nella socializzazione; crescita nella realizzazione di relazioni interpersonali.

Tutto ciò, secondo la legge, determina la crescita in «autonomia» degli alunni con handicap, che è poi lo scopo del sistema di educazione e di istruzione per tut­ti gli alunni nel loro passaggio dal periodo dell'età evo­lutiva all'età adulta di cittadino.

Essendo questi dei dati normativi, la valutazione dell'esito dell'integrazione scolastica, e quindi dei livelli lo di qualità realizzato dalle singole scuole, non può prescindere dalla verifica di questi indicatori.

Ma c'è di più: quanto all'indicatore degli appren­dimenti, per gli alunni con handicap si deve tener con­to non solo, ove possibile, della valutazione che sboc­ca nel rilascio di titoli aventi valore legale, ma anche di quella, basata su piani educativi differenziati rispetto ai programmi ministeriali, che sbocca nel rilascio del­l'attestato che riconosce i «crediti formativi maturati».

Valutazioni basate sulle peculiarità

A questa conclusione, correttiva dell'attuale impostazione del Progetto nazionale di valutazione, condu­ce l'attenta lettura della sentenza della Corte Costitu­zionale n. 215/87, secondo la quale per gli alunni con handicap intellettivo «capacità e merito» vanno valutati non secondo parametri oggettivi, ma secondo le loro peculiarità personali.

Di tale principio costituzionale, a partire dal 1987 ha tenuto conto l'amministrazione scolastica emanan­do disposizioni sulla valutazione dello svolgimento dei piani educativi differenziati nella scuola superiore e sulla possibilità di passaggio anche nella scuola del­l'obbligo da una classe all'altra e da un grado all'altro di istruzione anche senza il possesso di titoli legali di studio quali «licenza elementare», licenza media» e «diploma di qualifica» o di «maestro d'arte». Su tutto ciò, vanno confrontate da ultimo le disposizioni con­tenute negli art. 3, comma 3, art.
11, commi 11 e 12, e art. 15, comma 4, rispettivamente per la scuola ele­mentare, media e superiore.

Se questa è la normativa consolidata in materia di valutazione del profitto degli alunni con handicap, specie intellettivo, di essa si deve necessariamente te­ner conto nell'ambito dell'organizzazione del Sistema nazionale di valutazione.

In tal modo, prendendo in esame gli specifici indicatori di qualità strutturali, di processo e di risultato dell'integrazione scolastica, le scuole che realizzano li­velli qualitativi per questi aspetti pari o superiori alla media dei servizi riguardanti gli altri alunni, non si ve­dranno danneggiate, ma anzi potranno incrementare il punteggio loro attribuito secondo i criteri fissati dal Servizio nazionale di valutazione.

Valutare le scuole in base ai risultati nell'integrazione

Viceversa, scuole che, indipendentemente dall'inte­grazione, realizzassero punteggi assai elevati, potrebbero vederseli abbassare a causa di una qualità dell'integra­zione inferiore alla media o addirittura scarsa.

Che tutto ciò non sovverta la logica tradizionale, ma sia invece conseguenza di una piena attuazione del principio recente del contratto formativo che si instau­ra fra istituzione scolastica e le famiglie dei «clienti»tramite l'incontro tra Pof (progetto dell'offerta forma­tiva) e iscrizione, è mostrato anche dall'orientamento sempre più esplicito della giurisprudenza, che fa propri i risultati delle scienze umane.

La sentenza n. 245/01 del Consiglio di stato ha infatti fissato il principio della qualità del servizio sco­lastico che deve essere offerto agli alunni con handicap proprio per un aspetto assai delicato qual è quello dell'assegnazione dell'insegnante per le attività di so­stegno.

Il Consiglio di stato, annullando la precedente sentenza del Tar favorevole all'amministrazione scola­stica, ha dichiarato che l'assegnazione dell'insegnante per le attività di sostegno non risponde al bisogno di qualità dell'integrazione scolastica se si limita a un ri­spetto puramente formale delle graduatorie e dei titoli di specializzazione aventi valore legale, ma si attua solo se in concreto l'insegnate assegnato è professional­mente in grado di rispondere agli effettivi bisogni edu­cativi dell'alunno con handicap, tenuto conto della specifica tipologia di minorazione e del grado della sua gravità.

