La voce dell'Assemblea Costituente
Pierluigi Nannetti - 28-01-2002
SCUOLA PUBBLICA, SCUOLA PRIVATA E COSTITUZIONE



La Costituzione enuncia i principi fondamentali, che riguardano l’istruzione e l’educazione, negli articoli 33 e 34, che così recitano:

Art. 33 L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.

La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
E prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.

Art. 34 La scuola è aperta a tutti.

L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.

Le questioni storicamente ed attualmente più dibattute sono riconducibili a due:

1. rapporto tra libertà di insegnamento e funzione educativa dello stato;

2. rapporto tra scuola pubblica e privata e, in particolare, garanzia di libertà per le scuole private ed eventualità di sussidi statali.

In merito alla prima questione, la discussione - anche attualmente più rilevante - riguarda se i suddetti principi costituzionali possano permettere di concepire il sistema educativo come “monopolio” dello stato, in quanto sua specifica ed esclusiva funzione istituzionale; oppure come un insieme di scuole ed istituti, magari tutti ordinati con leggi, ma considerati nel loro insieme come un servizio pubblico, dove la scuola statale sia solo una parte dello stesso sistema educativo.

In merito alla seconda questione la discussione verte sul diritto degli alunni delle scuole private (o delle loro famiglie) a percepire un sussidio da parte dello stato, che renda effettivo il principio dell’uguaglianza di trattamento affermato nel comma 4 dell’art. 33. A questo proposito, i sostenitori di questa tesi citano a suo sostegno anche l’art. 3 Cost., comma 2, in quanto prevede che “ è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.” Il mancato sussidio da parte dello stato sarebbe, secondo costoro, un vero e proprio ostacolo ad un trattamento ugualitario di chi sceglie la scuola privata al posto di quella pubblica, ostacolo da rimuovere con opportuni sussidi dello stato.
Viceversa, chi afferma la tesi contraria si appoggia al lapidario comma 3 dello stesso art. 33, laddove, dopo avere affermato il diritto alla libertà d’insegnamento nelle scuole pubbliche e private, esclude ogni “onere dello stato” a favore di quest’ultime.

Se la discussione intorno a queste due questioni fondamentali si riferisce al solo e semplice testo finale della Costituzione, la soluzione del contrasto è piuttosto ardua, in quanto il testo, nella sua espressione letterale, lascia spazio a varie argomentazioni; e le diverse tesi sono destinate a restare tesi contrapposte.
Un’interpretazione più circostanziata e precisa degli stessi art. 33 e 34 della Costituzione può invece provenire dai dibattiti, che, sul problema educativo, furono fatti nell’Assemblea Costituente, sia in assemblea plenaria che in seno alla prima sottocommissione, cui fu affidato l’incarico di presentare una bozza di discussione. Anzi, la discussione in sottocommissione, è ancora più illuminante di quella in assemblea plenaria, in quanto, negli interventi fatti in quest’ultima sede, ebbero inevitabilmente più spazio toni retorici e di semplice polemica di principio, toni che finivano quasi sempre per nascondere le vere tesi e i veri obiettivi dei vari partiti presenti nella Assemblea Costituente.

La discussione sulla funzione della scuola e sui rapporti tra scuola pubblica e scuola privata fu affrontata dalla prima sottocommissione dell’Assemblea Costituente nelle sedute del 18 ottobre, 22 ottobre, 23 ottobre, 24 ottobre, 29 ottobre, 30 ottobre del 1946. Facevano parte di tale sottocommissione Moro (relatore per la parte democristiana), Marchesi (relatore per la parte comunista), Basso, Caristia, Cevolotto, Corsanego, Dossetti, Iotti L., La Pira, Lombardi G., Lucifero, Mancini, Mastrojanni, Togliatti, Tupini, De Vita, Grassi, Merlin U.

I relatori Moro e Marchesi presentarono, nella prima seduta del 18 ottobre, il seguente schema, dal quale risultano i punti di accordo e di disaccordo:

