Risposta alle Considerazioni sulla malascuola
Roberto Colombo - 13-11-2017

RISPOSTA ALLE CONSIDERAZIONI SULLA MALASCUOLA,
OVVERO COME PASSARE DALLA "BUONA SCUOLA" ALL'"OTTIMA SCUOLA"
Le Considerazioni sulla "malascuola" recentemente apparse a firma di tale Rodrigo Catalani, che sicuramente sono opera di un insegnante non scevro di capacità di riflessione, ma irrimediabilmente conservatore, mi inducono a questa risposta, in cui cerco di confutare punto per punto il suo lungo piagnisteo, rivolgendomi a lui come a un vecchio amico immaginario, che probabilmente esprime il punto di vista di un segmento significativo, ma in via di estinzione, del variegato universo dei docenti italiani.
LA RISTRUTTURAZIONE DEI POTERI - Aumento incontrollato dei poteri dei Dirigenti Scolastici, dici, ma forse non consideri gli effetti nefasti che decenni di piatto egualitarismo e di confuso assemblearismo, esausti cascami del Sessantotto, hanno prodotto sulla scuola. Rimpiangi forse quella scuola sonnolenta, con tutti i vizi degli impiegati statali, e pensi di poterla riesumare in un mondo come quello di oggi? Non posso credere che decenni di promesse e di riforme mancate, di discorsi retorici e inconcludenti, di stanchi riti consociativi, ti abbiano reso così piagnone, e incapace di scorgere le novità sostanziali che la Legge 107, ma non solo essa, ha apportato al sistema scolastico.
Non tutti gli insegnanti sono uguali, ognuno ha percorsi di formazione e competenze variamente acquisite che è giusto valorizzare, non appiattire in un ruolo unico: chi può farlo meglio dei Dirigenti? Certo, in questa fase iniziale ci saranno molte cose da rettificare, ma non si può negare che il futuro della scuola vada nella direzione di una valorizzazione delle diversità, dei talenti, senza per questo demonizzare la "meritocrazia".
Quelli che esaltano nostalgicamente una mai esistita scuola solidale e collegiale - tra i quali forse sei anche tu - hanno in orrore questo concetto, di merito individuale, ma si tratta solo di un vecchio pregiudizio ideologico. La vicenda del "bonus-merito" la descrivi come una perversa distribuzione di prebende ai "favoriti" del Dirigente, senza considerare che i Dirigenti non fanno che applicare dei criteri elaborati da un apposito comitato in cui sono rappresentati anche docenti, studenti e genitori. Io direi anzi che, per rendere ancora più moderno e incentivante questo sistema, dovremmo a poco a poco sbarazzarci di questi criteri, e dotare i Dirigenti di appositi forzieri da cui prelevare le somme da assegnare ai docenti più attivi e meritevoli, brevi manu, bypassando procedure burocratiche e norme di trasparenza. Quel che tu vedi come un eccesso di potere, io lo chiamerei piuttosto una gestione più moderna e flessibile, che dia il giusto riconoscimento a chi si impegna di più nel lavoro.
Trovo piuttosto patetica anche la tua difesa degli organi collegiali, roba vecchia di più di quarant'anni, non più adeguata alla governance di un sistema complesso come quello delle Istituzioni scolastiche. Davvero rimpiangi i Collegi Docenti in cui si chiacchiera tanto e non si decide mai nulla, o in cui si fa gioco di interdizione contro qualunque proposta innovativa? E non ti sembra che un Consiglio d'Amministrazione, eventualmente anche aperto ai soggetti socio-economici del territorio, possa essere molto più efficiente degli attuali Consigli d'Istituto? Solo vecchi preconcetti antiprivatistici possono indurti ad una sterile difesa del passato, magari in nome di una anacronistica salvaguardia di una scuola pubblica avulsa dalla realtà e autoreferenziale.
Insomma, tu che - immagino - ti sei sempre considerato un progressista, finisci con l'assumere una posizione conservatrice, come ad esempio negli accenni che fai all'obsoleto istituto del Contratto Nazionale, un vero ostacolo alla modernizzazione del Paese e alla liberazione delle sue forze produttive, o alla funzione delle RSU, nate in un'epoca che sognava forse ancora i Soviet, e che nella scuola non mi pare abbiano dato prova della loro indispensabilità.
Ma dove trovo particolarmente insopportabile il tuo discorso è nell'accenno ai finanziamenti europei, o di altra provenienza, che descrivi come fossero un male: vuoi forse accodarti anche tu ai detrattori populisti dell'Unione Europea? O pensi che si debba, o semplicemente si possa, ritornare a modalità di finanziamento a pioggia, di origine esclusivamente statale, a prescindere dai risultati di qualità e di efficienza delle Istituzioni scolastiche? Via, un po' di realismo!