Alla luce di quanto sopra, sembra allora opportu­no offrire a quanti opereranno per l'attuazione del si­stema di valutazione del Servizio nazionale di istruzio­ne alcune ipotesi di indicatori di qualità dell'inte­grazione scolastica e dei suoi diversi livelli, da quello massimo a quello praticamente inesistente, anche se fossero eventualmente presenti alcuni aspetti formali ed estrinseci. E a questo proposito è necessario precisare che occorre individuare livelli minimi di qualità, intesi co­me «livelli essenziali >> delle prestazioni dell'integrazione scolastica, tenuto conto che ve ne sono alcuni comuni a tutti i casi di integrazione e altri aggiuntivi o specifi­cativi dei primi che riguardano singole tipologie di mi­norazione.

 Rolando Borzetti    - 13-03-2004
Alcuni appunti e osservazioni a proposito della valutazione. Un tema più volte affrontato in questo ultimo periodo, in particolare da Salvatore Nocera, ma anche ad Imola (MIUR) e alla presentazione di Handylab, organizzata dalla FISH ( intervento di Trainito).

1) La sentenza della Corte Costituzionale n.226/2001 rafforza il diritto all'integrazione degli alunni con handicap nelle scuole dell'obbligo.

2) La legge costituzionale n. 3/01, nel devolvere alle regioni ulteriori competenze in campo scolastico e socio assistenziale, fissa il principio del mantenimento allo stato di formulazione dei <>, in modo da evitare che l'accentuarsi delle diversificazioni normative conseguenti al crescente decentramento potesse ridurre per le fasce deboli, tra le quali ad esempio gli alunni con disabilità, la tutela in concreto dei diritti fondamentali, tra i quali quello allo studio.

3) Il Consiglio di stato con la sentenza n. 245/01 ha esplicitato il principio della qualità e dell'efficacia degli interventi per l'integrazione scolastica, avendo stabilito che qualora un insegnante nominato per il sostegno all'integrazione non sia in concreto in grado di rispondere ai bisogni educativi specifici dell'alunno, l'amministrazione scolastica deve nominare altro docente più idoneo, anche non tenendo conto delle graduatorie, che sono previste per favorire i non per impedire il diritto allo studio.

4) Art. 12 legge 104/92: - Diritto all'educazione e all'istruzione 3.
L'integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione

5) Art. 12 legge 104/92 : - Diritto all'educazione e all'istruzione comma 6.
Alla elaborazione del profilo dinamico-funzionale iniziale seguono, con il concorso degli operatori delle unità sanitarie locali, della scuola e delle famiglie, verifiche per controllare gli effetti dei diversi interventi e l'influenza esercitata dall'ambiente scolastico.

6) Imola, 10-12 novembre, Qualità Integrazione Scolastica

7) Saluto del Dott. TRAINITO alla manifestazione di HANDYLAB organizzata dalla FEDERAZIONE ITALIANA PER IL SUPERAMENTO DELL'HANDICAP:

Nel nostro Paese siamo attualmente nella fase della individuazione dei fini , degli strumenti e dei mezzi per la creazione del Servizio nazionale di valutazione , individuazione che sarà operata con l'emanazione del decreto legislativo previsto dall'articolo 3 del disegno di legge di Riforma della scuola recentemente approvato dal Consiglio dei ministri su proposta del Ministro Moratti . Con il decreto legislativo saranno dettate le norme generali sulla valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli allievi con l'osservanza di principi e criteri direttivi espressamente enunciati nello stesso articolo 3 del disegno di legge.

Il testo normativo proposto evidenzia tre aspetti cardini della valutazione:

a) le valutazioni periodiche e annuali degli apprendimenti e del comportamento degli allievi e la certificazione delle competenze acquisite , da affidare ai docenti della scuola. Essi dovranno provvedere altresì alla valutazione dei periodi didattici come indicati dall'articolo 2 del disegno di legge , e cioè , nella scuola elementare al termine del primo anno e dei due periodi didattici biennali successivi, nella scuola secondaria di primo grado al termine del biennio e del terzo anno, e nell'ambito del secondo ciclo, per il sistema dei licei al termine dei due periodi didattici biennali e del quinto anno . Il primo ciclo di istruzione e il secondo ciclo per il sistema dei licei si concludono con un esame di Stato.

b) le verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze e abilità degli allievi e sulla qualità complessiva dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative , da affidare all'Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell'istruzione, che dovrà conseguentemente essere riordinato per quanto concerne le funzioni e la struttura.

c) le valutazioni da effettuare negli esami di Stato conclusivi dei cicli di istruzione sulle competenze acquisite dagli allievi nel corso del ciclo mediante lo svolgimento di prove organizzate dalle commissioni d'esame e di prove predisposte e gestite dall'Istituto nazionale di valutazione sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento del corso e in relazione alle discipline di insegnamento dell'ultimo anno.