« Art. 1. — E’ supremo interesse dell’individuo e della collettività assicurare ad ogni cittadino un’adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della sua personalità e l’adempimento dei compiti sociali ».
« Art. 2. — L’ istruzione primaria, media, universitaria è tra le precipue funzioni dello Stato.
« Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e tutta la organizzazione scolastica ed educativa è sotto la sua vigilanza ».
(Proposta Marchesi)
oppure:
Art. 2. - Lo Stato soddisfa l’interesse allo sviluppo della cultura, sia organizzando le scuole proprie, sia assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli. I genitori dell’educando hanno diritto di scelta tra le scuole statali e quelle non statali -.
Lo Stato detta le norme generali in materia di istruzione e vigila sull’andamento degli studi.
La scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento. E’in facoltà dello Stato concedere sussidi alle scuole non statali, che per il numero dei frequentanti e per il rendimento didattico accertato negli esami di Stato siano benemerite dello sviluppo della cultura . (Proposta Moro)
Per assicurare un imparziale controllo sullo svolgimento degli studi ed a garanzia della collettività, la legge dispone che i titoli legali di ammissione agli studi superiori e di abilitazione professionale siano conferiti mediante esame di Stato.
Il titolo dottorale costituisce un primo grado accademico e non è richiesto per l’esercizio delle professioni liberali .
Art. 3. - L’organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è permessa nei limiti della legge. La scuola privata ha pieno diritto alla libertà di insegnamento .
Art. 4. - La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione, senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto.
La Repubblica detta le norme le quali, mediante borse di studio, sussidi alle famiglie ed altre provvidenze garantiscono ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto.
L’insegnamento primario e post-elementare, da impartire in otto anni, è obbligatorio e gratuito, almeno fino al quattordicesimo anno di età ».
Ari. 5. - Lo Stato, favorendo con premi e sovvenzioni le migliori iniziative private, stabilirà e svolgerà, con l’assistenza di enti locali e per mezzo delle autorità centrale e periferiche, un piano di struttura scolastica diretto ad integrare e ad estendere l’istruzione popolare . (Proposta Marchesi).
Art. 6 - Nelle sue scuole di ogni ordine, escluse quelle universitarie, lo Stato assicura agli studenti, che vogliano usufruirne, l’insegnamento religioso nella forma ricevuta dalla tradizione cattolica .(Proposta Moro)
Art. 7. - I monumenti artistici, storici e naturali del Paese costituiscono patrimonio nazionale in qualsiasi parte del territorio della Repubblica e sono sotto la protezione dello Stato .

Elementi di disaccordo: considerazione della funzione educativa dello stato.

Nella seduta del 22 ottobre 1946, Moro dichiara che accetterebbe un primo articolo composto di due parti: una relativa all’indicazione che la scienza e l’arte sono libere e liberi sono i loro insegnamenti, e l’altra che contempli il diritto del cittadino di ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per la formazione della sua personalità e l’assolvimento dei compiti sociali. Propone poi che questo articolo sia seguito da un secondo, in cui da un lato si dichiari che l’istruzione primaria, media, universitaria sia considerata tra le precipue funzioni dello Stato (formula Marchesi) e, dall’altro, che lo Stato soddisfi allo sviluppo della cultura sia organizzando le scuole, sia assicurando le condizioni giuridiche per la libertà e l’efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli, cioè di quelle iniziative compiute al di fuori dello Stato (formula Moro).
Marchesi non accetta la proposta dell’onorevole Moro, perché non vorrebbe che il riconoscimento della funzione, che lo Stato deve assolvere nei riguardi della scuola, possa essere menomata dall’altra affermazione che lo Stato sia soltanto un partecipe della cultura e dell’istruzione. Dichiara di non poter accettare l’affermazione, in sede costituzionale, che lo Stato provveda all’istruzione ed all’educazione attraverso scuole proprie e scuole non proprie. Lo Stato può riconoscere l’utilità della scuola privata, ma non può riconoscere la necessità, perché ciò facendo verrebbe a riconoscere la propria insufficienza a provvedere ai bisogni dell’educazione nazionale. Egli e i colleghi di parte comunista non hanno voluto porre alcun limite alla libertà di insegnamento, ma non intendono rinunciare al diritto e al dovere che ha lo Stato di provvedere all’istruzione. In merito alla parola che è stata pronunciata da parte democristiana e cioè " monopolio di Stato ", dichiara che se per monopolio si intende il diritto e il dovere che ha lo Stato di soddisfare in pieno ai bisogni dell’istruzione nazionale, allora egli accetta questa parola monopolio, e non può accettare invece la proposta dei commissari democristiani, i quali considerano l’istruzione pubblica come un servizio che lo Stato debba parzialmente concedere in appalto alla gestione privata.
La scuola privata sia liberissima, fiorisca in tutte le parti d’Italia, ma fiorisca coi propri mezzi e goda della sua libertà; non chieda l’intervento e il favore dello Stato, perché essa aprirebbe le porte ad una ingerenza statale gravissima per la stessa libertà dell’insegnamento privato.
Ritiene che tutte le questioni che si riferiscano alla scuola privata possano trattarsi in un articolo a parte e prega l’onorevole Moro di voler consentire a che l’argomento della scuola privata sia staccato dall’altro riguardante il diritto ed il dovere dello Stato di ordinare, di regolare, di dirigere la pubblica istruzione.

