Pour une Europe des droits dans un monde sans guerre
Emanuela Cerutti - 15-11-2003
Questo c'era scritto sullo striscione dietro il quale ieri pomeriggio si è snodato a Parigi il corteo di chiusura del Social Forum 2003.
Sotto un classico cielo grigio, nel silenzio di una città assorbente, i 40.000 altermondialistes secondo la Police , 100.000 per gli organizzatori, hanno percorso in circa tre ore i sei kilometri che separano Place de la République da Nation, passando per Bastille, un percorso dicono classico per le manifestazioni della Gauche.
Tra la testa e la coda del corteo qualcosa più di un'ora.
Una marcia tranquilla, accompagnata dai colori a cui ormai siamo abituati e che non sarebbe la stessa cosa se mancassero.
I colori delle bandiere, arcobaleno e rosse, con macchie verde ambientalista, dei pupazzi come Monsieur Tobin Tax o Mister Bush, delle stoffe taggate, dei cappelli da giocoliere, delle sciarpe e dei guanti che forse in Italia non avremmo messo.
Gli Italiani in apertura, come concordato. E con gli Italiani la musica, da Bandiera Rossa ad Imagine, dai Modena a Rino Gaetano, accompagnata dalle danze instancabili e dalle risate per biscotti e cappellini lanciati dal furgone di turno.
Poi Spagnoli, Tedeschi, Scozzesi, Palestinesi, Nordafricani, Brasiliani.
Francesi pochi, pare, impegnati com’erano nel servizio d’ordine.

Che non ha avuto grossi problemi, ad esclusione di una rissa laterale tra Anarchistes e Socialistes, il che rientrava un po’ nel leit motif delle polemiche che hanno condito il dibattito, compresa la plenaria di qualche giorno prima su partiti e movimenti alla quale in molti non siamo riusciti ad entrare, perché la sala era troppo piena, dicevano. E compreso anche lo sfondo su cui si stagliano le diverse anime del Movimento dei Movimenti, sfondo complesso e contradditorio, come succede sempre quando una realtà cresce, sfondo all’interno del quale alternativa e riforma, altrimenti dette purezza e compromesso, cercano un equilibrio. O, in altre parole, dopo aver sognato realizzano.

Lungo la strada si ascoltano i commenti sulla tregiorni appena terminata e si colgono tracce di delusione. Poca organizzazione, brontola qualcuno, troppa dispersione nelle quattro zone lontane (ma cosa non è lontano a Parigi?) e perse nella banlieue un po’ buia, quella che prende i diversi nomi di Bobigny, Saint Denis o Ivry, ma nasconde la stessa realtà d’immigrazione ed emarginazione (di pochi giorni fa la notizia arrivata per tamtam di una ragazza africana bruciata viva da quelle parti, che sembrano tutte uguali).
Qualcun altro lamenta la scarsa operatività dei seminari, poco interattivi e la difficoltà delle scelte, condizionate spesso proprio dalla distanza.
E non manca la sottolineatura campanilista: che Raffarin alla fine sia peggio di Berlusconi?
"Raffarin" dicono gli Intermittents du spectacle, "disegna un mondo fatto della stessa precarietà che noi denunciamo come appartenente ad altri: e les 5 hommes in scena al Point Rond, giunti qui in cerca di lavoro e fortuna, ricchi solo delle scarpe che portano e che li rendono interessanti per il padrone, in fondo siamo noi, noi che non abbiamo diritti legati al nostro lavoro, fluttuante come le foglie in questo autunno così denso".

Dai marciapiedi o dalle finestre arrivano intanto messaggi diversi: sorrisi e commenti compiaciuti, domande stupite, indifferenza, curiosità.
“Cosa sono i pass che avete al collo?”, chiedono i ragazzi coi rollers che abitano tra Chatelet e les Halles e non hanno mai sentito le parole fori sociali, mentre il métro si blocca,e la gente non fa troppo caso al motivo.
“Ah, Italiani, vino!”: il clochard entra a pieno titolo in una festa che sente sua e per una volta non chiede scusa.
“Se vogliono cambiare il mondo fanno una cosa bella”, dice un signore dai capelli bianchi, mentre la donna dalle trecce nere non ha dubbi sul fatto che la felicità non si venda e non si compri, e che questo sia il vero motivo del nostro essere qui.
Il compagno basco insieme alla sigaretta offre la convinzione che peggio di così non si possa stare in nessun paese, quindi è un buon momento per cambiare.
Mercantilismo e mercificazione sono universalmente riconosciuti come i veri nemici da abbattere e pare che lo spirito di Bovè aleggi beffardo nei pressi del Mc Donald di Beaumarchais, prudentemente chiuso nonostante sia sabato pomeriggio.
“La rue est à nous!” scandiscono ritmicamente les tambours, e l’assunto è talmente evidente, talmente naturale (come i diritti, come la pace, come la giustizia), che il “ruolo del movimento” si trasforma da teoria precotta in esperienza collettiva, senso e significato di una presenza dentro tutte le sue contraddizioni.

Vale la pena esserci stati, esserci ridetti semplicemente questo.
Domani si ricomincia.

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 ilaria ricciotti    - 17-11-2003
Domani e poi domani ancora, sempre, si deve lottare per affermare un primcipio e cioè che "....la felicità non si compra... ", la si conquista perchè tutti e non soltanto alcuni siano "felici".