Beatrix Potter
Emanuela Cerutti - 12-01-2002
Chi non conosce i racconti di Beatrix Potter e i suoi personaggi da Peter Rabbit a Tom Kitte, dai Two Bad Mice a Benjamin Bunny, da Tom Thumb a Hunca Munca…? Certamente presenti tra i libri della buonanotte di molte camerette, un po’ meno nelle biblioteche scolastiche, hanno colorato sogni e fantasie, grazie anche alle illustrazioni curatissime e particolari, quasi rappresentazione fotografica di una realtà tutta da scoprire qual è, per molti bambini, la brughiera selvatica ed incontaminata che si stende nella misteriosa landa inglese.
Forse, però, non tutti sanno da dove salta fuori quel fascino incredibile e quel sapore di “diverso” che si coglie fin dalle prime pagine e dai primi disegni. Occorre tornare nell’ottocento britannico elegantemente adagiato tra Londra ed il Lake District, per rendersi conto della portata del messaggio: occorre spiare la vita di una donna che ha saputo affrontare con determinazione il proprio destino, arrivando a cambiarlo, o, semplicemente, a dargli un senso.
Beatrix Potter, figlia di gentleman e signora, non conosce l’affetto dei genitori, immersi nella formalità della propria esistenza, non li vede nemmeno molto spesso, come non incontra spesso altri bambini, a parte il fratello, baciato da una stella di sesso maschile, che gli permette la frequenza scolastica. A lei è vietata, potrebbe imparare abitudini inquinanti.
Unico angolo di paradiso: le vacanze trascorse soprattutto nella regione dei laghi. Qui i piccoli Potter sono liberi di scorrazzare in mezzo alla campagna, imparando a conoscerla fin nei dettagli. Entrambi disegnano tutto ciò che vedono, riempiendo album su album di acquerelli incantati. Bertrand diventerà pittore: per lei solo qualche lezione, non si può spendere troppo.
Eppure Beatrix, timida, bruttina, fisicamente fragile, sempre più isolata, non sa dedicarsi ad altro che alla pittura: osserva l’elemento naturale, lo seziona, lo copia con esattezza scientifica. Elabora anche teorie originali, ad esempio sulla propagazione dei licheni, ma i botanici del Kew Gardens, rigorosamente uomini, ridono.
Non dev’essere stato facile accettare la propria condizione di emarginata: di fatto il suo bisogno di affetto e di compagnia la spinge verso i bambini. Per loro riscrive racconti abbozzati durante l’infanzia e li correda con i disegni. Piace, piace molto.
Gli editori non ci credono, ma Beatrix è partita: pubblica privatamente, sfonda, trova la Frederick Warne & Co.: è il battesimo sul mercato del Tale of Peter Rabbit, la prima di una trentina di opere successive.
Osservatrice da sempre, Beatrix ha saputo osservare (ascoltare?) anche il mondo infantile ed è stata alle sue misure, alle sue richieste, al suo bisogno di autenticità.
I suoi libri sono piccoli e leggeri, maneggevoli, sfogliabili anche a pancia in su. Costano poco. Il linguaggio e’ comprensibile ma non stupidamente semplice (sempre almeno una parola difficile, da capire). E le illustrazioni, la magia del tutto, a misura del bambino: distanze ravvicinate, primi piani, dimensioni adatte allo sguardo ravvicinato tipico della prima infanzia.
Ce ne sarebbe già, di rivoluzione, di attenzione alla diversità nei fatti e nelle scelte concrete.
Ma non basta. Nel Regno del conformismo il messaggio anticonformista si maschera per sfuggire agli adulti, ma non ai bambini.
E l’identificazione lo conferma. Se, dopo aver letto l’episodio della punizione di Peter, mandato a letto senza cena per aver troppo esplorato il giardino del Signor McGregor, mentre i fratellini si pappano “pane, latte e more”, chiedete ai bambini chi preferirebbero essere, vi sentirete comunque rispondere "Peter!". Oggi come allora. Oggi perché c’è stato un allora, in cui qualcosa ha incrinato l’impeccabilità, aprendo varchi alla libertà individuale, alla disobbedienza, alla personale ricerca, alla scelta come ago della bilancia. Oggi perché allora si è cominciato a pensare che non tutti i pericoli sono pericolosi e che qualche volta i grandi esagerano nel chiudere le porte.
Beatrix Potter , dopo molte altre avventure, terminò la sua vita ad Hill Top Farm, una fattoria della regione in cui hanno vissuto tutti i suoi personaggi. Negli ultimi trent’anni scrisse meno, ma si occupò di agricoltura, giardinaggio, pecore e difesa dell’ambiente. Per evitare il degrado turistico della zona, lavorò per annettere la maggior estensione possibile di terreni alle proprietà del National Trust, che gestisce e rivaluta parchi e dimore storiche in Gran Bretagna. Quale miglior ambientazione per una rilettura dei suoi racconti?



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