Quando il gioco si fa duro
Fabrizio Dacrema - 26-01-2004
Il decreto per attuare le legge 53 nella scuola dell’infanzia, elementare e media è stato approvato, ma la partita rimane aperta.
Sul fronte politico e sindacale le questioni poste da questo decreto sono tutt’altro che risolte dall’approvazione forzata del provvedimento. Gravi anche i problemi riferiti alla legittimità del provvedimento.


La scelta dello scontro. Una prova di forza ?

Alla fine ha vinto il partito dello scontro. Il Ministro ha deciso di tirare dritto pur in presenza di una crescente opposizione politica e sociale, di vistose divisioni interne alla maggioranza e nonostante sentenze costituzionali e pareri parlamentari che ne evidenziano l’illegittimità.
In una situazione del genere la scelta dello scontro rivela non solo una reazione integralista (i talebani del ministero), ma, soprattutto, mette in luce la debolezza del Ministro Moratti, privata di spazi di manovra e di mediazione a causa dei vincoli finanziari imposti da Tremonti.
La decisione dell’approvazione del decreto a tutti i costi ha imposto il prezzo salato dell’umiliazione degli alleati: le dimissioni del relatore del provvedimento alla Camera ridotte ad una sceneggiata napoletana, mentre all’Udc è toccata la parte del “ruggito del topo”, visto che aveva presentato emendamenti da rivoltare il decreto come un calzino, poi li ha ritirati e ha approvato il provvedimento a capo chino.
Ha provocato l’immediata proclamazione della mobilitazione da parte dei sindacati confederali e la presa di distanza dello SNALS, non ha indotto alla rassegnazione coordinamenti e comitati che sono più che mai sul piede di guerra.

Poche e incerte modifiche

D’altra parte, gli emendamenti introdotti non cambiano la natura del provvedimento. Approvato il decreto il governo si è presentato in conferenza stampa e per bocca del presidente Berlusconi ha detto che questa sul tempo pieno è una campagna “fondata su una colossale bugia”. Ora non è il caso di tornare a spiegare che 27 ore obbligatorie + 3 ore aggiuntive, facoltative e opzionali + 10 ore di mensa, non fanno il tempo pieno, ma un doposcuola dequalificato. È, invece, il caso chiarire che anche le 40 ore coperte da personale statale sono garantite solo “nel limite del numero dei posti attivati complessivamente a livello nazionale per l’a.s. 2003/04” e solo per il prossimo anno scolastico, poi “si provvede nei limiti delle disponibilità di bilancio”… e se queste non ci saranno il tempo mensa sarà scaricato su famiglie e enti locali.
Intanto le richieste di tempo pieno da parte delle famiglie stanno aumentando oltre ogni aspettativa, mentre i posti sono congelati: cosa si risponderà ai numerosi genitori insoddisfatti, dopo che il Ministro, nella lettera sulle iscrizioni, ha loro promesso di poter scegliere il tempo scuola che desiderano e che la scuola ha il dovere di dar seguito alle loro richieste ?
Per un anno sono graziati anche per gli organici della scuola media, mentre ancora non è stato chiarito se i posti lasciati per un anno, saranno in organico di diritto o di fatto, determinando immediatamente, in quest’ultimo caso, migliaia di insegnanti soprannumerari.
Rimangono nel testo finale tutti i punti contestati dal fronte contrario al decreto: la riduzione del tempo scuola di tutti, il tutor obbligatorio, la riduzione della scuola dell’infanzia a supermarket assistenziale.
Non solo, per la scuola dell’infanzia la Commissione Bilancio del Senato ha certificato l’assenza di copertura finanziaria per la generalizzazione, fintamente prevista all’art. 1 c. 2; il governo, allora, ha aggiunto un emendamento con il quale promette di provvedere “attraverso ulteriori decreti legislativi” (… campa cavallo).
Tornano invece le “primine”, un emendamento ne ha reintrodotto la possibilità. In effetti era sembrato strano a tutti che la Moratti volesse veramente togliere alle scuole private questa consistente fonte di affari.