Il quadro normativo attualmente in corso di definizione evidenzia l'intento di porre in essere un Servizio di valutazione finalizzato alla conoscenza sia dei livelli di apprendimento degli allievi sia del funzionamento del sistema scolastico nel suo complesso . Questa scelta particolarmente importante si fonda, a mio avviso , sulla considerazione ,ormai da tutti condivisa, che i risultati dei processi di apprendimento dipendono da una molteplicità di azioni tra loro fortemente interdipendenti. Adesso occorre attendere l'emanazione del decreto legislativo, che deve avvenire entro 24 mesi dall'entrata in vigore della legge , per conoscere la disciplina della valutazione negli aspetti organizzativi e gestionali con riguardo ai tempi , alle modalità di svolgimento ,alla tipologia delle prove , ai punti di osservazione e a quant'altro è necessario.

In attesa della definizione della nuova disciplina sul Servizio nazionale di valutazione il Ministro Moratti ha avviato di recente, sulla base della proposta del gruppo di lavoro operante presso il MIUR, un progetto Pilota al fine di ottenere elementi di conoscenza per validare e dimensionare il modello organizzativo del Servizio di valutazione. L'intento è quindi quello di individuare la quantità di risorse necessarie per l'istituzione del Servizio, stabilire le modalità operative della valutazione e ,infine , fornire indicazioni per la riorganizzazione dell'INVALSI. Gli aspetti da rilevare riguardano gli apprendimenti e le caratteristiche organizzative e funzionali delle scuole. Per il primo aspetto saranno somministrate entro il mese di aprile due prove, una per la lingua italiana e una per la matematica, agli allievi delle classi quinta elementare , terza media e seconda superiore delle scuole partecipanti al progetto . Per il secondo aspetto le medesime scuole saranno invitate a rispondere ad un questionario.
All'INVALSI sono stati affidati i compiti operativi per l'attuazione del progetto.


8) INVALSI Progetto Pilota 1

Progetto Pilota 2 Rapporto finale

Progetto Pilota 3 Formazione Questionario di rilevazione

 Elena    - 13-03-2004

Grazie delle osservazioni e degli appunti , sono molto interessanti, ma dimostrano che si tratta ancora solo dell'intenzione di mettere a punto un sistema di valutazione per la qualità dell'integrazione scolastica attualmente non esiste da parte dell'Invalsi tutto questo.
Altra cosa è la realtà nelle scuole dove il progetto pilota viene attuato.

Tutti devono sapere come si sta conducendo la valutazione degli apprendimenti nelle scuole aderenti, rilevazione che se ne frega di .. "individuare livelli minimi di qualità, intesi co­me «livelli essenziali delle prestazioni dell'integrazione scolastica". Nonstante la preoccupazione espressa da Salvatore Nocera sulle metodologie e gli indicatori che l'Invalsi sta usando e che non tengono conto dell'integrazione scolastica , sono tre anni che il progetto pilota va avanti. Quanti anni dobbiamo aspettare perchè si accorgano che anche le minoranze hanno il loro peso nella valutazione di Istituto? Ma poi non è neanche su questo punto che vado su tutte le furie, è sul rispetto della persona. Ho già illustrato COME è prevista la somministrazione dei test. Mettiamo da parte il contenuto di questi documenti. Perchè devo somministrare ad un bambino che segue una programmazione individualizzata un test che non sa fare solo per non escluderlo da quello che fanno i compagni , tenerlo seduto lì davanti trenta minuti senza fornirgli suggerimenti e poi nella migliore delle ipotesi mettere nel registro il codice di "ESCLUSIONE" classificandolo come "disabile psichico" anche quando abbia un semplice e puro disturbo di apprendimento o una dislessia? Perchè sono tre anni che questo avviene in un numero rilevante di istituzioni scolastiche ( quest'anno sono circa 8382 scuole pari a circa 6175 istituzioni scolastiche ) e non trovo tracce di protesta contro quest'ingiustizia. Sono portata a pensare che nelle scuole ci si aggiusti, ci si arrangi, non si seguano alla lettera le istruzioni del manuale di somministrazione, ma questo sarebbe grave vista la scientificità di cui necessitano i dati.
All'altra ipotesi non posso neanche pensare: da tre anni si seguono alla lettera le procedure previste e nessun insegnate fa notare che si fanno "parti uguali fra disuguali", mi rifiuto di accettare una cosa di questo genere.
Bisogna fare qualcosa prima che le norme generali sulla valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione e degli apprendimenti degli allievi vengano rese obbligatorie per le scuole senza tener conto dei correttivi necessari.


