Cracco e lo stipendio assicurato
Francesco di Lorenzo - 20-02-2015
Ci siamo quasi. Tra pochi giorni la scuola italiana risolverà tutti i suoi problemi. La Buona scuola metterà fine alle nostre tribolazioni, le preoccupazioni di genitori, insegnanti e alunni scompariranno e tutto filerà liscio come l'olio. Anche se, a dire il vero, non si sa bene dove filerà la nostra scuola e soprattutto dove finirà. Potrebbe addirittura finire male, come ipotizzano molti? Ma potrebbe anche non modificare alcunché, come è successo spesso in passato. Intanto Matteo Renzi scalpita e già prima della presentazione ufficiale in consiglio dei ministri del testo della ' buona scuola', ha organizzato un evento con un titolo che è già un programma (oltre che uno spettacolo): 'la scuola che cambia, cambia l'Italia'. Viene da dire, 'fosse vero, sarebbe bellissimo', e sapere anche in che modo la cambia (se in meglio o in peggio) sarebbe il massimo. Ma non si può avere tutto dalla vita. Ad ogni modo, bisogna aspettare. E su questo punto siamo talmente abituati che non ci fa paura quest'ultimo scampolo di attesa. Un'unica cosa ci preoccupa, ed è il linguaggio che gli esponenti del PD hanno usato e continuano ad usare per presentare questa riforma. Direttamente dal sito del PD si può leggere che "sulla scuola abbiamo aperto le porte a una riforma costruita con il confronto e con i suggerimenti di docenti, studenti, genitori, esperti". Mancava solo l'espressione che questa è la prima riforma partita dal basso, e ci saremmo trovati subito in un incubo. Precisamente nel dicembre del 2001, quando con la stessa enfasi (forse un tantino di più) venne presentata la riforma Moratti. Anche allora si usavano gli stessi toni e anche le stesse parole, se non tutte, quasi tutte. E sappiamo come finì. Adesso, superando le premesse che con tutta evidenza non sono buone, si spera in una conclusione migliore. Non resta che aspettare, e su questo non ci batte nessuno.

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Mentre aumentano le iscrizioni ai licei, a salvarsi dal tracollo di tecnici e professionali ci sono gli istituti alberghieri. Negli ultimi cinque anni la crescita di iscrizioni in tali istituti è stata verticale. E pensare che solo pochi anni fa il settore scolastico alberghiero era marginale. Pochissimi i frequentanti, sembrava una perdita di tempo, 'si impara a cucinare solo lavorando', era questo il massaggio che passava. Poi si è capito che non era vero. Adesso, per esempio, l'Istituto alberghiero Carlo Porta di Milano ha deciso di selezionare i suoi allievi all'ingresso: chi non ha conseguito il diploma di scuola media con almeno sette di media non viene ammesso. E ogni anno ne restano fuori un numero intorno ai duecento, su un totale di quasi millecinquecento frequentanti. Si è dovuto escogitare un meccanismo di selezione perché le richieste erano troppe e continuano ad esserlo. Il preside del Porta, Antonio Malaspina, spiega però la sua filosofia: "I nostri ragazzi devono avere ben chiaro che qui si studia, e tanto, benché la nostra sia una scuola dal solido impianto pratico. Ci sono materie sulle quali non facciamo sconti: italiano, storia, matematica, lingue straniere, chimica e diritto, per cui servono libri e impegno". È chiaro che il preside in questione si colloca su un versante nuovo, il versante di quelli che pensano all'istituto professionale in termini adeguati ai tempi. Il versante di chi pensa che anche nei mestieri pratici conoscere Dante e Divina Commedia, la storia del mondo, gli elementi del diritto, faccia fare meglio il proprio mestiere, cucinare meglio, nel caso specifico.
Naturalmente il boom di iscrizioni agli istituti alberghieri è alimentato dal fatto che in televisione ormai non c'è rete o programma che non presenti gare di cucina con l'intervento di cuochi bravi e famosi. Il tutto accompagnato da una buona stampa, cioè dalla presentazione positiva di questo mondo. In questo modo i giovani sono stimolati ad emulare i cuochi famosi e a sognare il successo come loro. Ma non c'è solo questo. C'è il dato concreto che il tasso di disoccupazione tra i diplomati all'alberghiero è meno che esiguo, quasi nullo. Liviana Conti, preside di un istituto alberghiero di Bologna, dice che "nella stragrande maggioranza i nostri allievi trovano lavoro entro sei mesi dal diploma". Come dire, se non diventi Cracco, almeno porti a casa lo stipendio.


Tags: Renzi, Cracco, Istituto alberghiero, La buona scuola, riforma


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