Linguaggi peregrini
Marino Bocchi, Riccardo Ghinelli - 17-10-2003
Dialetto e dignità
di Marino Bocchi

Diceva Pasolini nel ‘74 che in seguito alla rivoluzione antropologica dovuta all’omologazione consumistica, i giovani delle borgate non erano ormai più in grado di comprendere il gergo romanesco parlato solo 10 anni prima. Ma sui dialetti, ormai inesistenti, la Lega ha costruito la sua ideologia padana, inventando una tradizione che non c’è mai stata. Sulla base dello stesso assunto, il coordinatore dei lumbard, Roberto Calderoli, ha annunciato oggi la presentazione di un disegno di legge che prevede per l’appunto l’esame di dialetto per gli stranieri che vorranno ottenere la cittadinanza italiana. Ovviamente la conoscenza delle parlate locali vale come attestato di integrazione, anzi di assimilazione, come ha ribadito lo stesso Calderoli,.”evitando ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza”. Dunque la lingua non è ritenuta uno strumento d’uso, di comunicazione ma un segno di appartenenza ad una, peraltro fantomatica, comunità. Questa proposta, mascherata da nobili motivi (il rischio del ghetto, il disagio, la devianza, ecc.) non è che l’ennesima conferma del rifiuto ad accettare l’altro in quanto tale, nella sua irriducibile alterità. Come Calderoli indirettamente ammette, quando associa la lingua ai costumi, agli usi e tradizioni del popolo ospitante che gli immigrati devono “assimilare” (ma un test di integrazione è previsto anche nel progetto di Fini). E così costringeremo lo studente a impararsi, per esempio, il dialetto modenese, e forse l’esame glielo farà Sandrone, la nostra maschera locale, che ogni anno, a Carnevale, tiene un discorso in vernacolo da un balcone della Piazza Grande. E magari mi capiterà di assistere al surreale dialogo tra un mio studente marocchino che in dialetto si rivolge ad un suo coetaneo italiano che il dialetto, ovviamente, non lo conosce, anche perché magari proviene, come è frequente nella mia scuola, da altre regioni, dal napoletano, dal casertano, dalla Puglia. Che si farà, per rimediare all’inconveniente? Si obbligheranno allora tutti gli alunni non modenesi, ad andare a lezione di vernacolo, tra un corso di inglese ed uno di informatica?
Stiamo evidentemente sfiorando l’assurdo. Ci sarebbe da ridere, ma ci dovremmo invece preoccupare. Perché, pur di mettere pace nella coalizione, è probabile che la proposta di Calderoli venga accolta dagli altri alleati. Alleati a negare la dignità di quelli che non ci assomigliano.



Esame di italianità
di Riccardo Ghinelli

Certe cose, se non altro, stimolano la fantasia.
Prendiamo ad esempio la proposta dell'on. Calderoli di sottoporre gli immigrati ad un esame per appurare "dimostrare il reale livello di integrazione nella nostra società: una prova di lingua italiana e locale, domande di cultura generale, storia, cultura e tradizioni, sistemi istituzionali, sia nazionali che locali".
Una norma simile esiste anche in Svizzera e viene da chiedersi se uno straniero per avere la cittadinanza elvetica debba possedere un coltellino multiuso, un orologio a cucù e magari saper lanciare uno jodel. O forse deve essere in grado di provocare un black-out in Italia?
Cosa potremmo chiedere nel nostro paese per essere sicuri dell'integrazione dell'aspirante cittadino?

Cominciamo con la lingua italiana.

Non credo che potremmo essere molto esigenti. Uno straniero dovrebbe forse parlare italiano meglio di Francesco Totti? Oppure essere in grado di dare consigli a Biscardi e Di Pietro in materia di congiuntivi? E cosa si intende per lingua locale? Uno straniero che abbia superato l'esame a Roma, potrà trasferirsi a Brembate senza dover imparare il lumbard? E quanti pargoli italiani allevati davanti a un televisore sarebbero in grado di comprendere un discorso nel dialetto della propria regione?

Passiamo alla cultura generale.

Potremmo chiedere a uno straniero di conoscere la geografia italiana meglio dei concorrenti del Grande Fratello?
E se chiederà un aiutino , lo bocciamo o gli facciamo i complimenti per la buona conoscenza degli usi italiani?
Lo stesso dubbio potrebbe venire per un candidato che si faccia raccomandare: lo consideriamo un disonesto oppure lodiamo la sua buona integrazione con la società italiana?

Per quanto riguarda la storia, diciamo solo che potrebbe essere imbarazzante esaminare qualcuno che dimostri di conoscere i fatti storici come l'attuale Presidente del Consiglio: lo promuoviamo?

Cosa si intenderà per conoscere usi e tradizioni

Anche qui: l'immigrato che si è costruito una casa abusiva confìdando nel tradizionale condono edilizio va punito o considerato uno di noi?

Ultimo punto i sistemi istituzionali.

Speriamo che sia un esame fondato sulla teoria, perché se andassimo a chiedere agli immigrati come funzionano le nostre istituzioni nella pratica rischieremmo di ottenere risposte molto, molto imbarazzanti.