LA DISTRUZIONE DEL TEMPO-SCUOLA - Parli in termini molto negativi dell'Alternanza Scuola/Lavoro, che è in realtà una grande innovazione, che scardina l'autoreferenzialità della scuola, agganciandola invece alla realtà viva, produttiva, del territorio. Sì, forse in questa fase iniziale non tutto sarà andato per il verso giusto, ma sicuramente questa è una delle vie del futuro. E' un bene che i ragazzi si abituino fin dagli anni della scuola superiore ad entrare in contatto con il mondo del lavoro, e se magari non troveranno una perfetta congruenza tra il lavoro svolto e il profilo scolastico, non sarà comunque un male che gettino uno sguardo fuori dalle anguste pareti delle aule, e si rendano conto delle opportunità e anche delle problematiche del lavoro vero. Basterebbe anche che facessi qualche intervista, che chiedessi loro cosa pensano di queste esperienze di alternanza: vedrai che, tranne una sparuta pattuglia di studenti ideologizzati, ti diranno che sono contenti di aver fatto e di dover fare questa esperienza.
E che c'è di male nella miriade di progetti che fanno le scuole? Si tratta semplicemente di un enorme arricchimento dell'offerta formativa, che supera l'angustia dei saperi tradizionali, disciplinari, impartiti con lezioni frontali. Non si può disconoscere che è la realtà di oggi, così complessa e in incessante trasformazione, a richiedere questo approccio elastico, interdisciplinare, transdisciplinare, alla formazione. Una scuola che tornasse a insegnare la letteratura e la storia, la matematica e le scienze, e tutte le altre materie in modo tradizionale, sarebbe vista, in primis dai ragazzi, come un'astrusa sopravvivenza del passato, e dalla società come rinchiusa in se stessa, poco funzionale.
La stessa cosa dicasi per la molteplicità dei soggetti e di quelle che chiami "agenzie formative": quel che tu percepisci in prima istanza come frantumazione e dispersione, è invece una grande ricchezza, la messa in contatto dei ragazzi con gruppi, comunità, forze vive del territorio. Un territorio, non dimentichiamolo, straordinario per i musei, le biblioteche, i centri di ricerca che fanno grande il nostro Paese: è assolutamente un bene che i ragazzi ne vengano a conoscenza, che siano orgogliosi di essere italiani.
Quindi, quel che tu chiami "distruzione del tempo-scuola" va invece visto come una grande e salutare flessibilizzazione dei processi formativi, di cui la scuola non è che un tassello, che riceve linfa vitale dai rapporti con l'esterno, avendo perso ineluttabilmente il suo primato educativo.
LA MOLTIPLICAZIONE DELLE COMPETENZE - Il mondo è cambiato, e quelli che la pensano come te sembrano non rendersene conto. Quel che si chiede agli insegnanti non è di essere degli improvvisati "tuttologi", ma di saper veicolare conoscenze, e costruire competenze, necessariamente complesse e variegate. E' la globalizzazione, bellezza, è la sfida della modernità. L'elenco dei requisiti richiesti ai docenti che tu fai, e che probabilmente potrebbe essere anche più lungo, non va visto come un'aspettativa troppo alta nei confronti di una categoria sottopagata, ma come l'appello, già di per sé gratificante e lusinghiero, ad una multiprofessionalità che prima o poi verrà riconosciuta e adeguatamente remunerata.
Può la società di oggi, e ancor più di domani, accontentarsi di docenti magari preparati nella propria disciplina, meglio ancora se esperti di tecniche didattiche e di strategie comunicative, ma ignari delle interconnessioni tra i saperi e delle n-dimensioni in cui si articola la complessità sociale odierna?
Ben vengano dunque le mille "educazioni": sono il segno di un'apertura e di una ricchezza, che opportunamente inscritte in una regia consapevole possono rappresentare la linfa vitale di un'istituzione che altrimenti si rinchiuderebbe sterilmente in se stessa, senza un confronto costantemente rinegoziato con i bisogni sociali.
L'OSSESSIONE DELLA VALUTAZIONE - Tutti valutano tutti, nel mondo di oggi. Non è un male, è una forma di intelligenza collettiva capace di autoregolarsi, una forma nuova di trasparenza. Solo gli insegnanti, o almeno quelli come te restii ad abbandonare vecchi privilegi, pretendono l'extraterritorialità, pretendono di non essere valutabili e valutati. Una pretesa assurda, un anacronismo.
Non siete tutti uguali, non sono uguali l'impegno e la professionalità di ognuno di voi. La ricreazione è finita, come ha detto non ricordo più chi, è finito il tempo di un egualitarismo indifferenziato per cui chi fa è uguale a chi non fa, chi sa è uguale a chi non sa. Non bisogna abbandonare la strada virtuosa della valutazione dei docenti, ma semmai aumentarne lo spettro di estensione: i docenti devono essere valutati dai Dirigenti, dagli studenti, dalle famiglie, forse anche da istanze superiori come Ispettori, e magari essere sottoposti a periodici esami. E' una sfida che va affrontata, non demonizzata, se vogliamo che la categoria recuperi autorevolezza e credito sociale.
