A Napoli in campo gli squadristi
Giuseppe Aragno - 14-10-2014
Dopo i fatti di Roma e l'uccisione di un tifoso napoletano, squalificarono lo Stadio San Paolo, nel «doveroso silenzio» della stampa sulla polizia distratta e sulla fede neofascista dell'omicida. Dopo la morte del diciassettenne ucciso da un carabiniere, che se ne andava in giro con la pistola in mano e il colpo in canna, ci fu il «giusto processo» ai napoletani camorristi. Oggi naturalmente l'assalto squadrista al sindaco De Magistris è solo colpa sua, che si ostina a fare il sindaco sospeso e di strada e non si è ancora autoconfinato su uno scoglio mediterraneo. Per sua fortuna non si segnalano feriti, altrimenti un giudice valoroso lo avrebbe indagato come mandante di una strage mancata.
A Napoli si sta sperimentando un modello nuovo di democrazia autoritaria? Può darsi, però, per piacere, non cominciamo a puntare il dito sui giornali! Non vorrete per caso insinuare che l'aggressione squadrista è stata preparata con cura incosciente dalla «libera stampa»?
Penso che senza nemmeno darsi appuntamento, le donne e gli uomini liberi di Napoli dovrebbero scendere di casa tranquillamente e avviarsi davanti al Municipio; uscire e incontrasi davanti Palazzo San Giacomo o alla sede della Rai, dove si costruisce ogni giorno l'immagine di una città virtuale e si imbavaglia quella concreta, vera, viva, la città di donne e uomini fatti di carne e ossa, di gente che ride, piange, lotta, stringe i denti e va avanti. Un flusso lento e costante, una marea che sale e monta, gente onesta, lavoratori, studenti, disoccupati, la città che non si arrende e non molla, la città che urla con quanto fiato le resta che no, non ci sta, Napoli non ci sta, non lascerà passare questa vergogna nera che riemerge dal passato, non si consegnerà inerme in mano a delinquenti vecchi e nuovi che puzzano di malaffare e corruzione. Basta. La misura è colma e chi pensa che siamo disposti a subire si prepari a fare le valigie. Napoli è stanca, ferita ma non si è arresa. E' ancora com'era il 27 settembre del 1943.
Quello che è accaduto l'altro giorno meriterebbe una risposta. Pacifica, certo, non si discute, ma anche pronta e ferma. Chi muove i fili, dai politicanti stile Bassolino alla stampa padronale - e da noi purtroppo c'è solo quella - i conti li fa in maniera rozza, perché misura gli altri da se stesso: se la gente sta zitta, accelera, se capisce che non c'è strada, frena. Se riuscissimo a dare un segnale spontaneo, da persone libere, gli romperemmo il giocattolo tra le mani. Sono potenti, ma sono divisi. Li unisce la nostra presunta indifferenza, l'idea che siamo rassegnati. Domani, però, dovranno passare per le urne. E lì conteremo noi, se oggi sapremo diventare un blocco sociale. Qui non si sta combattendo per un politico. Per i politicanti e il malaffare De Magistris rappresenta in questo momento un ostacolo da spazzare via, per noi è la città pulita, la città della gente. Lo dico senza retorica: il futuro è nelle nostre mani.
Forse sto solo sognando, lo so. Ma ho vissuto abbastanza per poter dire, da testimone oculare, che i sogni a volte diventano realtà. Non è vero che tutto è affidato alla Provvidenza e ci pensa il buon Dio. Io mi ricordo l'Italia senza divorzio, la scuola senza rappresentati d'Istituto, le donne denunciate per abbandono del tetto coniugale, l'aborto clandestino, la scuola d'avviamento professionale per i figli della povera gente e l'esame d'ammissione alla scuola media per quelli della buona borghesia. Mi ricordo i licenziamenti senza articolo 18, la gente che si arrangiava in mille modi perché non c'era come mangiare. Ero nipote di un antifascista e si faceva la fame, perché ci avevano tolto tutto. Sono stato scugnizzo tra scugnizzi. Piano piano, però, ho trovato vie che si aprivano e una Costituzione che ci garantiva. Oggi sono uno studioso. Ne ho fatta di strada, ma trovai, nascendo, un altro pianeta. Io e tanti come me trovammo un altro pianeta, ma l'avevamo cambiato, non era più così. Ci vogliono riportare a quei tempi. Ci stanno riportando a quei tempi. Con la legge, se gli riesce, con le cattive maniere, se necessario. E tutto è chiaro, sfrontato, tutto è nauseante e sa di camorra. Che si fa? Si sta zitti? Per me non è concepibile, io non posso star fermo e subire. Sono nato quando tedeschi e fascisti scappavano come lepri e nella miseria feroce del dopoguerra, ma ricordo gli occhi della gente: c'era la voglia di ricominciare e il coraggio di lottare. E' questa la mia gente, questo il mio mondo.
Ditemi chiaro che ho vissuto troppo, ditemi che va bene così e ci dobbiamo rassegnare. Ditemelo e non starò più qui a farmi male e a rompere le scatole. Mi chiudo in un archivio e aspetto di tornare tra i miei compagni di un tempo. Può darsi che dall'altra parte ora stanno facendo sciopero in paradiso e all'inferno e magari riusciremo a far passare l'articolo 18 tra diavoli e santi. Meglio lì, molto meglio lì che in questo limbo che non sa di stesso, non ha memoria storica e non ricorda nemmeno che esiste una cosa che non si compra e non si vende. Noi la chiamavano dignità.

Tags: "libera stampa", aggressione squadrista, democrazia autoritaria, Luigi De Magistris, Stadio San Paolo, 27 settembre 1943, aborto, articolo 18, Bassolino, dignità, divorzio, Napoli, Rai, sciopero, camorra


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