E' incredibile, ma vero: quasi quarant'anni dopo il terremoto che nel 1981 mise in ginocchio Napoli e l'Irpinia, la barbarie che ci governa ha presentato il conto, chiedendo ai figli e ai nipoti dei terremotati di restituire con gli interessi i costi dei soccorsi.
Un terremoto è una ferita atroce: devasta e uccide.
Una comunità in lotta per la sopravvivenza risponde mobilitandosi in una gara di solidarietà: volontari, risorse scientifiche, mezzi e strutture di soccorso. Tutto concorre al risanamento e nessuno, per nessuna ragione al mondo, ha il diritto di trasformare questa nobilissima gara di umanità in una ignobile occasione di speculazione.
I Napoletani chiedono di sapere anzitutto chi e a quale titolo vanta questo credito odioso e inaccettabile e rivendicano il diritto costituzionale di rifiutare questo meccanismo usuraio che strangola una città. Essi pretendono di conoscere qual è il barbaro principio per cui dovrebbero chiudere le scuole comunali, distruggere ciò che resta del diritto alla mobilità, negare l'accompagnamento ai disabili e vendere a prezzo di liquidazione i beni della città e cedere al ricatto di ignoti strozzini.
I Napoletani affermano un principio chiaro e inoppugnabile: la solidarietà non è un debito da far pagare mettendo a sacco una città e togliendole tutto, anche l'aria per respirare.
Il 14 aprile perciò saranno tutti in piazza Municipio, pronti a lottare e decisi a non pagare e faranno di Palazzo San Giacomo la roccaforte di una sacrosanta rivolta morale.
E sia ben chiaro: in questa losca vicenda non ci sono parti politiche. Come altre volte nella loro millenaria storia, i Napoletani difendono l'inviolabile confine che separa la civiltà dalla barbarie.