Lucia - 09-11-2003 |
Su questo argomento ci sono stati interventi da guerra di religione e considerazioni di tipo politico, che nulla hanno a che vedere con la sentenza di un giudice . Finalmente un articolo che spiega le motivazioni della sentenza, con i riferimenti alla certezza della legge. In quest'epoca dove in Italia si cerca di asservire la giustizia ad interessi particolari , è un atto di coraggio rifarsi alla nostra cultura laica, che lascia la scelta religiosa alla sfera privata di ognuno. Un apprezzamento al giudice che l'ha scritta e a chi l'ha diffusa. Spero solo, come insegnante, che non ci arrivi una circolare con l'obbligo di riappendere il crocifisso . Lucia |
Caelli Dario - 09-11-2003 |
Pongo due osservazioni alla sentenza. La prima riguarda l'affermazione del giudice Montanaro secondo cui "la presenza del simbolo della croce -argomenta testualmente il giudice- induce nell'alunno una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale della espressione di fede, perché manifesta l'inequivoca volontà -dello Stato, trattandosi di scuola pubblica- di porre il culto cattolico al centro dell'universo, come verità assoluta". NUlla di più travisante la realtà concreta. Il crocifisso nelle aule non equivale all'imposizione di una fede, né all'affermazione della sua presunta superiorità sulle altre. Riafferma invece che la religione cristiana è, ed è stata storicamente un cardine della formazione della nostra cultura italiana. Come si possa credere che lo Stato ponga la religione cristiana come centro assoluto dell'universo o come verità assoluta è tutto da dimostrare. La seconda è che "sarebbe parimenti lesiva della libertà di religione l'esposizione di altri simboli di altre religioni, perché finirebbe per ledere la libertà religiosa negativa di coloro che non hanno e non professano alcun credo religioso". Mi pare fantasioso ritenere che un simbolo religioso possa ledere il diritto alla libertà religiosa se non in presenza di un obbligo ad effettuare culti o ad acquisire dottrine e a professarle. La semplice esposizione invece si configura come una conoscenza ulteriore di culture, talora lontane fisicamente e culturalmente dalla nostra, suscitando la capacità di rapportarsi correttamente con persone che professano fedi diverse. E' un arricchimento della cultura personale e, nella peggiore delle ipotesi, l'indifferenza di fronte a tali simboli, per un ateo privi di alcun significato e quindi paragonabili ad un qualsiasi cartellone, può ovviare alla loro esposizione. Concludo con una osservazione provocatoria: io mi sento vicino alla CISL e molto lontano dalla CGIL. Ebbene nella mia scuola in occasione del 24 ottobre 2003, sciopero generale, sono state esposte solo le ragioni della CGIL con una quantità di fogli appesa in bacheca che non ha consentito di apporre null'altro. Se applicassimo certe visioni dei diritti individuali potremme dedurre che: - anche altri potevano appendere le loro ragioni; - nessuno dovesse esporre nulla, in quanto a me la sola vista del simbolo della CGIL da fastidio quanto un crocefisso ad un ateo. Non è sempre la difesa di diritti individuali? |
Lorella - 10-11-2003 |
Io sono cattolica praticante e nella mia aula non c'è il crocifisso. Ma la questione mi pare questa: dobbiamo rinnegare il nostro passato, indubbiamente cristiano, sia nel bene che nel male, perchè uno straniero si sente offeso dalla natura della nostra civiltà? Io ho in classe due studentesse mussulmane, che in questo periodo fanno il ramadan, quindi non fanno ricreazione con gli altri ragazzi. Dobbiamo obbligarle a mangiare, perchè il loro digiuno offende la nostra religione? Il rispetto significa non imposizione in entrambi i sensi; chi di noi, recandosi in un Paese arabo, penserebbe di far togliere i simboli della cultura araba, perchè non corrispondono a quello in cui noi crediamo? Siamo davvero convinti che un crocifisso sulla parete significa imporre la nostra religione? Siamo davvero convinti che nelle nostre scuole non si fa accoglienza agli stranieri, di qualunque religione ed etnia essi siano? Io mi occupo di integrazione da diversi anni, i miei migliori studenti (e oserei dire amici) sono stranieri e tutti non cattolici. Non confondiamo l'accoglienza con la rinuncia a noi stessi e alle nostre radici. |
