Domande a De Luca
Giuseppe Aragno - 29-10-2020

Contagi, tamponi, malati, quarantene, terapia intensiva, morti e ospedali in crescenti difficoltà. La rincorsa delle ordinanze pare ormai inarrestabile come la pandemia. Un principio mai scritto si legge tra le righe di decreti e comunicati governativi e regionali: avevamo da scegliere tra vita e morte, salute ed economia e ci siamo divisi. In un primo tempo l'ha spuntata di misura l'umana pietà e si è cercato di mettere avanti a tutto la vita, anche se è mancata la necessaria decisione; l'ormai famoso lokdown non è stato però mai davvero completo e soprattutto al Nord i killer della Confindustria l'hanno fatta da... padroni. Il tesoro dei ricchi non si è toccato, l'Europa ha confermato la sua vocazione allo strozzinaggio e non s'è potuto aiutare seriamente chi rischiava di morir di fame. 
Bene o male, comunque, un risultato s'era ottenuto; sarebbe bastato probabilmente tenere la barra con fermezza un po' di tempo ancora e avremmo calato l'ancora in un porto sicuro. Non si trattava solo di speranza. Più l'aria si faceva pulita, più i delfini tornavano a farsi vedere in un mare di nuovo cristallino, più l'aria si arricchiva di ossigeno e più si capiva che il virus stava perdendo la sua feroce partita. 
Giunti però alla riapertura anche un cieco l'ha visto: giorno dopo giorno l'ago della bilancia ha preso a pendere dalla parte degli interessi economici e la vita ha dovuto suo malgrado prepararsi a far posto alla morte. Quant'è durata l'estate, tanto è durato lo sperpero del capitale faticosamente e dolorosamente accumulato. Si è tornati così al punto si partenza. 
Certo, le radici della tragedia sono lontane e in pochi mesi non si fanno miracoli. Scuola, Sanità e Trasporti sono stati in varia misura e da più governi distrutti mediante la cieca politica di tagli e privatizzazioni. La pandemia ci ha mostrato il re nudo, ma che si è fatto nei lunghi mesi dello scialo per affrontarne le inevitabili conseguenze? Per la Sanità, come per tutto il settore pubblico, il crollo che si prospetta oggi nasce dai problemi specifici del settore che non sono stati mai affrontati. Da marzo a oggi, però, tutto è rimasto com'era. 
Qui nella Campania di De Luca, per esempio, occorrevano assunzioni e si dovevano riaprire subito gli ospedali sconsideratamente chiusi. Il settore, già disastrato, oggi è ancor più debole e minacciato dal totale disinteresse per i trasporti e per la scuola, due degli epicentri di un terremoto che favorisce i contagi e rende ingestibile la crisi. Sarebbe stato così difficile utilizzare i camion e i pullman dei militari per rinforzare i trasporti? E che fine hanno fatto i pullman privati che non portano più turisti? Quanto sarebbe costato accordarsi ed evitare che viaggiassimo su carri bestiame? 
La scuola, poi. C'era e c'è un patrimonio edilizio demaniale a disposizione. Sarebbe bastato utilizzare i lunghi mesi estivi per fare un censimento ed eventuali lavori urgenti. Quanti edifici potevano e ancora potrebbero essere usati per avere aule più numerose e meno affollate? Quanti docenti precari o sfruttati dal privato si potevano e si possono assumere? Quanti contagi in meno si sarebbero così registrati? Quanti ospedali avrebbero evitato il collasso che si annuncia? Quanta povera gente avrebbe salvato la vita? 


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