Il trionfo del no al referendum? Quel risultato è ripetibile
Giuseppe Aragno - 07-08-2017
Giunge da più parti, sommesso ma pressante, probabilmente con l'intenzione maligna di costringerti a scelte frettolose, l'invito a prendere parte attiva al tentativo in atto di ricomporre le forze della sinistra. Quello che insospettisce è soprattutto un errore grossolano, che pare banale ma non lo è: il ricorso al singolare, quel "tentativo" tendenzioso e inappropriato che, di fatto, non consente di capire di che e di chi si parli e lascia credere a una via obbligata. E allora diciamocelo: di tentativi in campo ce ne sono due: uno è di Pisapia, l'altro fa capo ad Anna Falcone e Tommaso Montanari.
D'accordo, gli incontrollabili "ben informati" o, peggio ancora, fonti così "riservate", da risultare anonime e quindi - fino a prova contraria - totalmente inattendibili, fanno girar la voce di un accordo preso sottobanco sin dall'inizio, per il quale dopo un gran polverone, si finisce tutti sotto la stessa bandiera: quella del centrosinistra capeggiato dal PD. E allora sarà meglio dirlo subito: il PD di Renzi, azionista di maggioranza di un governo che produce decreti come quello Minniti, è del tutto estraneo alla sinistra.
Se fosse necessaria, ma non lo è, la risposta alla scorretta sollecitazione genera anzitutto una inevitabile domanda: Pisapia o Falcone? In realtà, chi prova a ragionare con la propria testa, scopre che il percorso è chiaro, così come chiaro si mostra il punto partenza: un progetto politico ha un futuro solo se rappresenta una risposta possibile a una domanda che nasce dalla realtà politica e sociale; se ha, cioè, una sua stringente attualità storica. Ricostruire una sinistra nel nostro Paese è una necessità storica. L'Italia, così come la conosciamo, è figlia di tre culture politiche ben distinte tra loro: liberale, cattolica e socialista. Ognuna aveva valori, pensatori di riferimento e un'idea di società e ognuna si era andata strutturando in grandi partiti di massa. Oggi non è così; oggi nessuna di quelle grandi famiglie politiche è autonomamente presente nella nostra vita politica; quel vuoto di rappresentanza ha determinato un'altissima astensione e la nascita di un nuovo, anomalo "terzo polo" senza storia e senza cultura di riferimento, costituito dal movimento di Grillo. Ci sono liberali dispersi nei diversi campi - anche in quello di una destra illiberale con fortissime venature autoritarie - ma non c'è una destra liberale. Non esiste un centro autonomo, ma una formazione berlusconiana, che non ha vita autonoma e sembra poter sopravvivere solo in simbiosi con un'altra parte politica - il cosiddetto centrodestra - e una sinistra snaturata e priva di identità, che a sua volta mostra di saper esistere solo come ala avanzata di un partito - il PD - che si definisce di "centro-sinistra", ma scavalca continuamente a destra la Lega di Salvini e riporta in vita addirittura piccoli capolavori di violenza fascista, come ha fatto recentemente Minniti.
Di una sinistra autonoma, c'è solo un'abbondanza di sigle che stentano a rappresentare persino se stesse. Così stando le cose, la rinascita di una moderna e autentica sinistra non può e non deve coincidere con la proposta in campo di chi intende di fatto tornare a una formazione programmaticamente pensata come ala avanzata di uno schieramento di centrosinistra. Una iniziativa che rischia di cristallizzare un recente, fallimentare passato e allo stesso tempo un azzardo, perché, nei fatti, l'alleato di "centro" non c'è e se c'è vuole essere un baluardo del neoliberismo. Il cuore del problema è proprio qui.
Una sinistra autentica, che non intenda ripudiare la sua cultura, la sua storia e la sua tradizione è, infatti, geneticamente anticapitalista e assolutamente ostile al neoliberismo. In questo senso, personalità e gruppi politici che hanno finora professato dottrine neoliberiste, dando di fatto una mano a chi ha ridotto il Paese nella condizione in cui si trova, non possono essere legittimamente accolti nella sinistra che si va riaggregando. Né, d'altra parte, in una formazione che solleva la bandiera della Costituzione, può esservi posto per chi ha difeso il sì al referendum o si è schierato strumentalmente per il no, dopo aver lungamente negli anni contribuito a stravolgerla, portando il Paese in guerra e varando Bicamerali che meritarono l'elogio di Berlusconi e i voti leghisti.
Il compito di chi intende ricostruire la sinistra è quello di delimitare un perimetro difeso da un sistema valori , entro cui raccogliere esclusivamente forze che condividono un'idea di società anticapitalista e antiliberista. Dar vita a un organismo che sia la sinistra di uno schieramento parlamentare - il centrosinistra - destinato a governare il Paese più o meno come hanno fatto Renzi e Berlusconi, non solo non è la risposta a una necessità della storia, ma diventa un azzardo, perché un "centro" per la "sinistra" non c'è. Esiste una formazione di destra che presenta chiaro il suo biglietto da vista: il decreto fascista del Ministro Minniti.
Tracciare questo perimetro non è difficile; si può considerare, infatti, di sinistra chi ha pensato, sostenuto o anche solo votato per una malintesa "disciplina di partito", la Buona Scuola di Renzi? E' possibile caricarsi sulle spalle il peso di chi ha lasciato passare il Jobs Act e l'abolizione dello "Statuto dei lavoratori"? Che c'entra con la sinistra chi ha seguito Renzi e Berlusconi ai tempi dello sciagurato patto del Nazareno e chi ha consentito che un governo di dubbia legittimità, tenuto in piedi da un Parlamento di nominati, grazie a una legge fuorilegge, stravolgesse la Costituzione, inserendovi il pareggio di bilancio e il Fiscal Compact , con tutto quanto ne è poi derivato? Questi personaggi dovrebbero cercare casa a centro e se un centro non esiste, dovrebbero lavorare per farlo nascere. In questo senso, lavorare concretamente per la rinascita di un'autentica sinistra, vuol dire anche creare le condizioni per spingere altri a ripristinare un quadro politico realmente costituzionale.
C'è poi il mondo dei movimenti, ci sono le grandi esperienze di lotte territoriali, come quelle della Valsusa, c'è il laboratorio Napoli, con un esperimento di neomunicipalismo e quella "rivoluzione con il diritto" che significa, in estrema sintesi, stretta osservanza delle leggi costituzionali, rispetto a quelle ordinarie, quindi "disobbedienza". Sullo sfondo c'è il vasto popolo della sinistra che non vota, perché non è rappresentato e che, però, quando decide di votare fa saltare il banco, com'è accaduto con il referendum.
Ecco, questo significa lavorare per riaggregare la sinistra. Una sinistra anticapitalista e costituzionale, quindi nemica della guerra, decisa ad abolire una ad una le riforme incostituzionali di Monti e di Renzi, a ripristinare e applicare all'intero mondo del lavoro lo statuto dei lavoratori , pronta a cancellare l'Invalsi e l'Anvur, a difendere l'Europa di Spinelli, chiedendo che L'Unione Europea si dia una Costituzione fondata su un modello parlamentare e approvata dai popoli che intende unire.
E' vero, questo comporta dei sacrifici e mette fuori gioco figure di rilievo che hanno un nome e una storia, ma si tratta di gente che da molto tempo ormai ha divorziato dalla sinistra. Di un peso di cui occorre liberarsi.
Chi avrebbe giocato un centesimo bucato sull'esito così clamoroso del referendum? Sarà un'illusione, ma quel risultato può essere ripetuto.
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