Molto importante è la risposta di Moro a queste richieste di Marchesi, perché attiene proprio a quanto oggi viene sostenuto da chi ritiene che la funzione educativa debba essere considerata come un mero servizio pubblico. Lo stesso Moro, rappresentante della componente cattolica, in parte orientata - e in alcuni casi determinata - a sostenere la suddetta tesi, precisa che l’espressione, ricorsa qualche volta nei suoi interventi e in quelli di altri esponenti cattolici, dello Stato compartecipe nella funzione dell’educazione, non corrisponde completamente al suo pensiero e a quello dei suoi colleghi di parte democristiana, in quanto, proprio nell’atto in cui si dice che lo Stato soddisfa all’interesse della cultura, sia organizzando scuole proprie, sia assicurando condizioni di libertà e di efficienza alle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli, si vuole, da parte dei democristiani, attribuire allo Stato, in ordine all’attività culturale e di istruzione, un compito fondamentale.

Marchesi apprezza il chiarimento di Moro e precisa che due correnti gli sembrano minacciose, in quanto tendono alla smobilitazione della scuola pubblica o, ad ogni modo, alla sua attenuazione: la corrente autonomistica e quella cattolica, la quale ultima è diretta a fare della scuola privata confessionale la scuola di fiducia delle famiglie italiane e, attraverso le famiglia, punta proprio a sostituire lo Stato con la Chiesa. Osserva che nella relazione dell’onorevole Moro si manifesta la tendenza a mettere la famiglia in una posizione preminente per quanto riguarda l’istruzione. Gli sembra che questa consacrazione della famiglia tenda a considerare il nucleo domestico familiare come un organismo che viva in un’atmosfera di immobile serenità, quando invece è esposto a molteplici conflitti, che in realtà lo turbano, sino a farne talvolta un centro di disordine economico e morale in cui purtroppo il fanciullo è la vittima principale. Perciò la famiglia non potrà mai surrogare la funzione dello Stato nel campo dell’educazione.
Per quanto riguarda la corrente autonomistica, osserva che vi sono taluni che intendono sottrarre allo Stato la funzione educativa per affidare ai comuni e alle regioni l’istruzione primaria e perfino quella secondaria. Secondo Marchesi – ma si tratta di un’opinione contrastata solo da alcuni interventi del tutto minoritari in assemblea plenaria - si può e si deve consentire che la regione possa provvedere direttamente ai propri bisogni nel campo amministrativo con quella spedita competenza che un’amministrazione centrale non avrà mai; ma quando si voglia entrare nel campo della scuola, che è un fatto eminentemente morale, nazionale, e perciò politico, lo Stato non vi può rinunciare, in quanto è l’unico strumento e l’unica garanzia dell’unità nazionale.

Elementi di disaccordo: sussidi alla scuola privata.

Il punto più grave di dissenso è nella pretesa che lo Stato si impegni a sussidiare o a mantenere gli istituti di istruzione privata, cosa che potrebbe essere contenuta nel testo proposto da Moro con le parole « assicurando le condizioni per la libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli ».
A questo proposito Moro dichiara che, per quanto riguarda le " condizioni di efficienza " , tanto poco si è preoccupato di un obbligo dello Stato di sovvenzionare le scuole private che, aderendo al consiglio dell’onorevole Marchesi, ha contratto le sue primitive richieste dicendo che è in facoltà dello Stato concedere sussidi a quelle scuole che siano benemerite dello sviluppo della cultura. Dicendo che lo Stato deve assicurare le condizioni di efficienza delle scuole private, egli ha inteso concretare in sede di fatto quello che è il principio giuridico della libertà di insegnamento. Lo Stato non deve lasciare spazi di libertà per la scuola privata solo formalmente, ma deve assicurare la possibilità concreta per il sorgere e lo sviluppo della scuola non di Stato.

Cevolotto e Mancini, della componente socialista, esaminando il capoverso che dice: " Lo Stato soddisfa l’interesse allo sviluppo della cultura sia organizzando le scuole proprie, sia assicurando le condizioni della libertà ed efficienza delle iniziative di istruzione ed educazione di enti e di singoli ", dichiarano che voteranno contro di esso. A loro parere, così come è formulato l’articolo, si può essere indotti a credere che si sia voluto affermare che lo Stato, per adempiere i suoi doveri verso la scuola, debba, oltre che organizzare scuole proprie, anche favorire il sorgere di scuole private. Questo a loro parere non può essere accettato, perché in tal caso lo Stato verrebbe a falsare il principio che la sua scuola è la scuola di Stato e verrebbe ad incrementare quella scuola privata che è la concorrente — e non sempre leale — della scuola di Stato. La scuola privata non può pretendere altro che la sua libertà di sviluppo e di insegnamento.