 Anna Pizzuti    - 13-03-2004
Cara Elena, è come se tu avessi ascoltato le mie urla di una settimana fa, quando anche a me è capitato tra le mani il manuale del progetto pilota, la cui introduzione nella mia scuola ho cercato di contrastare, senza riuscirci.
Ho letto e riletto quelle parole, sui codici di esclusione. E le ho fatte notare ai colleghi che si sono buttati in questa fesseria senza nemmeno sapere di cosa si trattasse e che se ne stanno accorgendo solo ora.
Loro si sono difesi mostrandomi il termine "eventuale" anteposto ai codici, ma l'impressione che ci sia qualcosa che non funzioni è rimasta.
E le tue osservazioni me lo confermano.
Questa valutazione è una trappola infernale, per tutti. E' sbagliata didatticamente, metodologicamente. E non so se sia stata creata ad arte per servire ad appoggiare la linea del governo che ora ci considera tutti dei gran nullafacenti. E comunque, una volta a regime, come vado ripetendo a scuola tra l'ilarità generale, ci toglierà la libertà di insegnamento, perchè è ovvio che, sapendo a che tipo di prova saranno sottoposti gli alunni, gli insegnanti modelleranno sulla sua natura la loro programmazione. Anche perchè - e l'INVALSI non lo sa - il collegamento tra programmazione e prova di verifica dovrebbe essere diretto.
Troviamo il modo di batterci per quello che scrive Salvatore Nocera. Che è estensibile a tutti gli aspetti della scuola: cerchiamo i VERI indicatori di qualità, non questi imposti.
Siamo in regime di autonomia scolastica, porca miseria.

 claudia    - 13-03-2004
Perché si continua a aderire a iniziative e progetti sulla valutazione quando si sa benissimo che non servono a nulla? Personalmente, e da molti anni, con altre colleghe in accordo con le mie posizioni, ho sempre sostenuto la bestialità di tali “prove” e nessuno, per quanto “cattivo” fosse, ci ha costretto a partecipare. Porca miseria, ci sarà ancora spazio per il rifiuto argomentato!
Mah!
Non si dovrebbe partecipare e tirare dritto per la strada dello sforzo quotidiano contro la dispersione utilizzando strategie e metodologie che consentano l'apprendimento e la solidarietà, allora ci si accorgerebbe di quanto sia importante non sprecare neppure un minuto in corbellerie (in cui nessuno intimamente può credere o sperare da esse una qualche ricaduta positiva sulle situazioni contingenti in cui operiamo) messe a punto da persone che non hanno alcuna idea di bambini e bambine, di disabilità,integrazione degli stranieri o di bimbi in difficoltà ( e ce ne sono tanti di cui nessuno vuol più parlare!). Bisognerebbe anche cominciare a raccontarsi, come docenti, quante situazioni a rischio abbiamo affrontato e superato insieme con le alunne e gli alunni, grazie a quali, anche minime, strade metodologiche e relazionali (la ricerca metodologica- didattica fatta insieme nelle scuole di appartenenza fra docenti sarebbe l’unica strada percorribile per affrontare la dispersione e il degrado in cui versa la nostra professione). Noi insegnanti abbiamo tutte/i ancora un gran “pudore” nel mettere a parte gli altri delle nostre personali “conquiste” e “vittorie” nell’affrontare il disagio di qualunque tipo esso sia. Spesso temiamo il confronto e l’essere considerati banali nelle nostre "trovate"…così facendo però ci precludiamo l' unica vera crescita professionale possibile e prestiamo il fianco alla critica di chi deciderà poi per noi e per le giovani generazioni di studenti.
Piuttosto, la dimensione del tempo e della sua qualità (con le attività messe a punto e in essa comprese) andrebbe studiata da tutte le forze che hanno a cuore il riscatto sociale e personale delle piccole persone che vengono a scuola con la voglia di esprimersi senza gabbie e imposizioni del mondo adulto: ci si accorgerebbe di quanto sia facile poter migliorare e migliorarsi senza test e verifiche assolutamente controproducenti in ogni senso: bisogna dire di no a tutto ciò che disturba il buon andamento delle attività, il prezioso utilizzo del tempo e l'inclusione...punto e basta!
La modernità presunta dei sistemi di valutazione lasciamola credere a chi per lavoro e per "ricerca" ce la vuole far passare come "scientifica". Quanti funzionari di stato ed esperti e quanti organismi pseudoscientifici lavorano ai margini delle scuole autonome? Hanno necessità di farci le loro "proposte"? Si può anche “capire”, ma sta a noi docenti (unici veri "esperti"a contatto con l'infanzia e l'adolescenza) dire cortesemente, fermamente e "scientificamente" di no (finché ci sarà concesso il dirlo, altrimenti si vedrà quali vie d'uscita, oltre la lotta quotidiana e "politica" come cittadini, adottare)
Grazie per il prezioso materiale
Claudia

