Cospirazione a Trento
Rete Lilliput - 04-12-2002
TRENTO. Via all'inchiesta dopo l'autodenuncia.

Per loro, i no-global trentini, quelle autodenunce presentate in
procura l'altro ieri dovevano essere una specie di provocazione, un segno di
solidarietà forte nei confronti dei «compagni» arrestati a Cosenza. Non l'ha
presa con lo stesso spirito il pubblico ministero Bruno Giardina. Il
magistrato ha iscritto tutti gli «autodenunciati» nel registro degli
indagati con l'accusa di cospirazione politica. L'articolo che disciplina il
reato ipotizzato dal pubblico ministero è il 305 del codice penale. «Quando
tre o più persone si associano al fine di commettere uno dei delitti
indicati nell'articolo 302 (delitti contro la personalità dello Stato, ndr),
coloro che promuovono, costituiscono od organizzano l'associazione sono
puniti, per ciò solo, con la reclusione da cinque a dodici anni». Per il
solo fatto di partecipare all'associazione la pena va da due a otto anni di
reclusione. Un atto dovuto, quello di Giardina? Sì, così vuole la procedura,
anche se l'ipotesi di reato su cui indaga la procura è diversa
(«associazione sovversiva») da quella per cui i no-global si sono
autodenunciati. Ma c'è di più. Il fascicolo che riguarda i no-global non
resterà a prendere la polvere in un cassetto, in attesa della scadenza dei
termini per poter chiedere l'archiviazione. Sì, perché Giardina ha già
incaricato le forze dell'ordine di svolgere indagini alla ricerca di
eventuali elementi di reato. I centocinaquantuno firmatari trentini si erano
autodenunciati per «aver turbato l'esercizio delle funzioni di Governo, per
effettuare propaganda sovversiva e per sovvertire l'ordinamento economico
costitutito dallo Stato»: definizioni che ricalcano le accuse mosse dai
giudici di Cosenza ai militanti no-global. Definizioni che nelle specifiche
dell'autoaccusa («possedere film di Nanni Moretti, difendere l'articolo 18,
dire qualunque cosa che non sia stata detta dal Presidente del Consiglio»)
avevano l'intento di mostrare con ironia quella che viene considerata la
debolezza del castello accusatorio della procura calabrese. Laconico il
commento di Donatello Baldo, leader del movimento trentino: «Siamo
tranquilli, ci sentiamo sempre indagati e sappiamo che le nostre
rivendicazioni sono giudicate sovversive».


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