mara - 10-11-2003 |
Caro Salvatore, nonostante la lucida e rigorosa analisi del tuo articolo, che chiarisce in maniera inequivocabile la natura della scelta operata dal giudice, come puoi leggere in alcuni commenti, le persone che non sanno o non vogliono capire sono, purtroppo, la maggioranza. Se persino gli insegnanti, che dovrebbero educare i loro studenti all'analisi e alla comprensione, non sono in grado di capire la correttezza "tecnica" di una sentenza, davvero siamo ripiombati in tempi molto bui. Circondati da politici ottusi e permalosi, che minacciano censure alla libera espressione del dissenso, non solo nelle piazze e sui giornali, ma anche nei teatri e nelle sale cinematografiche, stiamo pericolosamente scivolando in un melmoso medioevo di ritorno, con l'aggravante della consapevolezza. In realtà, crediamo di scegliere quello che, alla limitata visione costretta dai paraocchi confessionali e politici, appare purtroppo l'unica possibile scelta: il noto contro l'ignoto; il banale, borghese, ordinario, per proteggersi dallo straordinario, dal diverso comunque inserito, sia pure non pienamente integrato, nel quotidiano. Aggiungo che, come cittadina di uno stato (che credevo) laico, sono profondamente amareggiata dalle continue interferenze politiche, anche di grado elevato, nell’operato della magistratura, la cui indipendenza appare sempre più precaria. Come insegnante di una scuola pubblica, inoltre, sono ancor più offesa dall’atteggiamento autoritario e perentorio di un ministero che disdegna di chiamarsi pubblico quando si tratta di giustificare versamenti a fiume nelle tasche delle scuole private (e confessionali), mentre ricorda di essere signore e padrone assoluto quando ricorre contro un’ordinanza apparentemente ostile agli utenti cattolici del servizio pubblico. Evito, infine, di sottolineare la costituzionale laicità dello stato italiano, che prevale su qualsiasi trattato e regio decreto, perché in tempi tanto bui, le modifiche alla costituzione - in senso restrittivo, naturalmente - sono sempre dietro l’angolo. |
Caelli Dario - 13-11-2003 |
Ricordo a tutti che l'analisi proposta è deficitaria di un elemento. La sentenza del Consiglio di Stato del 27 aprile 1988 che ricorda come i Regi Decreti siano ancora legittimamente operanti. Ciascuno la pensi come vuole. Ma le motivazioni del giudice Montanaro sono sociologiche e non sufficientemente fondate giuridicamente. Che dal punto di vista culturale questo dialogo possa anche portare ad abolire l'obbligo dell'esposizione a favore di una libera scelta di lasciare o tgliere il segno cristiano è legittimo. che la magistratura pretenda di anticipare il discorso culturale, o meglio lo definisca perentoriamente con una scelta di campo così decisa mi pare inopportuno. Non siamo in nessun secolo buio, se mai ve ne sono stati più degli ultimi due, ma ciò che io rivendico è proprio il discutere culturalmente il problema. Invece ci si appella alla Costituzione e con questa si vuole chiudere la bocca a tutti. Quasi che la capacità di discutere debba essere solo di coloro che sono anticattolici. Questo lo rifiuto come un insulto. Come il cristinaesimo non può avanzare una pretesa di superiorità, così non la avanzi l'ateismo o il laicismo. Sono opzioni diverse di fronte al comune interrogativo. Tutte con la medesima dignità. Denigrare i cattolici come qualcuno sta facendo su Didaweb è lesivo della dignità di milioni di italiani ritenuti dei dementi e trattati come dei decerebrati da certi che esprimono le loro opinioni come se fossero verità assolute. Impariamo a dialogare invece di denigrare gli altri. |