Idomeni: insegnare da non riconciliati
Cesp Bologna - 26-07-2016
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Un compito storico certamente si pone alla nostra generazione di docenti europei: essere all'altezza del periodo che stiamo vivendo, spiegare e far capire ai giovani studenti, sempre più ricchi di radici che si diramano oltre i nostri "sacri confini", che stiamo vivendo negli anni dell'esplosione delle frontiere, della marginalizzazione dei diritti di chi fugge dalle guerre, dalla povertà, negli anni dell'arroccamento dell'Europa. Saperlo non risolve un bel nulla, ma è una premessa indispensabile per non concedere a noi stessi e alla nostra società di riconciliarsi con questa realtà satura di ingiustizie. Essere in classe facendo finta di nulla sarebbe una vergogna. E insegnare matematica o diritto non può scusare nessuno: l'indecenza peggiore è quella di chi si sente fuori da ogni responsabilità etica perché si considera solamente un tecnico dell'istruzione. Insegnare da non riconciliati significa riportare dentro le scuole la dimensione sociale dell'esistenza, fare irrompere l'attualità, le grandi disuguaglianze, i legami nascosti tra le immense ricchezze dei pochi e le cortesi emarginazioni riservate ai bambini che vengono ricacciati fuori dalle frontiere. E farlo quotidianamente, cambiando il nostro habitus, il nostro stile di docenti, senza aspettare circolari o indicazioni dall'alto, senza bisogno di trasformare il desiderio di giustizia in un progettino.
Bisognerebbe entrare in classe ricordando che - se l'Europa fosse stata diversa - in quella classe ci poteva essere una delle bambine di Idomeni, uno dei ragazzi dei campi di Salonicco, e insegnare come se ci fossero realmente quei ragazzi, in attesa del loro arrivo, evocando quell'arrivo che rimane l'unica risposta che da un secolo a questa parte si deve dare a chi scappa dalle guerre e la povertà: l'accoglienza solidale.

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