Anche a questo proposito il chiarimento dell’onorevole MORO è importantissimo, perché esclude che oggi si possa interpretare il dettato costituzionale in modo da giustificare qualunque forma di finanziamento regolare e sistematico della scuola privata da parte dello stato.

Moro, infatti, fa presente come si debba interpretare la formula, da lui proposta, per quanto riguarda l’efficienza delle iniziative di istruzione e di educazione di enti e di singoli, che lo Stato dovrebbe predisporre. Dichiara apertamente che l’ipotesi, che con tale formula si verrebbe a sussidiare la scuola non statale, è lontanissima dalle intenzioni sue e dei commissari democristiani. Se c’è un’idea che ad essi ripugna, è proprio quella che la scuola non statale sia una delegazione della scuola di Stato. Si può allora domandare – continua ancora Moro nel suo intervento - perché si è voluto sostenere una formula che pone su un piano di parallelismo l’organizzazione della scuola di Stato e l’assicurazione dell’efficienza e della libertà dell’iniziativa privata. Per rispondere a questa domanda ricorda che la dottrina sociale e cattolica, cui egli aderisce, ritiene che gli elementi che intervengono nell’azione educativa siano la famiglia, la chiesa e lo stato. Poiché si sta facendo una Costituzione di compromesso, - dice infine - i commissari democristiani hanno rinunciato a impostare il problema della gerarchia degli enti i quali intervengono nell’attività educativa, anzi, per venire incontro alle esigenze prospettate dai rappresentanti dell’altro partito, hanno accettato l’idea che lo stato abbia la funzione generale di ordinare l’istruzione e di preoccuparsi che a ciascuno sia data un’adeguata istruzione ed educazione.

Elementi di disaccordo: “parificazione” ed uguaglianza di trattamento.


Nella seduta del 23 ottobre 1946 la sottocommissione discute del punto che introduce la possibilità per le scuole private di chiedere la “parificazione” e dell’obbligo dello stato di garantire ai loro alunni “uguaglianza di trattamento”.

Il PRESIDENTE fa presente che l’articolo che si propone all’esame della sottocommissione come terzo, non è più un articolo concordato tra i due Relatori, perché su questo punto gli stessi non hanno trovato una concordanza.
Dà lettura del testo proposto dall’onorevole Marchesi nei seguenti termini:
" L’organizzazione di istituti privati di insegnamento e di educazione è libera con gli obblighi e i diritti stabiliti dalla legge ".

Dà quindi lettura del testo proposto dall’onorevole Moro, così formulato:
" Chiunque, ente o singolo, può aprire scuole ed istituti di educazione.
La legge, nel disciplinare le modalità di apertura delle scuole non statali e nello stabilire i requisiti per la parificazione con le scuole statali, deve assicurare alle scuole non statali condizioni di effettiva libertà e agli alunni di esse uguaglianza di trattamento ".

Moro ricorda che, nell’ultima riunione, era stata presentata dai rappresentanti della democrazia cristiana una formula che fu interpretata in senso assolutamente difforme dal pensiero dei proponenti. In essa si diceva che lo stato deve assicurare le condizioni per la libertà e " l’efficienza " delle iniziative d’istruzione e di educazione di enti e singoli. Ripete che, parlando di " efficienza ", non si postulava alcun intervento dello Stato, non si richiedevano sussidi dallo Stato per rendere efficienti le scuole, ma si richiedeva semplicemente la garanzia di una effettiva libertà. Fa presente che, nel secondo articolo approvato nelle prime riunioni, si è affermato che lo Stato deve assicurare di fatto condizioni di uguaglianza a tutti i cittadini, riconoscendo che la libertà astratta nei regimi democratici, non è sufficiente. A ciò allude la formula proposta, nella quale si vuole parlare soltanto di effettiva libertà, niente altro che libertà, ma libertà concreta. Altro criterio per il legislatore è l’affermazione che gli alunni delle scuole private devono avere garantita l’uguaglianza di trattamento con quelli delle scuole di Stato. Si è già assicurato il criterio dell’uguaglianza stabilendo l’esame di Stato, ma si dà ancora un’altra norma per evitare che si pongano ingiustificate discriminazioni che feriscano di fatto la libertà e l’efficienza delle scuole non statali. Conclude asserendo che la formula da lui proposta non è una norma strettamente giuridica, ma piuttosto un orientamento etico e politico per il futuro legislatore.

Grassi, della componente democristiana, si dichiara favorevole alla formula proposta dall’onorevole Moro. Riconosce che nella seduta precedente la proposta democristiana aveva destato giustificate preoccupazioni, perché aveva fatto pensare che con essa si volesse addossare allo Stato l’onere di sussidi finanziari a favore della scuola privata, che sarebbe risultata da una parte sorretta e dall’altra appaltata dallo Stato. Ora, invece, i dubbi sono stati chiariti nel senso che si chiede una situazione di uguaglianza e un giusto riconoscimento della scuola privata, ammettendo che tutti gli insegnamenti saranno sottoposti alla vigilanza dello Stato, che provvederà con norme generali.

