Auschwitz
Marino Bocchi - 17-01-2003
Il 27 gennaio 1945 i liberatori con la stella rossa entrano ad Auschwitz e trovarono i Salvati, quelli che, essendo piu’ adatti degli altri ( per titolo di studio, per indole soprafattrice o per semplice fortuna) erano tra i pochi sopravissuti allo sterminio. Gli altri, i non adatti, i deboli, i Sommersi, erano a milioni orami cenere e fango mescolata al fiume che scorreva portando le placide acque a valle.

Non ricordero’ l’anniversario nelle mie classi. E’ una ricorrenza blasfema.
Cari organizzatori dell’Evento, vi prego di togliere almeno la poesia di Primo Levi, per rispetto alla sua memoria e alle ragioni del suo suicidio. Che hanno ben poco a che fare con Auschwitz in quanto luogo fisico, ma c’entrano molto con l’Auschwitz che ci portiamo dentro. Perche’ Auschwitz e’ dentro ognuno di noi, ognuno di noi e’ Auschwitz, tranne chi in quel luogo reticolato e recluso e’ stato gassato ed e’ volato nel vento.
Cosa dovrei dire, alle mie alunne? Che i “buoni” liberali dello zio Sam e i “liberatori” rossi del Padre di tutte le Russie, alfine sconfissero Il Male che aveva il dono di blandire ed esaltare le masse nei raduni a Norimberga affascinandole con la sua retorica a ritmo di jazz? (Mosse, Shirer).
Non ricordero’ l’anniversario. Perche’ se lo facessi dovrei dire che la rievocazione della Shoah e’ ipocrita, perche’ la maggioranza dei giovani italiani odia i diversi, i neri, gli extracomunitari e questo odio rende riproducibile all’infinito se non la Shoah, unica e irripetibile, certo i genocidi e gli infami centri di detenzione, moderni lager tecnologi e asettici.
Dovrei dire che l’informatica dell’Ibm (allora erano le schede perforate) rese gli archivi degli ebrei destinati allo sterminio “efficienti ed efficaci”, pronti all’uso e al razionale massacro nei campi (Edwin Black).
Dovrei dire che gli storici paludati non amano parlare del Mein Kampf se non per ridicolizzarlo. E spiegare invece che una lettura critica della summa del pensiero di Hitler (Giorgio Galli, appena uscita nelle edizioni Kaos) dimostra che quelle “tesi aberranti” erano la risciacquatura estremizzata di idee, pregiudizi e concetti che circolavano da tempo nella cultura occidentale, da Kant ad Hume, ecc. Come testimoniano, tra gli altri, lo stesso George Mosse e un valente storico quale Enzo Traverso, in un testo pubblicato dal Mulino recentemente.
Dovrei invitare i miei alunni a riflettere su Il silenzio degli alleati, un saggio condotto su documenti d’archivio finalmente accessibili in cui lo studioso americano Richard Breitman dimostra “la responsabilita’ morale di inglesi e americani nell’Olocausto ebraico” e si domanda “Gli alleati erano al corrente dello sterminio ebraico pianificato dai nazisti: perche’ tennero nascosta l’atroce verita’?”.
Dovrei dire che il crocifisso tradito che pende dal muro sulla mia testa e’ stato quello che ha legittimato l’invenzione dell’antisemitismo, almeno a partire dal concilio Lateranense IV, nelle cui risoluzioni finali, al canone LXVIII si legge che i giudei “debbano distinguersi in pubblico per il loro modo di vestire dal resto della popolazione”, indossando un contrassegno giallo e il cappello a punta. Per cui i nazisti, anche qui, non hanno inventato nulla imponendo agli ebrei la stella di David.
E tante altre cose dovrei dire, come gli infiniti genocidi di cui a scuola non parliamo mai, per non disturbare l’innocenza dei nostri fanciulli e circoscrivere il male nel cuore del Caporale austriaco. Genocidi compiuti nel nome dell’eugenetica, scienza che e’ stata inventata e applicata dagli occidentali ben prima dell’avvento di Hitler e anche per molto tempo dopo, fino allo stupro sistematico delle donne Tutsi, di cui ha parlato il New York Times in un agghiacciante articolo tradotto in italiano da Internazionale qualche numero fa.
E invece non diro’ nulla. L’unico modo per celebrare la Shoah e’ il silenzio. Perche’ non si puo’ esprimere l’indicibile. E per rispetto alla memoria di un uomo e di uno scrittore che ha scelto il suicidio per non dover piu’ dire, mentre intorno a lui molti segnali lasciavano presagire che Auschwitz stava di nuovo tornando nel cuore degli uomini.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Carla Santini    - 19-01-2003
Non avevo mai riflettuto in questo senso.
Dal tuo articolo emergono intelligenza, cultura, sensibilità, autonomia di giudizio, ma.........tacere sempre su tutto, o condurre i giovani ad utilizzare intelligenza e sensibilità per acquisire cultura e autonomia di giudizio?

 Francesco Lo Duca    - 20-01-2003
Hai perso anche tu, questa volta, un'occasione per stare zitto... (il Silenzio)


 luciano zappella    - 20-01-2003
Caro Marino Bocchi,
silenzio, certo, per i morti, ma non per i vivi. Un bel tacer non fu mai scritto, ma allora perché scriverlo? E perché privare i tuoi alunni delle cose che hai detto? Pensi davvero che il silenzio sia la soluzione migliore? Il fatto che i nostri alunni hanno bisogno di Storia più che di memoria. Dille queste cose, non solo a noi, ma anche a loro!

 minella patrizia    - 20-01-2003
Caro Marino,
caro, anche se non ti conosco perchè ti è caro uno scrittore come Levi, se non altro. Io parlo della Shoah ai miei alunni, esattamente nel senso in cui ne parli tu, cioè attualizzandola, cercando di favorire incontri con chi si impegna contro i genocidi di questo mondo d'oggi. Non possiamo smettere di parlarne. patrizia Minella

 Loretta Tartufoli    - 21-01-2003
E' vero, l'indicibile non può trovare parole per essere detto. però il silenzio rischia di far perdere la coscienza e la memoria, anche riguardo al presente!

 Giuseppe Aragno    - 21-01-2003
Non l'avrei commentato questo articolo di Marino, perché a farlo ne rompi l'incanto.Non ci avrei messo bocca nemmeno dopo aver letto un intervento tutto silenzi e occasioni perdute che si commenta da solo: e chi ha occhi per vedere e cuore per sentire vede e sente da solo. Pensatela come volete, concordate, dissentite, va bene comunque, è consentito. Le regole son queste. Non dite però che Marino sta zitto, perché bestemmiate davvero. Come accade a chi possiede ad un tempo coscienza critica e onestà intellettuale, Marino non se ne sta zitto. Tutt'altro. Parla Marino e punta il dito: guardate - dice - guardate che io non sto al gioco! E' un urlo, questo, altro che silenzio. Se poi non lo sentite, pazienza. A Napoli diciamo: 'o peggio surdo è chillo ca' nun vo' senti'.

 Riccardo Velletri    - 27-01-2003
Caro Marino,
c'è silenzio e silenzio...
C'è il silenzio dell'omologazione, per cui si tace e si segue la corrente, anche quando forse la corrente porta ad una giusta mèta.
C'è il silenzio del rispetto, verso chi ha sofferto atrocità, fisiche e morali, che noi non possiamo nemmeno lontanamente immaginare.
Caro Marino,
forse oggi, in queste ore, tu veramente non stai leggendo i versi di Primo Levi: so bene, però, che tu ne parli - e in modo approfondito - durante tutto l'anno.
Riccardo.