Perché no
Gianluca D'Errico - 29-10-2016
Come Guernica. Se ti metti sotto sotto a guardarlo, magari scopri dettagli, ma non capisci. La prima volta che sono andato al Museo Reina Sofia di Madrid a guardare il quadro di Pablo Picasso ho pensato che c'era poco spazio: non si riusciva a stare alla giusta distanza per vedere e capire l'insieme. Magari il ricordo è falsato, ma il concetto è quello: ci vuole spazio.

La Costituzione è come Guernica, la devi guardare da lontano per pesare bene tutti gli elementi, per capire. Bisogna mettersi lontano dalle urgenze contingenti, dalle beghe dell'oggi. Fare uno sforzo: guardarla dal futuro ad esempio. Pensare alle possibilità remote più che alle probabilità prossime.

L'assoluta mancanza di questa giusta distanza rende il dibattito sul referendum costituzionale veramente misero, asfittico. Tutto piegato sulle "convenienze", sull'ottuso pragmatismo che è la cifra ultima dell'agire politico odierno. Anche gli interventi che appaiono vagamente lungimiranti non vanno oltre il dopodomani. Gli articoli di alcuni giornali stranieri (Financial Times in testa), infine, travisano la faccenda: se passa la riforma si evita la recessione, scrivono gli inglesi. La "stabilità" politica, garantita dalla vittoria di Renzi e Boschi nella battaglia referendaria, sarebbe la condizione per realizzare le riforme che "l'Europa attende". Dei possibili scenari ipotizzati per il dopo referendum da New york times e Wall street journal (si vedano gli articoli di ferragosto 2016 in particolare) nessuno è diretta conseguenza dei nuovi assetti costituzionali ma degli effetti collaterali degli esiti della competizione referendaria; insomma anche i commentatori stranieri stanno con il naso schiacciato sull'oggi. Il sottotesto dei ragionamenti che ascoltiamo, non suscettibile di verifica, è che il benessere economico-sociale del popolo europeo sarebbe garantito (solo) dalle riforme indicate come necessarie da questo luogo politico virtuale conosciuto col nome di "Europa": se Renzi perde non riuscirà a fare le riforme anche se rimane in carica il suo governo. Dov'è la riflessione sui contenuti della legge di revisione costituzionale?

Se poi volessimo approfondire l'assunto stabilità uguale buone riforme, scopriremmo che in Italia molte delle leggi migliori, quelle che hanno inciso veramente e in positivo sulle vite delle persone, sono state prodotte in momenti di grande instabilità: statuto dei lavoratori, sistema sanitario nazionale, chiusura dei manicomi, equo canone e tutta la legislazione sull'edilizia popolare. Per non parlare delle leggi veramente "buone" sulla scuola e cioè le 150 ore, il tempo pieno, la scuola media unica, l'integrazione degli alunni disabili e via dicendo. Senza pretendere di stabilire nessi di causalità, si tratta di norme prodotte da parlamenti altamente frammentati (eletti fra l'altro in regime di proporzionale pura) e governi che duravano in media un anno.

Questo referendum offrirebbe un'occasione: aprire una discussione vera su un vocabolario politico che appare dato e immutabile, non verificabile, non rinunciabile. Semplificazione, governabilità, flessibilità, cambiamento: questi feticci, se sbrogliati dalla pappa mediatica che li avvolge, mettono davvero tutti d'accordo? Ci sono, ci vorrebbero convincere, termini sui quali non è ammessa sfida.

Il referendum, senza che questo effetto sia stato lontanamente voluto promotori della riforma, potrebbe produrre una sana operazione di ecologia del linguaggio pubblico o, più rudemente, un posizionamento politico vero sulle questioni centrali della democrazia.

Vediamo.

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