Tu che ami tanto una certa cultura tradizionale della sinistra, dovresti forse ricordare i magnifici versi di Enzo Jannacci, che cantava: "Chi non sa stare a tempo, si deve ritirare, non c'è più posto per chi sa far da solo". La competizione non è un disvalore, ma il motore del cambiamento, nella scuola come in ogni altro ambito della vita sociale.
IL COLONIALISMO DIGITALE - No, non c'è nessun colonialismo, né di fatto né come rischio potenziale. Ci sono gli orizzonti infiniti aperti dalla Rete, che ancor oggi spaventano i laudatores temporis acti (ma sono, questi, una specie in ineluttabile via di estinzione), e che ancor oggi non sono adeguatamente sfruttati. Chi paventa la dematerializzazione o l'interconnessione permanente, per quanto lo faccia con le migliori intenzioni, è e sempre più diventerà solo un patetico relitto del passato.
La sacralità dei testi, la fisicità dello stare tutti insieme in uno spazio finito e confrontarsi tra persone reali, l'attitudine allo spirito critico e al confronto tra opinioni e punti di vista e interessi diversi, saranno sempre più reperti archeologici.
A cosa serve la filologia se i testi si volatilizzano, possono essere manipolabili all'infinito, dar luogo alle più creative ricomposizioni e combinazioni? I motori di ricerca, gli algoritmi hanno irreversibilmente cambiato il mondo: alla pazienza della filologia deve inevitabilmente subentrare la fantasia creatrice del gioco combinatorio.
Allo spazio chiuso e asfittico dell'aula, e alla rigidità della classe, deve subentrare l'apertura al mondo, una permanente capacità di dialogare di tutti con tutti, una continua composizione e scomposizione e ricomposizione degli insiemi sociali. Anche questo è "educazione alla mondialità"!
Allo spirito critico, questa pretesa da anime belle, deve subentrare un'illimitata flessibilità mentale, una capacità di adattarsi a nuove sfide e nuovi scenari. Cosa ce ne facciamo di tanti liberi pensatori (che del resto non sono mai stati la maggioranza), che confrontano le proprie opinioni in un infinito gioco dialettico? Non siamo più, e da un pezzo, nell'Atene dei sofisti, ma in un mondo che corre, e che lascia per forza indietro chi non regge la competizione globale.
LA NEOLINGUA DEL PEDAGOGHESE - Hai voluto concludere la tua tiritera moralistica con un'invettiva contro le mille sigle che si usano oggi nella scuola, esattamente come in ogni altro ambito sociale. Ma le sigle cono comode! Sono una forma di semplificazione, per gestire meglio la complessità dei compiti attribuiti alla scuola.
E perché prendersela con la cultura della programmazione, che tu vedi principalmente incarnata nel POF e nella sua ultima filiazione, il PTOF? Vorresti un'anarchia in cui ognuno fa come gli pare, magari invocando il vetusto principio della libertà d'insegnamento enunciata dall'altrettanto vetusto art.33 della Costituzione? Cos'è, una riedizione del sessantottesco slogan "l'immaginazione al potere"? E non vedi invece che proprio questa proliferazione di sigle è una forma, aggiornata, di immaginazione creativa?
Non vedi che la governance di un sistema complesso come quello scolastico richiede una seria definizione, di volta in volta modificabile, di obiettivi formativi, e un accurato controllo del loro raggiungimento? Come si ottiene questo senza un'adeguata programmazione, che tra l'altro deve coordinarsi con le altre programmazioni nazionali e competere nel miglioramento degli standard formativi internazionalmente accertati e valutati? Viva l'Invalsi, dunque, e viva l'OCSE, a dispetto di tutti i loro detrattori che si ostinano a riproporre una fantomatica qualità contro i parametri oggettivi di comprensione del testo e di abilità logico-matematiche-scientifiche!
Non siamo nel mondo della distopia orwelliana, che tu ami citare, ma in uno scenario aperto che ha nella complessità, nell'interrelazione, nella competizione e in un sano individualismo i suoi contrassegni distintivi, e tutto quel che dici, e che io ho cercato sommariamente di contestare, mi sembra possa in definitiva ridursi ad una difesa, che penso proprio perdente, di un Mondo Vecchio contro un Mondo Nuovo certo difficile ma esaltante, e in ogni caso, mettitelo bene in testa, irreversibile.
Eugenio Trendi


Tags: buona scuola, meritocrazia, scuola aperta


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