Da questi due interventi si evince quindi che la formula “uguaglianza di trattamento” non vuole ritornare alla formula precedente, “garanzie di efficienza”, in cui si possa vedere una specie di obbligo dello Stato di dare sussidi alle scuole private, ma si vuole solo insistere nella rivendicazione per le scuole parificate di una uguaglianza di trattamento scolastico.

Cevolotto e Mancini fanno presente che, anche chiarito che il comma si riferisce soltanto alla scuola privata parificata, resta il fatto che quando si dice: "agli alunni di essa è conferita eguaglianza di trattamento con quelli delle scuole dello Stato" , ciò potrebbe significare anche uguaglianza di trattamento dal punto di vista economico. Chiedono pertanto garanzie in merito.
Grassi osserva che la questione sollevata dall’onorevole Cevolotto è superata, perché si tratta solo di sussidi elargiti dallo Stato attraverso borse di studio e il fatto che le borse di studio vadano ai meritevoli non riguarda solo la scuola pubblica, ma l’insegnamento. Siccome si è affermata la libertà del singolo, non si può negare l’aiuto a chi ne è meritevole indipendentemente dal fatto che frequenti la scuola pubblica o quella privata.
Marchesi non è contrario a prevedere borse di studio a tutti gli alunni meritevoli, ma domanda quale garanzia potrà avere lo Stato circa i meriti degli alunni delle scuole private.
Nella seduta del 24 ottobre Marchesi dichiara che, se l’onorevole Moro è disposto ad eliminare questa sua preoccupazione, consentendo che in un articolo si possa dire che la scuola privata non debba essere di onere alle finanze pubbliche, non avrebbe alcuna difficoltà ad accogliere anche l’invocata parità di trattamento. Diversamente ritiene che l’aggiunta si debba respingere nell’interesse del pubblico erario oltre che della istruzione nazionale.

Anche la seguente dichiarazione dell’onorevole Marchesi è particolarmente importante, perché dimostra che, con l’accordo della componente democristiana, la formula “parità di trattamento”, poi approvata nel testo definitivo della Costituzione, esclude esplicitamente ogni obbligo dello Stato di finanziare la scuola privata.

Nella seduta del 29 ottobre si constata un sostanziale accordo.
Marchesi rileva che si è ormai sulla via di un accordo. Tuttavia ritiene che sia bene essere precisi. I Commissari democristiani, infatti, hanno richiesto la parità di trattamento e vogliono che questa parità sia indicata nella Carta costituzionale. Ora, poiché la scuola statale è continuamente soggetta al controllo dello Stato attraverso i capi di istituto e il corpo ispettivo, allo stesso controllo deve essere sottoposta la scuola privata, altrimenti non vi sarebbe parità di trattamento, ma intollerabile disparità. Occorre, inoltre, vi sia parità nella scelta del personale didattico; e poiché lo Stato assume soltanto personale incluso nella graduatoria dei concorsi e gli insegnanti delle scuole pubbliche, quando non vi sia carenza di insegnanti effettivi, sono i vincitori di concorsi pubblici, anche gli insegnanti delle scuole private devono essere scelti tra i vincitori dei concorsi. Rileva infine un accordo sostanziale nella parte dell’articolo che parla delle sovvenzioni statali. Dichiara perciò che, affinché la parità sia garantita tanto alla scuola privata quanto alla scuola pubblica, è doveroso accettare parola per parola, senza alcuna modificazione, la proposta conciliativa dell’onorevole Togliatti.

Togliatti aveva proposto, circa il punto di disaccordo relativo alla parità di trattamento per gli allievi degli istituti privati, una soluzione di compromesso, nel senso di legare la parità di trattamento alla parità di condizioni didattiche controllate dalla stato. L’articolo proposto da Togliatti così diceva e, nella sua sostanza, viene approvato nel testo finale:
“La scuola privata è libera ed ha pieno diritto alla libertà di insegnamento.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi della scuola privata e nel determinare i requisiti per la sua parificazione, le assicura una libertà effettiva e, a parità di condizioni didattiche controllate dallo stato, garantisce agli alunni degli istituti privati parità di trattamento.
Tutte le provvidenze statali a favore degli alunni capaci e meritevoli, sono conferite mediante pubblici concorsi.”

