Non ci pensiamo spesso, ma le parole hanno una vita propria come ogni essere vivente. Nascono, crescono, muoiono, non solo, cambiano nell'arco del tempo, non solo morfologicamente. Cambiano anche nei significati, cambiano i campi semantici in cui esse sono usate. Esse seguono vie tortuose, talvolta persino inspiegabili e inattese, paradossali, curiose nel loro adattamento semiotico alle intenzioni dei parlanti e scriventi che ne convenzionano e fissano il senso e il significato nella comunicazione sociale.
L'attualità e la comunicazione che dall'alto dei palazzi della politica e dai media defluiscono verso i cittadini offrono l'occasione di questa riflessione sulle sorti e sui cambiamenti, anche pesanti, che stanno subendo alcune parole molto usate, troppo a volte. Parole "mantrizzate", direi, se non incorressi in un orribile neologismo.
Una è certamente la parola "riforma/e", a nell'espressione "riforma/e di struttura".
Il "copyright" di questa parola, il suo dna semiotico le dava l'appartenenza ad un campo di pensiero, di orientamento politico, di interessi sociali tali per cui essa rappresentava la bandiera del cambiamento, del rinnovamento che favorisce la stragrande maggioranza del popolo, investe il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita della maggioranza delle persone cambiando le "strutture" della società/politica/istituzioni nel senso democratico introducendo più eguaglianza, libertà, benessere per tutti, "riformando" le strutture che producono esclusione, privilegi per pochi, pregiudizi, ingiustizie.
E' accaduto che, per furbizia dell'establishment e dei "poteri forti" e/o per "sonnolenza" di chi avrebbe dovuto vigilare e difendere il senso originario di questa parola, essa pian piano è stata svuotata ed è stata riempita di senso opposto a quello di origine.
Pertanto, la parola "riforma/e", una delle più usate dalla classi dirigenti e dal sistema di poteri forti costituiti sovranazionali che sono poi impartite ai governi nazionali e al sistema dei media, finisce col significare oggi per i più "lacrime e sangue", sacrifici, perdita di diritti, perdita di quote significative di democrazia, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro (quando c'è), da un lato, dall'altro, invece, significa rafforzamento del potere politico economico sociale per i più ricchi che vengono "aiutati" così a divenire sempre più ricchi, forti, potenti a livello nazionale e sovranazionale, globale.
Ieri al pronunciamento della parola "riforma" i lavoratori, i cittadini, le persone di umile stato si sentivano scaldare il cuore dalla speranza che le loro condizioni cambiassero in bene, migliorassero. Oggi, dopo un periodo di sbandamento e confusione favoriti dall'involuzione conservatrice degli orientamenti culturali e politici delle forze che una volta erano "riformiste", le persone, a sentir pronunciare questa parola, o a vederla scritta, sono assalite dalla paura, dall'attesa del peggioramento delle loro condizioni di vita non si sa fino a qual punto ormai. Oggi con la velocità del tempo che si impiega a pronunciare la parola "riforma" ci si ritrova improvvisamente da una condizione di vita appena dignitosa in una condizione di indigenza e povertà.
Il prof. Tullio De Mauro ha parlato di "desemantizzazione" della parola "riforma". Io penso invece che essa sia una delle tante parole violate, violentate, stravolte fino a far loro assumere il significato opposto a quello originario. C'è una correlazione evidente tra il capovolgimento di senso della parola "riforma" e il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone, la progressiva, forse meglio dire la regressiva diminuzione di diritti, l'involuzione democratica, forse meglio dire antidemocratica, della politica e delle istituzioni.
Chi oggi pensa di battersi contro i privilegi, per l'eguaglianza sociale, per il miglioramento delle condizioni di vita degli "ultimi" e dei penultimi, dovrà battersi non solo per la libertà dal bisogno ma anche per la libertà delle parole, contro il loro stravolgimento come risultato di un trucco propagandistico ignobile da parte di chi, avendone i mezzi e il potere, può operare su di esse, per cambiarne, stravolgerne, capovolgerne o "riformarne" il senso.