La partita che si apre

L’approvazione del decreto apre una fase nuova nella quale si dovrà continuare a lottare per impedirne l’attuazione e, al tempo stesso, iniziare a creare le condizioni per ridurre il danno nel caso in cui non si raggiungesse l’obiettivo del ritiro o della sospensione per il prossimo anno scolastico.
Il movimento di genitori e insegnanti che ha dato luogo alla riuscita manifestazione del 17 gennaio non si fermerà e non è difficile prevedere che si moltiplicheranno le forme di protesta cui non mancherà fantasia e creatività.
Sono già stati annunciati diversi ricorsi volti a ottenere l’annullamento del decreto. Alcune regioni (al momento Emilia Romagna e Friuli) impugneranno il provvedimento perché invade le competenze attribuite alle Regioni dalla riforma del titolo V della Costituzione in materia di pianificazione, distribuzione e utilizzazione del personale scolastico, come recentemente confermato da una sentenza della Corte Costituzionale. Verranno poi ricorsi contro l’eccesso di delega costituito dalla figura del tutor, non previsto dalla legge 53 e contro l’invasione delle prerogative delle istituzioni scolastiche autonome in merito all’organizzazione didattica. Altri motivi di impugnativa sono poi rappresentati dalla mancanza di copertura finanziaria e dall’introduzione, sia pur in via transitoria, delle Indicazioni Nazionali, senza rispettare la procedura prevista dalla stessa legge 53.
I sindacati confederali hanno proclamato la mobilitazione e già annunciato ulteriori forma di lotta se nel confronto con il governo non si otterranno garanzie che, in sostanza, il prossimo anno scolastico non si darà attuazione al decreto, visto che mancano le condizioni minime: iscrizioni avvenute sulla base della precedente normativa (il decreto è vigente solo dopo la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale), non coinvolgimento e non condivisione degli insegnanti, mancanza di garanzie sugli organici e sulla copertura finanziaria.

L’autonomia scolastica per difendere la qualità

In particolare sugli organici il confronto avrà un ruolo fondamentale non solo per la difesa dei posti di lavoro.
Se le scuole l’anno prossimo potranno contare sulle attuali risorse professionali, senza riduzioni derivanti dall’applicazione del decreto, allora sarà possibile utilizzare le prerogative dell’autonomia scolastica per salvaguardare il più possibile la qualità dell’offerta formativa.
Gli spazi di autonomia delle scuole sono solidi, tutelati dalla stessa Costituzione.
La richiesta delle famiglie di 40 ore potrà essere soddisfatta, sulla base del progetto delle istituzioni scolastiche autonome, non con il doposcuola previsto dal decreto attraverso lo spezzatino del 27 + 3 + 10, ma con il modello attuale del tempo pieno con due insegnanti corresponsabili della classe e le compresenze per l’individualizzazione dei percorsi.
Allo stesso modo sarà possibile realizzare modelli di organizzazione didattica centrati sul gruppo docente contitolare e corresponsabile, recuperando il più possibile il percorso formativo per tutti con un tempo scuola di trenta ore.
Tutto questo sarà possibile se si otterrà la conferma degli attuali organici e se non si attuerà la figura del tutor. Questa nuova figura di insegnante, insieme alla riduzione a 27 ore del tempo scuola di tutti, impedisce la corresponsabilità dei docenti e rompe la pari dignità professionale e culturale degli insegnanti e degli insegnamenti.
Realizza, di conseguenza, modelli scolastici nei quali ad una scuola “tradizionale” del mattino si aggiunge un parcheggio pomeridiano per chi non ha altre possibilità.
L’attuazione del tutor, però, non sarà una passeggiata.
Gli insegnanti non sono mai stati né coinvolti né consultati su questo rilevante cambiamento e tutti quelli che si sono espressi, sulla base della lettura del decreto, lo contestano. Lo stesso decreto prevede che sia in “possesso di una specifica formazione” ad oggi inesistente.
Con quali criteri i dirigenti scolastici sceglieranno ? Non solo ora non è dato saperlo, ma non sembra nemmeno semplice trovare un soluzione accettabile per settembre, sempre che il buon senso sia ancora uno dei punti di riferimento di questo ministro. Tra l’altro, visto l’aria che tira, non è difficile prevedere che un buon numero di docenti non accetterà. La Moratti ha intenzione di obbligarli a svolgere una funzione che non condividono dal punto di vista professionale e ad accettare nuovi e pesanti carichi di responsabilità e di lavoro per i quali non è previsto alcun riconoscimento retributivo e di carriera?