Considerazioni conclusive

In merito alla prima delle due questioni - rapporto tra libertà di insegnamento e funzione educativa dello stato - la tesi della scuola intesa come mero servizio di un sistema scolastico educativo formato da scuole statali e scuole private in libera concorrenza tra di loro per contendersi un ipotetico mercato dell’istruzione, non ha alcun fondamento né nel testo letterale della Costituzione, né nell’interpretazione storica e logica dello stesso testo, come appare del tutto chiaramente dalla ricostruzione del dibattito svoltosi nella prima sottocommissione. A maggior ragione, non ha alcun fondamento, a proposito della seconda questione - rapporto tra scuola pubblica e privata e, in particolare, garanzia di libertà per le scuole private ed eventualità di sussidi statali –, la tesi che sostiene l’obbligo del finanziamento dello stato alle scuole private allo scopo di garantire un’effettiva uguaglianza di trattamento degli studenti che decidono di frequentare le medesime scuole private.

Ad ulteriore rafforzamento della suddetta conclusione, perfino in assemblea plenaria, è possibile trovare, pur all’interno di un linguaggio più demagogico dei vari oratori, decisive conferme delle seguenti due tesi:

1. la funzione educativa dello stato deve essere considerata come una funzione strettamente politica, da affidare pertanto non ad enti ed istituti privati (pur nella piena libertà di istituirli), ma ad una organizzazione statale ed istituzionale;

2. sono assolutamente da escludere oneri finanziari a carico dello stato e a beneficio della scuola privata, che non siano mere borse di studio da concedere ai meritevoli e bisognosi e da accertare con concorsi pubblici, ai quali siano ammessi indifferentemente alunni che frequentano la scuola pubblica e alunni che frequentano la scuola privata.

I più decisi assertori di queste due tesi, durante i lavori dell’Assemblea Costituente, sono i deputati non cattolici, ed in particolare quelli repubblicani e socialisti, tuttavia perfino quelli democristiani non negano, ovviamente con importanti distinzioni, la loro stessa adesione alle medesime convinzioni.

Nella seduta pomeridiana del 21 aprile del 1947, il deputato repubblicano Della Seta si esprime con questi termini a proposito della prima questione:

“Lo Stato democratico non è un istituto verso il quale i cittadini debbono trovarsi in un rapporto di diffidenza e per il quale tutta la scienza costituzionale debba consistere a congegnare garanzie verso lo Stato, onde la sua invadenza non abbia a sopprimere i diritti della personalità. Lo Stato, in regime democratico, è la nazione che governa se stessa. Non ha più ragione di essere il concetto negativo dello Stato, cioè dello Stato gendarme, dello Stato la di cui funzione si limiti a tutelare l’ordine pubblico.
Lo Stato è inoltre il promotore del bene e del benessere sociale; e non solo del materiale benessere, ma anche, anzi, soprattutto, del bene morale.
Se questo è, non si può disconoscere nello Stato anche una funzione altamente educativa: lo Stato educatore, questo il concetto fondamentale della scuola repubblicana italiana….
Lo Stato educa, anzitutto, con i suoi reggitori, se danno testimonianza di rettitudine e di carattere; educa con le sue leggi, poiché ce una vera funzione pedagogica della legislazione; ma educa soprattutto con la scuola. Quindi, scuola di Stato: questa è la parola della democrazia. Non come una delle tante scuole che debba gareggiare con le altre: ma come una scuola che sulle altre abbia la debita preminenza. Allo Stato le supreme direttive dell’educazione nazionale. Se abdicasse a questa sua funzione, lo Stato non sarebbe più lo Stato; né noi più potremmo coerentemente parlare di democrazia.”

E, nella stessa seduta, il deputato socialista Codignola dice:

“Colleghi democristiani, voi non potete accusarci di statolatria; noi crediamo che lo Stato abbia il solo dovere di offrire tutti gli strumenti necessari, perché l’educazione possa essere un fatto che si espande liberamente nella società umana. Ed io ricordo che, se lo sviluppo del pensiero moderno ha condotto a quell’abito di critica e di metodo critico cui accennavo poc’anzi, esso ha condotto anche ad un’ altra conquista fondamentale:
che l’educazione è andata sempre più allargandosi da alcuni ceti, da alcune categorie privilegiate di uomini, alla grande massa dei cittadini, è diventato un grande fenomeno sociale. Questo fatto sta a fondamento del concetto nazionale della scuola. Chi oggi non sente questo problema come il primo problema di qualsiasi Stato moderno, ancor prima che socialistico, costui non ha il senso dello Stato moderno. Lo Stato moderno ha, prima di tutto, davanti a qualunque altro dovere, questo dovere che è un dovere elementare, il dovere della educazione del cittadino.”