 Rolando Borzetti    - 13-03-2004

.."individuare livelli minimi di qualità, intesi co­me <> delle prestazioni dell'integrazione scolastica".


Qui mia cara, entra in gioco la politica, termine che, nel suo significato originario, sta per scienza e/o arte del governo. Non si può pensare di lasciarla fuori dalla porta. Chi fa politica deve dare risposte ai cittadini, deve fare lo sforzo di comprendere i loro interrogativi, perché su loro mandato ricopre le cariche pubbliche. Con questo governo, nulla è possibile.
Non c'è confronto, ci sono solo buoni propositi da parte di dirigenti come Trainito o Pagnani e qualche altro, ma nulla più. Si è visto con l'assegnazione dei docenti per il sostegno. Malgrado sia stata ribadita l'assegnazione del personale insegnante specializzato per i gravi (deroghe), si taglia lo stesso.

La Costituzione colloca la scuola nel titolo II (art.33 e 34) sui rapporti etico sociali.
Il decreto legislativo n. 112/98, sul decentramento amministrativo, colloca il Servizio d'istruzione scolastica nel Titolo IV concer­nente servizi alla persona Le politiche scolastiche possono quindi legittimamente considerarsi un aspetto significativo di quelle sociali, rappresentando il servizio scolastico un aspetto fondamentale del welfare, specie con riguardo alla presenza degli alunni diversi.
Quello dei livelli essenziali è uno dei punti essenziali in una riforma del welfare (compresa la scuola), ossia, la misura necessa­riadelle prestazioni che debbono essere garantite a tutti e su tutto il territorio nazionale. E questo non riguarda solo l'istruzione, ma la sanità e, in genere, tutti i servizi alla persona. La teoria liberista di questo governo, privilegia il libero mercato. L'applicazione di questa teoria ai settori della sanità e dell'assistenza sociale non garantisce l'uguaglianza dei cittadini nella risposta ai loro bisogni di salute, istruzione e di dignità sociale, poiché lascia alla libertà dei singoli sia l'organizzazione dei servizi sia la scelta del tipo di servizio desidearto. Vengono così favoriti coloro che possono attingere al libero mercato perché le condizioni economiche glielo consentono; il servizio pubblico (anche la scuola statale) rischia, di conseguenza, di diventare residuale e di qualità inferiore, destinato alle fasce più deboli della società, alle quali resta garantito - nella migliore delle ipotesi - soltanto un trattamento minimo
gratuito.
Ne consegue che le diseguaglianze tendono ad ingigantirsi.E' un pericolo involutivo che attualmente grava sulle politiche sociali in generale e l'istruzione non ne è esente. Mentre le politiche sociali devono tendere a realizzare un'eguaglianza effettiva di opportunità tra tutti gli esseri umani, perchè ogni persona, qualunque sia la sua condizione, è portatrice di fondamentali diritti di personalità che devono essere attuati.

