Tripoli bel suol d'amor
Giuseppe Aragno - 03-03-2016
Torna la guerra e torna nel silenzio della gente. La scommessa sull'ignoranza, il forte investimento sulla scuola povera, sulla storia intesa come educazione "patriottica" e strumento di legittimazione del presente, non delude le attese e gli interessi moltiplicano più e più volte il capitale. Colpita la scuola, il gioco è fatto e lo sapevano tutti: lasciarla alla deriva, screditarla, sottometterla al potere politico è sempre stata una garanzia sicura per chi mira al cuore d'una democrazia. E' un dato di fatto e una fatalità: "la scuola influisce, in bene o in male, in intelligenza o in ottusità, in libertà o in conformismo". Colpire la scuola, significava anzitutto spezzare ogni filo tra società e cultura ed era la via obbligata per chi voleva spegnere definitivamente le grandi speranze di trasformazione e - perché no? - di rivoluzione da cui era nata la Repubblica.
Torna la guerra e non si sente vibrare forte la ripulsa per l'interminabile sequela di becere menzogne, sanguinosi conflitti e ributtanti ingiustizie. La gente non s'accorge nemmeno che in guerra ci andiamo assieme agli assassini di Regeni.
Per un quarto di secolo gli eventi della storia sono stati progressivamente distorti e se n'è ricavata una narrazione ad uso e consumo della "ragion di Stato" e degli interessi del grande capitale. Una narrazione che aveva un unico scopo: resuscitare i sudditi e celebrare i funerali dei cittadini.
"Sovversivismo storiografico", scrisse invano Gaetano Arfè, che l'aveva lo sguardo acuto di chi riesce a vedere lontano. Si è lavorato perché Il passato tornasse passato e smarrisse ogni legame con la contemporaneità. Siamo a tal punto ormai, che nessuno ricorda più la libertà come la vittima prediletta di tutte le guerre e intere generazioni abboccano all'amo delle "guerre per la democrazia". Eppure l'avevamo imparato e lo sapevamo bene: la guerra è l'arma più efficace che il potere possegga per colpire a morte i diritti.
Torna la guerra e i generali di Renzi portano in Libia un popolo che non ha più strumenti critici. Torna il "ritorno all'Africa", con cui Mussolini condusse i nostri nonni alla tragedia. Torna, nell'indifferenza della scuola, nel silenzio di docenti complici o intimoriti. Torna e ancora una volta, nonostante i gas e il genocidio, le piume dei bersaglieri correranno al vento tra popolazioni che non hanno scelta: o li accoglieranno come liberatori o finiranno nella lista delle "canaglie" e dei "terroristi".
Parificati fascismo e antifascismo, torna la guerra in Libia ed è di nuovo "santa", contro il barbaro musulmano. Torna e nessuno ricorda che più o meno cento anni fa, da lì, dalla Libia, partimmo per la guerra mondiale, da lì vennero la fine della democrazia e la feroce dittatura totalitaria. Non poteva andare diversamente, del resto, nel cuore di una crisi finanziaria, dopo la manomissione della Costituzione, l'apoteosi della "Grande Guerra", la rivalutazione del fascismo, le menzogne sulle foibe e la criminalizzazione dell'idea stessa di comunismo . Doveva tornare e torna la guerra in una indifferenza generalizzata che è anche figlia di una "politica dell'oblio", di manuali scolastici che hanno rinunciato a fornire strumenti critici adatti a leggere il presente attraverso la chiave preziosa del passato. Figlia di una scuola che in molti hanno distrutto e Renzi s'è intestata.
Torna la guerra, mentre la memoria di Stato nei giorni comandati ricorda un genocidio sterilizzato, che non sa e non può dire alla gente la sua verità disperata: il "secolo dei massacri" non è mai terminato.

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