Nel merito della questione del finanziamento alla scuola privata, si esprime così:

“Sorge qui il problema delle sovvenzioni.
Ho sentito dire che non è vero che i democristiani chiedono sovvenzioni dello Stato per l’insegnamento privato. Io mi sono molto meravigliato di ciò, perché, se non sbaglio, a parte tutta la pubblicistica a questo riguardo, nel progetto proposto dall’onorevole Moro in sede di Sottocommissione, all’articolo 2 ultimo comma è detto che do Stato concederà sussidi alle scuole private in ragione del numero dei frequentanti e del rendimento didattico accertato negli esami di Stato . … La vostra richiesta, comunque, è implicita negli articoli 27 e 28, e noi dobbiamo opporci in modo categorico a questa richiesta, perché essa significherebbe in brevissimo tempo, il crollo della scuola statale...
Nel nostro paese le sovvenzioni, ed in generale i favori alla scuola religiosa, determinerebbero non soltanto una situazione catastrofica per la scuola pubblica dal punto di vista economico, ma significherebbero in brevissimo tempo lo spostamento di grandi masse scolastiche (e voi democristiani lo sapete) nei vostri istituti. Per una ragione molto semplice: perché i metodi di insegnamento dei vostri istituti sono più facili che i metodi di insegnamento che si fondano sulla libertà di pensiero e di ricerca scientifica.”

Nella seduta pomeridiana del 22 aprile 1947 interviene anche il deputato comunista Marchesi, relatore insieme a Moro nella prima sottocommissione, affrontando sia la questione della funzione preminente e nazionale della scuola di stato, sia quella del finanziamento alla scuola privata:

“Onorevoli colleghi, consentite che io torni ad affermare il dovere altamente civile dello Stato nel provvedere alla educazione nazionale. Quest’affermazione ritengo necessaria dinanzi al diritto che sulla scuola italiana accampa senza oscurità né reticenze la Chiesa cattolica, la quale per bocca del Pontefice suo nel giugno 1929 proclamava che "per una logica necessità" derivante dai Patti lateranensi, "il pieno e perfetto mandato educativo non spetta allo Stato, ma alla Chiesa, la cui educazione ha preparato la civiltà moderna in quanto essa ha di meglio e di più elevato " …
Il ragionamento sarebbe valido, se la scuola pubblica fosse una scuola confessionale o una scuola di Partito, o una scuola con determinati indirizzi religiosi o politici. Ma questo non è: nella scuola di Stato si può entrare con animo tranquillo: essa è asilo di tutte le coscienze ed è la scuola di tutti i cittadini. E il cittadino che preferisce la scuola privata alla pubblica, obbedisce a una preferenza che deriva da comodità e non da necessità.
Non si parli di monopolio di Stato. Questa parola monopolio suona impropria ed ingiuriosa. Sarebbe monopolio se tutte le scuole fossero in mano dello Stato, se lo Stato assumesse esso solo la funzione scolastica; lo Stato lascia la scuola privata accanto alla scuola pubblica. Sia libera la scuola privata di scegliersi i suoi insegnanti e i suoi metodi di insegnamento. Si moltiplichi pure la scuola confessionale. Noi auguriamo ad essa buona fortuna. Tanto meglio per gli scolari e per la società se l’educazione sia tale da assicurare una feconda attività dell’intelletto ed una solida preparazione scientifica. La scuola privata goda dei propri meriti e della propria meritata fortuna, senza chiedere nulla allo Stato.”

Infine, l’intervento di Moro è estremamente chiarificatore e fuga definitivamente ogni dubbio circa la correttezza interpretativa dei principi contenuti negli articoli 33 e 34 della Costituzione, in quanto le richieste di equiparazione della scuola privata a quella pubblica e quelle di concessione di sussidi alla stessa scuola privata provenivano solo dalla corrente democristiana. Queste le sue parole:

