Ana Maria
Marino Bocchi - 09-10-2003

Se chiedessero al re degli Zingari perché ha costretto la figlia dodicenne a sposarsi, gli suggerirei di rispondere con una citazione dall’ultimo opuscolo pubblicitario del ministro Moratti: sono i genitori ad occuparsi in esclusiva dell’educazione dei figli. E il Portfolio, per esempio, cos’è se non uno strumento paragonabile alla medievale fama pubblica, nel linguaggio moderno più comunemente nota come controllo sociale, la cui funzione è quella di classificare e, classificando, restringere, costringere, entro un limitato osservabile campo d’azione, l’esistenza di un individuo?
E’ abbastanza curioso che neppure Michele Serra, nell’articolo su Repubblica del 9 ottobre dedicato al suddetto opuscolo, abbia sottolineato, fra mille intelligenti arguzie, proprio questo carattere del Portfolio, che è anche il più illuminante perché dimostra quanto l’attuale linguaggio aziendalista (il termine nasce appunto, come ricorda Serra, in tale campo semantico) sia erede di una mentalità autoritaria e repressiva che il progresso tecnico, lungi dall’espungere, ha semmai rafforzato proprio perché l’ha rimossa, negandola allo sguardo. Solo Domenico Starnone, nel commentare i caratteri della riforma morattiana, ha colto l’aberrante ideologia che ne è alla base e che prescrive che il destino dei ragazzi sia deterministicamente stabilito una volta per tutte, dai genitori e dall’ambiente socio-culturale di provenienza.


Ana Maria ha cercato di sfuggire al portfolio che il padre andava raccogliendo su di lei sollevandosi il lembo del vestito da sposa e provando a scappare dalla Chiesa in cui stava congiungendosi a nozze. L’hanno inseguita e riportata all’altare, la polizia rumena controllava il traffico. C’è poi stato lo scandalo e una denuncia. E si capisce. La Romania sta per entrare nella UE. Circoscrivere si deve. E il caso di Ana Maria è la testimonianza di una cultura arcaica e retrograda. Solo questo e nient’altro che questo. Da noi certe cose non succedono. Ma in Transilvania, dove è accaduto il fatto, succede che una miriade di civilissimi padroncini, molti dei quali italiani, abbia messo in piedi qualche centinaio di fabbrichette che sfruttano con paghe miserabili il lavoro della manodopera locale e non rispettano alcun diritto. E a Bucarest, migliaia di ragazzi vivono nelle fogne. E i cani, perché anche gli animali appartengono di diritto alla categoria degli innocenti, sono stati sterminati in modo orrendo. Ana Maria è una vittima. Il suo tentativo di fuga dovrebbe essere trasfigurato in epopea. Ma la nostra cattiva coscienza fa più schifo, diciamolo.
In Spagna, alla periferia di Madrid, c’era una scuola laica, pluralista, gestita da una cooperativa d’insegnanti. L’ha acquistata una congregazione religiosa che, fin dal nome, sembra creata ad immagine di San Patrignano. Si chiamano infatti i Legionari di Cristo. Coniugando, modernamente, efficientismo liberista e fondamentalismo etico-religioso, si propongono di capovolgere l’impianto pedagogico, a cominciare dalla netta separazione dei maschi dalle femmine. Ovviamente nel loro programma è presente il leit-motiv morattiano: l’educazione è faccenda privata, che solo ai genitori compete gestire. Tutto, dunque, torna alla famiglia, anche la violenza va sottratta all’esclusivo monopolio dello Stato. Lo ha spiegato bene il nostro ministro della giustizia Castelli che intende abolire i Tribunali dei minori, con il risultato che gli stessi minori saranno da ora in poi meno tutelati. E infatti pochissimi, fra quelli che berciano e sbraitano contro la pedofilia, ricordano che la gran parte dei soprusi e delle violenze che colpiscono i più giovani, i più indifesi, è commessa statisticamente fra le mura domestiche. Che si tratti di un campo Rom o di un appartamento di una qualche metropoli europea.

Michele Serra, nell’articolo citato, denuncia il fatto che, indicativamente, l’opuscolo non contiene la parola cultura. Non la contiene in effetti ma la presuppone. Solo che non si tratta della sua cultura e neanche della mia. Si tratta di quella cultura privatista e repressiva che disgrega lo Stato e insieme la nozione di individuo, istituendo al loro posto l’aggregato di tante, separate micro comunità autosufficienti e autonome, rette da un sistema di regole non condivise ma autoritariamente imposte e in cui la funzione dei genitori o degli insegnanti si riduce a quella di controllori, incaricati di far interiorizzare quelle stesse regole ai loro sottoposti in modo poi che controllori possano diventare anch'essi, da adulti. E’ questa struttura socio-culturale e mentale che produce il disagio. Il quale è tanto più diffuso quanto più si esercita, come nelle opulenti società consumistiche, per vie occulte, in nome di una tolleranza solo apparente e di un permissivismo che nella sostanza permette solo ciò che impone.

E qui si coglie l’ultima, definitiva connessione tra la vicenda di Ana Maria e quella dei suoi coetanei che vivono nei paesi occidentali. Perché in entrambi i casi agiscono gli stessi principi: la famiglia gendarme, la suddivisione tribale, in clan, la coercizione autoritaria basata sul principio del controllo sociale. Per questo Ana Maria è insieme un grumo di inaudita sofferenza e ingiustizia e un simbolo. Abituata a volare, nel tempo e nello spazio, la farfalla custodisce, produce sogni. Il suo sogno ricorrente, da un po’ di tempo, è che nel nome di Ana Maria, l’Innocenza negata, violata, si ribelli. E fugga. E fondi tante comunità di donne e uomini liberi.

Come San Francesco, caro Ministro Moratti.


Che seppe dire di no alla famiglia, al portfolio che il padre voleva imporgli e in cui intendeva registrare tutti i suoi buoni progressi di bravo ragazzo avviato verso una brillante carriera di ricchezza, prevaricazione e disumanità e scelse invece di sfidare la fama pubblica, il controllo sociale, dando pubblicamente il bacio al lebbroso. Assumendo su di sé il destino di tutti i reietti. Come tanti altri dopo di lui. Come Suor Annalena Tonelli, ammazzata in questi giorni in Somalia. Anche lei, come Francesco, viveva e condivideva il disagio degli innocenti. Entrambi agivano in nome di quella stessa religione per cui i governanti della civilissima Europa vorrebbero imporre il portfolio. Ma frate Francesco, a frate Leone che gli chiedeva cosa sia più importante, se il rispetto dell’autorità o la coscienza, rispose la coscienza.


VOLI

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