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 ilaria ricciotti    - 18-10-2003
Noi saggi


Non dovremmmo concedere diritti all'emigrante,
se non saprà esprimersi e rispondere all'istante.

Se la nostra cultura sarà scarsa e non prevalente,
se"esso" parlerà soltanto delle sue tradizioni e della sua gente.

Se non conoscerà alla perfezione l'italiano,
ma si esprimerà stentatamente o gesticolando con il braccio e con la mano.

Se poi non saprà neanche parlare il dialetto locale,
be'... allora dovrà andarsene e riprendere la via del mare.

Sì, i pellegrini arrivati nel nostro civile paesello,
dovranno assorbire queste nozioni senza far funzionare il loro cervello.

Guai a coloro che avranno i neuroni e le sinapsi pensanti,
non potranno rimanere qui a disturbare la vita agiata di tutti quanti.


Perciò gli stranieri presenti su tutto il territorio italiano,
dovranno adeguarsi a ciò che vuole il vice ed il padano.

Dovranno accettare queste "democratiche" condizioni,
e non rompere tanto..., chiedendo diritti e agevolazioni.

Noi che vogliamo un paese sano, tutto nostro e con i confini,
non accetteremo mai di essere comandati da stranieri
che non si ascolteranno i loro padrini.

Quelli che tra "essi" avranno le qualità stabilite dai comandanti,
potranno votare e rimanere a fare i servi tutti quanti.

Gli altri che non possederanno questi requisiti,
saranno costretti ad abbassare la cresta o ad essere perseguiti.

Queste sono le "belle" e "giuste" leggi che si stanno preparando,
nei confronti di coloro che sono pellegrini o che da noi stanno emigrando.

Che dire ancora di tali proposte tanto significative ed allettanti,
che a sentirle ci fanno vergognare e ci umiliano in tanti.
Perciò grazie infinite, ai nostrani saggi benpensanti......!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 paolo forin    - 21-10-2003
Ho fra i miei libri uno volume dal titolo "El parlar de la mama", del 1922, antologia e grammatica di lingua veneta ad uso delle scuole elementari del regno, assolutamente bilingue (testo italiano a fronte).
Mi sono sempre chiesto che funzione avesse un simile sussidio, e la risposta che mi sono dato è che forse serviva da ponte verso la lingua italiana.
Ai miei tempi, anni 60, il parlare in dialetto a scuola era invece sanzionato dagli insegnanti.
Io amo il dialetto, lo parlo in famiglia e sul lavoro, e vorrei che fosse percepito come valore e non come qualcosa di morto, anche perchè quando torno al paese, e sento che è lingua comune di grandi e piccoli, mi si apre il cuore.
Però non so che farmene di una legge che ne imponga la conoscenza, non sta in cielo nè in terra.
Con gli immigrati che bussano alla mia porta colloquio nel loro scarno (a volte) italiano e nel mio stentato (da sempre) inglese.

 Dàvide    - 08-11-2003
Ogni espressione culturale di un territorio è un patrimonio intellettuale da conservare e coltivare, ogni lingua è portatrice di un proprio universo espressivo e concettuale, di una ricchezza culturale che può essere fruita pienamente solo se la lingua continua a vivere. Per questo penso che le lingue locali -chiamate spesso con vari termini ormai tramutatisi in cacofemismi, tipo "dialetto", che in Italia, nel parlare comune, non significa "variante locale di una lingua" (infatti è per esempio risaputo che il confine più rilevante del mondo neolatino è la linea La Spezia-Rimini, che separa proprio il galloitalico dall'italiano, quindi i "dialetti" del nord non sono ovviamente varianti della lingua italiana, ma, quando un napoletano parla del suo "dialetto", neppure lui intende dire che il napoletano è una variante della stessa lingua di cui è variante anche l'italiano standard), ma è una traduzione del francese "patois", parola con sfumature implicanti l'essere una lingua di serie B- siano da insegnare, e a tutti. Non solo agli immigranti come scusa per non accettarli nel nostro dorato mondo padano. Una tale politica è addirittura dannosissima per i nostri idiomi, in quanto potrebbe provocare persino ostilità da parte degli immigrati verso quella importantissima parte del nostro patrimonio intellettuale che è la lingua, e fargli optare magari per l'italiano perché è più facile trovare libri di testo, dizionari, perché lo sanno già, oltre che perché è ufficiale in ogni settore, che è poi il motivo per cui troppi indigeni e immigrati usano l'italiano, e solo quello. Per promuovere la lingua bisogna darle la dignitosa ufficialità che le spetta, non usarla come arma contro qualcuno.
Dàvide, Zena.

A chi interessa l'argomento consiglio l'articolo http://padaniacity.com/articoli.asp?ID=683
Per sapere di più sulla Padania (che esiste, e la politica non c'entra un bel niente, lo dice uno che vota RIfondazione Comunista), consiglio il mio sito http://www.geocities.com/Athens/Thebes/8042/