“Io credo, a nome anche dei miei colleghi, di dover rendere omaggio alla scuola dello Stato. La scuola dello Stato ha in Italia una grande tradizione ed una solida struttura e può rendere veramente grandi servigi al paese. Non si è nel vero, quando ci si presenta come nemici della scuola di Stato. Noi la rispettiamo, e, aggiungo di più, noi la sentiamo nostra. E’ veramente un pregiudizio quello che ci presenta come antistatalisti, per costume, per consuetudine. Ricordo le parole dell’onorevole Nenni, riprese sia nel suo giornale, sia, in questa sede, da altri oratori a proposito dell’articolo 7 ed a proposito della scuola. Si dice che noi democristiani vorremmo umiliare lo Stato. Non è vero. Noi attribuiamo allo Stato ed alle sue istituzioni, e quindi anche alla scuola di Stato, una straordinaria importanza nella vita umana…
Lo Stato educatore. Ne hanno parlato tanti onorevoli colleghi: Preti, Binni, Bernini, Codignola. Io vi dico sinceramente la mia opinione: credo che lo Stato possa anch’esso educare; credo in questa, vorrei dire, super individualità dello Stato; questo suo andare al di là degli interessi particolari, dei particolari orientamenti.
C’è un profondo motivo di vero in quella osservazione che è stata fatta, mi pare, nella sua relazione dall’onorevole Marchesi, che io voglio qui ringraziare per la sua bontà, per la sua affettuosità, per la cordialità della sua collaborazione, data in tutti questi difficili mesi del nostro lavoro di Commissione. Questa idea era in un suo articolo nel primo progetto da lui presentato, quando l’onorevole Marchesi diceva: " Lo Stato ha il compito essenziale dell’istruzione, perché rappresenta, al di là delle classi, delle famiglie, delle regioni, un’idea universale ". Io non posso non riconoscere questa verità.
Un altro punto ancora: le provvidenze dello Stato che permettano agli alunni meritevoli e bisognosi di raggiungere i gradi più elevati dell’istruzione.
Su questo punto vi fu accordo unanime, ed anche, se non sbaglio, l’onorevole Basso votò a favore. Si disse che queste provvidenze dello Stato debbono essere a favore degli alunni non soltanto delle scuole statali ma anche di quelle parificate, proprio perché vi sono quei controlli di cui ho parlato e che assicurano del buon rendimento di esse. Anzi fummo proprio noi ad escludere le scuole meramente private che non possono dare le garanzie giustamente richieste.
Ma qui s’inserisce il problema dei sussidi. Si è detto che abbiamo fatto entrare il sussidio per la finestra, quasi di nascosto, e si è aggiunto che questa richiesta di sovvenzioni non ha fondamento logico. Io dico all’onorevole Codignola, che ha prospettato questo problema, che una base logica vi sarebbe, perché si potrebbe dire che le imposte sono pagate da tutti i cittadini; e che, in conseguenza, coloro i quali preferiscono ricevere il servizio in altra forma, che non sia quella dell’iniziativa statale, possano richiedere che dei sussidi vadano in quella direzione.
Ma noi non abbiamo bisogno di appoggiare sulla logica questo problema, perché non l’abbiamo proposto.
Abbiamo chiesto soltanto che, laddove lo Stato ritenga — e sarà, non ci illudiamo, un fatto limitato, nella attuale situazione economica del Paese — di aiutare persone che siano particolarmente meritevoli di raggiungere i gradi più alti dell’istruzione, non si debba obbligare queste persone, cui vanno i sussidi dello Stato, a frequentare necessariamente la scuola di Stato.
Qui, amici miei, è la parità bene intesa; qui, e nelle altre poche cose che ho dette, è quella misteriosa libertà effettiva, che spaventò in sede di commissione i nostri colleghi, e mi pare che abbia spaventato anche l’Assemblea.
Libertà effettiva che cosa vuol dire? Che cosa c’è sotto questa idea d’una libertà effettiva? Vi è questa realtà molto semplice. Se voi riconoscete alla scuola il diritto di operare, ma, al tempo stesso, le impedite ogni movimento, la mettete in condizione costante di sperequazione, la soffocate attraverso la richiesta di particolarissime condizioni, a questa scuola avete dato una libertà teorica e non effettiva.”


Conclusioni finali

Appare del tutto evidente che la maggior parte della normativa (sia quella statale che quella regionale), che, in questi anni, ha modificato l’assetto istituzionale delle varie scuole di ogni ordine e grado, è contraria alla lettera e allo spirito della Costituzione.
In particolare è da considerare apertamente in contrasto con la Costituzione tutta la normativa, che ha inteso trasformare le singole scuole pubbliche in enti gestiti con criteri aziendalistici e con finalità di competizione commerciale.
Con ciò la funzione politico – istituzionale del sistema nazionale educativo, come chiaramente individuata dall’organo costituente sia nel testo finale approvato che nei lavori preparatori, è stata letteralmente cancellata e sostituita con un vero e proprio“mercato dell’istruzione”.
A maggior ragione sono da considerare in aperto contrasto con la Costituzione tutti i sussidi economici alle scuole private, che, con varie formalità, sono stati già decisi in questi anni dal alcune leggi regionali e che perfino leggi dello stato prevedono o si accingono a prevedere.


cfr: "La Costituzione della repubblica nei lavori preparatori dell'Assemblea Costituente"; testo edito dalla Camera dei Deputati a Roma nel dicembre del 1971 (ristampa del 1976)


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 Giuseppe Manzoni di Chiosca    - 03-02-2002
Mi sembra che la più palese incostituzionalità sia in corso di attuazione con la progettata abolizione (secondo la proposta del Ministro Moratti) dell' esame di quinta elementare, che è imposto dall' art. 33 della Costituzione (comma 4°). Ma forse c' è ancora spazio per un ripensamento.

Giuseppe Manzoni di Chiosca