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«Caro Presidente perché questa guerra?».
Unità on line - 20-07-2003
Iraq, le bugie di Bush svegliano l'opposizione di Roberto Rezzo



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NEW YORK. Misleader, un neologismo per indicare un capo che anziché sulla retta via ti porta fuori strada, un leader che esercita il potere con l’inganno. È il titolo dello spot televisivo andato in onda questa settimana a Washington e New York. Immagini di repertorio, il presidente George W. Bush parla alla nazione, si vede il suo volto in primo piano, è colorato di verde, come quello di Iago. Agita la minaccia di un attacco nucleare contro gli Stati Uniti, descrive con minuzia di particolari gli arsenali proibiti di Saddam Hussein, snocciola quantitativi di gas nervino, straparla di uranio arricchito. È un presidente o un impostore? Una pagina a pagamento pubblicata sul New York Times ripete il concetto.
I pacifisti son tornati, si sveglia l’opposizione al Congresso, si fa sentire un movimento deciso a impedire che Bush venga rieletto. La vittoria militare non basta giustificare la guerra, uno scandalo incombe sulla Casa Bianca per le false prove sulle armi di sterminio. La situazione in Iraq è incontrollabile, ogni giorno qualche soldato americano torna a casa chiuso in un sacco di plastica. L’America finalmente si domanda: perché?
Tra i promotori della campagna, uno medico psicologo di 56 anni di Amherst nel Massachusetts, che dice di aver perso il sonno da due anni per il profondo disturbo che gli provoca Bush alla Casa Bianca. Ha fondato un gruppo che si chiama “Chiunque ma non Bush”, non sostiene nessun candidato alle prossime elezioni, ma si batte perché questo presidente non ottenga un secondo mandato. Non lo spaventa che il presidente conti di raccogliere contributi per 200 milioni di dollari: “Spero che raccolga un miliardo, così sarà chiaro a tutti il livello di avidità e corruzione di questa presidenza, verranno allo scoperto gli interessi che rappresenta davvero”.
Bush ha trascinato la nazione in guerra sostenendo che l’Iraq rappresentava un pericolo imminente per gli Stati Uniti e per il mondo civile. Le prove a sostegno di queste affermazioni stanno cadendo a pezzi una dopo l’altra. Richard Butler, capo degli ispettori delle Nazioni Unite durante gli anni ’90 e sostenitore dell’intervento armato, alla luce dei fatti ha scritto: “È chiaro che è stato deciso di pompare il caso contro l’Iraq”.
Il 26 giugno scorso Henry Waxman, deputato democratico della California, ha avanzato una proposta di legge per istituire una commissione d’inchiesta sulla storia delle armi di sterminio in Iraq. “Siamo stati al fianco del presidente quando ha chiesto di andare in guerra e restiamo oggi alleati del presidente nella lotta contro il terrorismo. Il problema non è se fosse giusto o sbagliato fare la guerra in Iraq: abbiamo approvato quella risoluzione. Non riguarda neppure il fatto che in Iraq prima o poi si possano trovare armi chimiche o batteriologiche. Vogliamo un’inchiesta perché è chiaro che prima della guerra i nostri servizi d’intelligence hanno fatto acqua da tutte le parti. Dobbiamo sapere come e perché questo è accaduto, per essere certi che mai possa accadere di nuovo. Dobbiamo sapere se il problema è stato causato dall’incompetenza o dall’irresponsabilità dei nostri servizi. Dobbiamo sapere se, come qualcuno all’interno dell’amministrazione ha suggerito, informazioni essenziali sono state nascoste al presidente. Dobbiamo sapere chi è stato e chiamarlo a rispondere”.
Ora l’istituzione di una commissione d’inchiesta è sostenuta da numerose organizzazioni pacifiste, movimenti sindacali, dal Consiglio nazionale delle chiese e da centinaia di migliaia di americani che si sono rivolti per iscritto ai loro parlamentari. Venticinque fra deputati e senatori hanno dato sinora la propria adesione, unendosi alla sigla Win Without War (Vincere senza la guerra). Il comunicato recita: “Se l’amministrazione Bush ha distolto le informazioni dei servizi segreti, o se ha deliberatamente usato false informazioni per ottenere sostegno alla guerra, si tratterebbe di un inganno senza precedenti. Persino se si dovessero trovare armi di sterminio, sarebbe difficile giustificare le affermazioni fatte prima del conflitto, quando si lasciava a intendere che ne fosse nota l’esatta ubicazione e che fossero pronte a essere usate in qualsiasi momento. La crisi di credibilità che sta investendo il presidente e la politica estera degli Stati Uniti impone risposte immediate, non tentativi di copertura”.

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