Perché io sono io e voi non siete un cazzo
Cosimo De Nitto - 24-10-2014

La citazione è del Marchese Del Grillo

Basta non ne posso più con questa lingua abusata e violata a tal punto da costringerla a tradire la sua vocazione primaria, quella di esprimere con trasparenza e chiarezza i contenuti, almeno nella comunicazione sociale. A cosa penso? All'espressione "contratti a tutele crescenti" usata come martello pneumatico propagandistico .
Vediamo di approfondire.
Intanto l'espressione ci dice che stiamo parlando di "contratti" di lavoro per cui non c'è campo semantico che più di tutti reclami trasparenza in ogni suo aspetto per evitare che i sottoscrittori del contratto non debbano essere turlupinati da clausole ambigue o, peggio ancora truffaldine.
Ma è così nel nostro caso? Assolutamente no.
Presa così superficialmente l'espressione, alla parola semanticamente neutra "contratti" (rigorosamente al plurale perché si deve dare l'idea che d'ora in poi saranno numerosi come i posti di lavoro che si creeranno automaticamente) si accompagna la parola magica "tutele" connotata con l'attributo, anch'esso taumaturgico, "crescenti", un attributo che deriva dal sostantivo più in voga in questi ultimi anni in cui più sprofondavamo nella crisi e più risuonava in bocca ai politici la parola "crescita". Tutti per la "crescita", la confindustria, Renzi, Napolitano, Banca italia, BCE, FMI, Berlusconi, mass media (mediatori di massa degli interessi del grande capitale finanziario), pennivendoli e... persino i pescivendoli, quelli che vendono il pesce d'aprile. Insomma tutto quel circo dei "poteri forti" che hanno favorito la crisi, prima, e poi l'austerità degli altri (i soliti fessi). Più parlavano di "crescita" e più attuavano politiche di "rigore" a senso unico, più parlavano di spending review, un eufemismo inglese che sta per tagli al welfare, cioè ai salari, alle pensioni, alla sanità, all'occupazione, ai diritti.
Ma torniamo al nostro ragionamento.
L'espressione ruota intorno al semema "tutele", quindi si vuol significare che si tratta di contratti che tutelano, danno tutele.
Non solo e non basta.
Venghino signori, venghino! vi offriamo non solo tutele, vogliamo stupirvi con effetti speciali, vi offriamo "tutele crescenti", nel senso che crescono, lievitano, aumentano. Fin dove? Ciascuno con la propria fantasia, i propri sogni, le proprie aspirazioni può rispondere e mettere i confini dove vuole. L'importante è accendere i sogni, la speranza, poi magari mentre tutti sono nello stato onirico i signori delle "tutele crescenti" aboliscono l'art. 18, che tutelava almeno dall'arbitrio, dalla discriminazione, dal ricatto del licenziamento senza giusta causa.
Non solo.
Aboliscono l'art. 18 perché, così sostengono, sarebbe un "privilegio" delle categorie "tutelate" a discapito di chi non lo è. Perciò tutele per nessuno, così si parte tutti dallo stesso punto, cioè dall'assenza totale di tutele per tutti.
E il punto è qui.
Per parlare di tutele crescenti bisogna partire da zero tutele, quindi si tolgono, si azzerano. Chi fa un primo contratto di lavoro è completamente alla mercé della parte contrattuale forte, il datore di lavoro che si ritrova ad avere tutte per sé riconosciute e sancite per legge le tutele che eserciterà, ovviamente ed esclusivamente per i propri interessi. Questo è l'inganno, la truffa contenuta nell'espressione "contratto a tutele crescenti". Chi si beve questo slogan pubblicitario ha l'impressione che sia una cosa buona, favorevole per chi aspira al lavoro.
Ecco in pratica cosa dicono: ti facciamo un contratto di lavoro, che è già tanto. Te lo facciamo per "tutelarti" e infine, siccome siamo benefattori pii dell'umanità sofferente, ti facciamo "crescere" le tutele nel tempo.
Detta così chi volete sia il fesso che non ritenga ciò una cosa buona? E invece è una patacca che azzera le tutele per poi darne qualcuna (non certo quella contro il licenziamento senza giusta causa) a piacimento dell'unica parte contrattuale forte, dominus assoluto, incondizionato del rapporto di lavoro che perde la sua valenza sociale, giuridica regolata da leggi equilibrate, costituzionali, al di sopra delle parti e viene restituito alle parti private delle quali l'una è "Io so Io" cioè il padrone e voi, cioè i lavoratori, "non siete un cazzo".
Col passare del tempo, se il lavoratore/lavoratrice si mostra docile, malleabile, disponibile al 100% a fare tutto, ma proprio tutto ciò che il padrone gli/le chiede, se intanto non lo/la ha licenziato/a senza giustificazione alcuna, oppure, se intanto la proprietà non ha deciso di delocalizzare perché così le conviene, il "contratto" consente di avere qualche tutela in più, ma per averla vuol dire che prima o gli era stata sottratta o la si era abolita per legge, che è lo stesso.
Ma è intorno al semema principale che si consuma l'inganno e la turlupinatura non solo linguistica e di significato, ma anche politica e sociale.
La parola "tutele" viene usata come sinonimo di "diritti", o almeno tale viene considerata dai più e questo lorsignori lo sanno bene perché hanno fior di pubblicitari alle dipendenze, fini linguisti che guadagnano infinitamente di più dei veri studiosi di linguistica nelle scuole e nelle accademie. Questa sinonimia è una finzione, un trucco, un abracadabra tramite cui si considerano di uguale significato parole che non lo hanno, anzi, per certi aspetti pertengono soggetti diversi di opposti interessi e diverse relazioni. Nella termine "tutela", c'è un soggetto che l'esercita a favore di un altro soggetto. C'è un tutelante e un tutelato. Il quanto, il se e il come lo decide il tutelante, il suo buon cuore o comunque la sua volontà, sia esso un soggetto privato, singolo oppure collettivo. Le "tutele" dipendono dal padrone, sono una sua concessione per certi aspetti, anche se sono fissate dalla legge. Infatti se gli girano gli zibirnei licenzia senza bisogno di giusta causa il lavoratore e le "tutele crescenti" della legge restano carta straccia buona per avvolgere il pesce d'aprile.
I "diritti", invece, pertengono il lavoratore, sono sue prerogative universalmente riconosciute perché appartenenti e improntate a quel complesso di principi morali e giuridici che regolano i rapporti tra gli uomini uniti in società sanciti dalla Costituzione. Ecco perché la nostra espressione è ingannevole e mendace, perché opera una traslazione di significato e parla con la lingua biforcuta. Al lavoratore lascia il miraggio delle "tutele crescenti" come fossero diritti che crescono. In realtà i diritti o ci sono o non ci sono, o sono riconosciuti o sono sottratti, violati, come nel nostro caso, comunque non crescono come funghi, tutt'al più sono conquistati con le lotte sociali. Ai padroni (uso appositamente questa parola) si dice, tutto ok, potete fare tutto quello che volete, il vostro potere è assoluto, il lavoro e i lavoratori tornano ad essere una variabile dipendente del processo produttivo. Il capitale è tutto il lavoro è niente.
Alla faccia della Costituzione e del suo bellissimo articolo primo.

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 Carmold    - 26-10-2014
Una bella analisi che condivido pienamente. Ben detto!