Ritornando al problema specifico, voglio comunque ricordare che molta strada è stata fatta sul piano etico, morale e culturale, tuttavia, è vero, la scuola ancora quotidianamente si imbatte in problemi di non facile soluzione a livello formativo, organizzativo e gestionale, che spesso non riescono a garantire e favorire la completa e soddisfacente integrazione degli alunni disabili, ma sta a noi genitori e voi insegnanti batterci affinché questo stato di cose cambi. Ad ognuno il proprio compito, alla politca quello più arduo, ma sono fiducioso .

 Luciano B.    - 14-03-2004
BASTEREBBE INFORMARSI DA CHI QUESTE ESPERIENZE LE HA GIA' FATTE E SI STA RICREDENDO: Dal Manifesto del 17/01/04

SETTE ANNI, L 'INCUBO DEI BAMBINI INGLESI
Orsola Casagrande, Londra

"Target, standard, verifiche, valutazione, esami. La vita di uno studente inglese fin dalla più tenere età è condizionata da queste costanti. Il calvario comincia addirittura a sette anni con i primi test, in matematica e inglese (ortografia e calligrafia): quelli dell'anno scolastico 2002-2003 (gli esami vengono valutati da insegnanti esterni alle scuole) sono stati così al di sotto dei target fissati dal ministero da costringere l'allora ministra all'istruzione, Estelle Morris, a dimettersi. Il suo successore, Charles Clarke, ha ribadito che «i test non si toccano» anche se ha concesso che «d'ora in poi l'approccio ai test dovrà essere meno formale: gli esami saranno parte di una valutazione più complessiva della performance di uno studente». Soprattutto quando lo studente ha sette anni e, hanno rivelato numerosi studi, soffre di particolare stress e pressione psicologica nel periodo che precede le temute verifiche.

Gli insegnanti per la verità avevano minacciato di boicottare gli esami per i ragazzini di sette anni: inutili e potenzialmente dannosi perché producono disagi e paure nei più piccoli. Anche se il ministro Clarke ha liquidato i timori e le proteste di insegnanti e genitori, ha dovuto ammettere che forse c'è troppa rigidità nel fissare target nazionali ai quali devono aspirare gli studenti delle scuole del regno. Una rigidità che rischia di diventare un'ossessione. I sindacati degli insegnanti da anni chiedono una revisione del sistema di valutazione ed esami cui sono sottoposti gli alunni inglesi. Ma chiedono anche sempre più insistentemente una revisione generale del curriculum. Il ministro Clarke ha annunciato che quello delle scuole elementari sarà «più creativo», grazie all'introduzione di materie come musica e teatro. Lo studio di una lingua straniera fin dalle elementari soltanto adesso comincia ad essere preso in considerazione. Ma è stata abolita l'obbligatorietà di una lingua straniera negli ultimi quattro anni di superiori.

La scuola elementare (che qui si chiama primary) inizia a cinque anni. I primi due anni (dai cinque ai sette) si svolgono nella cosiddetta «infant school» che dovrebbe avviare i neo studenti alla vita scolastica. Privilegiando il gioco, vista la tenera età. Il problema però, dicono i sindacati, è che oggi (cioè con il governo laburista guidato da Tony Blair) la politica delle privatizzazioni parziali favorisce l'assunzione di insegnanti che maestri non sono. Il sindacato degli insegnanti pubblica da tempo uno spot sui maggiori quotidiani in cui chiede ai genitori se sanno «chi insegnerà oggi a vostro figlio». Risposta, «certamente non un insegnante qualificato», questo perché ormai viene assunto dai consorzi privati - che gestiscono molte scuole pubbliche - personale non qualificato, magari sono community workers (cioè persone che hanno svolto un training di un anno per lavorare nel quartiere) in attesa di un posto nelle centinaia di agenzie interinali del paese. La privatizzazione, seppure parziale, delle scuole ha fatto in modo che il curriculum (già poco «creativo» per stessa ammissione del ministro all'istruzione) scadesse ulteriormente per venire oggi interpretato meramente come una lista di cose da fare. Naturalmente per valutare che siano fatte bene si guarda ai risultati ottenuti nei vari test dai ragazzini. Se la scuola è al di sotto degli standard raccomandati dal ministero, rischia la privatizzazione (se già non è in mano a privati).
Ma ci sono stati anche casi opposti: la gestione privata si era rivelata così scadente da convincere (o costringere) il ministero a riportare in mano pubblica alcune scuole."