Quale sorte per il tutor: art. 22 o comma 22

Quest’ ultimo punto è cruciale perché per attuare il tutor si deve passare attraverso la riapertura del contratto nazionale di lavoro, come previsto dall’art. 43 del CCNL 2002/05, “in relazione all’entrata in vigore della legge 53 e delle connesse disposizioni attuative”.
Sempre in attuazione del nuovo contratto (art. 22) una commissione di studio composta da rappresentanti dell’Aran, del Ministero e dei Sindacati si sta occupando di possibili soluzioni riguardanti meccanismi di carriera professionale per i docenti.
Evidentemente, nel caso del tutor, l’art. 43 si lega all’art. 22: la riapertura del contratto dovrebbe essere finalizzata ad individuare una carriera professionale per il tutor ovvero riconoscimenti normativi e retributivi.
Per far partire il tutor da settembre, come vorrebbe il ministro, per restare ai soli aspetti sindacali del problema, ci vorrebbero almeno due cose: una intesa con i sindacati sulle carriere professionali e nuove risorse finanziarie.
Queste ultime ovviamente non ci sono, la legge finanziaria 2004 non prevede nemmeno gli stanziamenti per la difesa del potere di acquisto in relazione al biennio contrattuale 2004/05.
Quanto alla possibile intesa, a parte i tempi improbabili, dal punto di vista del merito l’ipotesi di una intesa sul tutor è ancora più improbabile.
La stragrande maggioranza dello schieramento sindacale, infatti, ha preso posizione contro la figura del tutor e nella commissione art.22, fermo restando che le proposte saranno poi sottoposte alla consultazione della categoria, si esclude di prendere in considerazione modelli di carriera professionale gerarchiche e lesive della pari dignità professionale degli insegnanti.
È il caso di ricordare, a questo proposito, che secondo il decreto l’insegnante tutor concorre prioritariamente ad assicurare le finalità della scuola e concentra in sé una tale mole di funzioni specifiche della funzione docente (orientamento, tutorato, documentazione valutativa, relazione con le famiglie e il territorio) da rendere vano ogni riferimento alla contitolarità come corresponsabilità.
Esplode così la contraddizione di una legge vetero-centralistica che si occupa di materie che appartengono ormai alla contrattazione e all’autonomia scolastica.
Insomma, la situazione è questa: per attuare il tutor ci vuole la contrattazione, ma la contrattazione non può (non ci sono risorse) e non vuole introdurlo (manca il consenso).
Torna alla mente il film “Comma 22” che si occupava di missioni aeree e di piloti spericolati, il cui regolamento al comma 22 recitava: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo”.


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 ilaria ricciotti    - 26-01-2004
Questo gioco, anzi questi giochetti telecomandati, servono per deligittimare, frantumare, spaccare, confondere, irritare, accomodare, sminuire, contrapporre ecc. Questi patentati vogliono dimostrare che comandano loro e non è possibile contrastarli. L'unica speranza per sconfiggerli è non cadere nelle loro trappole di perbenismo liberale, non credendo a ciò che dichiarano e, dall'altra parte non LITIGARE. In questo momento dobbiamo dimostrare unità sia negli intenti che nelle azioni.