La scuola del presente ripudia il mondo antico (e distrugge se stessa)
Danilo Falsoni - 26-03-2022

Nell'ormai dominante visione mediocremente aziendalistica, superficialmente banalizzante e conformisticamente propagandistica dell'istruzione italiana, appare ovvio che lo studio del mondo antico e la lettura dei suoi testi più importanti risultino assolutamente inutili e antiquati: ciò non tanto o non solo perché retaggio culturale di un'epoca remota e avulsa dal mondo produttivo attuale, ma perché sostanzialmente volti a quella funzione "formativa" alla quale la scuola italiana e occidentale in generale hanno ormai consapevolmente rinunciato.
Chiarisco che per "funzione formativa" si intenderebbe il fine ultimo dei curricula di studi volto a fornire ai giovani da un lato certamente conoscenze e abilità tecniche di base per inserirli con cognizioni adeguate nel mondo del lavoro, che nelle sue esigenze e richieste più concrete declinerà poi in più specifiche competenze, dall'altro un bagaglio culturale di conoscenze che li metta in grado di orientarsi consapevolmente e criticamente nella realtà sociale, civile, economica e lavorativa in cui dovranno vivere.
Per quali ragioni l'istituzione scolastica abbia rinunciato nella prassi concreta (non nelle logorroiche e retoriche dichiarazioni ufficiali che affliggono da sempre ogni discussione sull'istruzione, centrate su formule ormai stantìe quali "diritto allo studio", "inclusività", educazione alla "cittadinanza", etc.) a studi considerati unanimemente formativi della persona, meriterebbe un discorso molto ampio di cui questa non è la sede adatta, poiché vi concorrono fattori molteplici quali interessi d'ordine economico, politico e sociale.
Ma è chiaro che tali scelte hanno condannato la cultura umanistica a un miserabile regresso, costringendola nell'angolo delle discipline di secondaria importanza, magari illudendosi di coltivarne una ridicola versione banalizzata, ma utile e adeguata ai tempi, attraverso quella clownesca invenzione recente della educazione alla "Cittadinanza e Costituzione" (paradossalmente proprio nel momento storico in cui la Carta Costituzionale veniva ridotta a carta straccia nella prassi legislativa), che altro non è che una sorta di foglia di fico per coprire una parvenza di nulla o addirittura di strisciante indottrinamento ideologico sui temi più caldi del "politicamente corretto" da cui la nostra società è afflitta.
Purtroppo, invece, lo studio serio della storia e dei grandi capolavori degli antichi, come ad esempio i poemi omerici, archetipi di tutta la letteratura successiva (si veda ad es. F.FERRUCCI, L'assedio e il ritorno. Omero e gli archetipi della narrazione, Mondadori, Milano 1991) sui quali la civiltà greca edificò la propria παιδεία, costituisce fattore fondante di una coscienza critica che per secoli l'Occidente ha coltivato, trovandovi le radici stesse del termine "cultura".
Dobbiamo ripetere quello che da generazioni si sa, e cioè che le parole stesse della convivenza civile e politica del nostro mondo - come democrazia, politica, monarchia, repubblica, oligarchia etc. - sono derivati direttamente dalla lingua dei greci e dei latini?
Che le origini delle "scienze", come l'astronomia e la geometria, risiedono, prima ancora che nell'originario pensiero greco, nelle osservazioni, intuizioni e realizzazioni monumentali dei misteriosi Egizi, e che il sistema sessagesimale di calcolo fu inventato dai Sumeri, primi creatori anche della nozione di "città" vera e propria? Che il primo concetto di "egemonia" e "impero universale" trova riscontro nell'impero accadico di Sargon I?
Questo perché i popoli antichi furono i primi edificatori di quei fondamenti del vivere sociale dal quale discende il nostro e il loro studio e la loro conoscenza costituiscono in un certo senso uno specchio nel quale noi, uomini e donne del XXI secolo, pur così lontani, vediamo riflesse le nostre società, istituzioni e costituzioni, le nostre passioni e i nostri problemi, anche se travestiti in forme e costumi diversi, ma partecipi della medesima realtà esistenziale.
Così, nelle vicende delle πόλεις greche e nella loro evoluzione, come in quelle millenarie dell'antica Roma, dalla monarchia alla repubblica al principato fino alla inevitabile decadenza del tardo impero - tanto analoga a quella dell'Occidente attuale - possiamo leggere come fra le pagine di un libro a ritroso i nostri destini e le nostre paure. Tutto ciò dovrebbe essere motivo di riflessione e discussione, di dialettico confronto con un passato che costituisce il sigillo della nostra stessa tormentata identità.
Invece, i potenti del presente, i nuovi artefici dei destini globali vogliono cancellare questa eredità, questi tesori che potrebbero essere fra le più preziose fonti di riflessione e confronto critico e permetterci di capire con maggiore lucidità ciò a cui le nostre tormentate società stanno andando incontro: ma è proprio quello che essi non vogliono, essi stessi obnubilati da un'ignoranza pari solo alla loro dissennata e avida stupidità.

E la lettura dei più grandi testi letterari dell'umanità sarebbe in grado di far conoscere, capire e provare i più basilari sentimenti umani alla gioventù che oggi, dopo il dramma dell'epidemia e degli effetti delle misure prese dai governi, brancola in un buio ancora più pesto di quello precedentemente celato dietro l'ombra proiettata da quell'"ospite inquietante" di cui parlava Nietzsche, oggi più che mai padrone delle menti nel disordine universale. Ma tant'è, masse disorientate e ignoranti, ridotte a "vulgo", costituiscono l'ideale di chi le vuole manovrare a proprio piacimento...


Brescia, 26-03-2022                                                                                               Danilo Falsoni


Tags: istruzione, formazione, cultura umanistica


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