Riequilibriamoci
Claudia Fanti - 11-04-2014

Mai come in questo scorcio di secolo l'attenzione pedagogica è stata così "bassa".
Più insegno e più mi rendo conto della necessità, del bisogno, della sete di dialogo, di conversazione, di giri di parole con i pari e con le maestre, sia collettivamente sia individualmente.

Mai come ora invece, di contro, tutti quelli che si interessano a vario titolo di scuola, dirottano le argomentazioni verso strutture, codici delle discipline, tecnologie, quiz, crocette e griglie.

A questo punto si apre uno scenario con un problema da risolvere grande come il mondo: cosa si vuole fare dei bambini e delle bambine che adorano la narrazione, le descrizioni, la poesia, la letteratura per l'infanzia, la realizzazione di oggetti, la rappresentazione teatrale...?

La voce, la nostra voce di maestre e maestri, quella che racconta, che pone domande, che esprime dubbi e ascolta le risposte bambine, è diventata una calamita. E si badi bene, non soltanto per l'insegnamento dell' italiano, bensì per la storia dei numeri, per la storia, per la geografia, la musica, la lingua straniera, ecc...

Bambine e bambini sono rapiti, disposti perfino a rinunciare a ricreazione e divertimenti di vario tipo pur di ascoltare la voce della maestra e la propria mentre racconta.

Mi piacerebbe che molti si avvicinassero in classe ad ascoltare i livelli di speculazione che raggiungono i nostri alunni e le alunne quando ragionano insieme, quando indagano argomenti relativi alla propria esistenza e ai saperi utilizzando brani di letteratura, ascoltando musica, drammatizzando col corpo storie, ecc...

Eh sì, perché anche il corpo, quello fatto di gambe, braccia, volto, torace, non è soltanto una macchina per lo sport, o dita e occhi per battere su una tastiera e guardare una lim. Il corpo, all'età dei bambini e delle bambine con i quali le maestre lavorano, è qualcosa di dimenticato dai più, compresi gli stessi bambini!

Tuttavia, se si sceglie di farlo agire nella sua interezza, diventa un magnifico strumento per far vivere sentimenti, emozioni e perfino, pensa un po', logica e riflessione.

Corpo, voce che racconta, gestualità, espressione del volto, storie di vita "vissuta" in prima persona, storie di altri, rievocazione del passato proprio e dei propri cari, rappresentazione grafica... sono gli aiutanti magici per avvicinare qualsiasi tipo di sapere con la passione e l'entusiasmo per la vita, per le scienze, per ogni disciplina, per ogni argomento, anche il più astruso.

Gli anni '70 questo avevano insegnato alle maestre e ai maestri. Gli anni'80 avevano arricchito e reso equilibrato l'incontro fra spontaneità e sistematicità, l'avevano reso efficace e vincente. Questo si era capito: senza "narrazione" con la voce e con il corpo nulla viene interiorizzato. Tutto viene imparato per un tempo esiguo, il tempo della memorizzazione volatile, che non resta, che dimentica e non si travasa da un contesto all'altro.

I nostri sono diventati paradossalmente e nuovamente i tempi delle "elencazioni", delle prove, della competizione sterile con il voto e i compiti in classe, con le verifiche, con le unità didattiche, chiamate in altro modo, ma pur sempre unità. Anni senza un equilibrio pedagogico.

Ci siamo dimenticate/i che la formazione del bambino deve essere rispettosa dell'integralità della sua persona, che lei/lui apprendono se coinvolti dalla magia della narrazione in ogni sua forma e che essa per essere efficace deve seguire il filo conduttore delle proposte scaturite dalle esigenze espresse dai bambini e dalle bambine, soprattutto oggi quando essi ci presentano problematiche esistenziali complesse scaturite dalla difficile società in cui vivono.

Proprio oggi, quando bambine e bambini ci raccontano quotidianamente delle loro "sofferenze" di solitudine, di incapacità di gestire i conflitti familiari e amicali, di fare amicizie...proprio oggi nell'epoca dei figli unici, delle disgregazioni familiari, delle tristi vicende delle famiglie in crisi economica, noi dovremmo raddoppiare lo sforzo dell'ascolto e del parlato, del far agire il corpo in ogni sua parte per trovare in esso la soddisfazione del saper fare per realizzare se stessi e per imparare a creare rapporti con i compagni e le compagne di viaggio, senza paure, senza tecnicismi ingombranti, ma con la forza delle idee che si misurano col fare e col pensare, con il recitare e con il leggere, con lo scrivere e con il costruire, con il rappresentare, con l'esprimere opinioni ed emozioni.

Conosco tante e tanti bravi insegnanti mortificati da un sistema nel quale non si riconoscono, che si sentono limitati nella loro azione e nella loro libertà d'insegnamento dai lacci e laccioli delle leggi e dalle circolari che non tengono conto dalle realtà in cui essi vivono: oggi vengono richieste ai docenti cose che non sono neppure possibili proprio per la mancanza di strumenti dati dallo Stato nonostante le pretese dello stesso, e mi spiace, perché se maestre e maestri prestassero attenzione alla domanda di vita e di parole che hanno i bambini e le bambine, si sentirebbero forti e grandi per il solo fatto di essere maestri e maestre colmi di un'umanità e di un sapere di cui i loro alunni e le loro alunne hanno assoluto bisogno e se partissero da quella domanda, non sarebbero sfiduciati e stanchi, ritroverebbero se stessi dinanzi ai corpi e alle menti di squadre di bambini e bambine disposti ad affrontare qualsiasi apprendimento e qualsiasi sfida del sapere.

Organizzazione di sistema e strumenti servono, ma ogni energia spesa per addestrare e per ubbidire passivamente al cosiddetto "nuovo" è spesa male, produce frustrazione e riduce l'insegnante a un esecutore che non trova più senso nel proprio lavoro, aumenta la quantità di alunni che si perdono rivelando conflitti cognitivi, conflitti affettivi ed emotivi.

Non è un caso se oggi crescono quelli che si chiamano discalculia, disgrafia, dislessia, difficoltà di attenzione e concentrazione, atteggiamenti asociali e aggressivi. La velocizzazione dei ritmi, la quantità degli apprendimenti sincopati, la fretta con la quale si cambiano unità di insegnamento e di apprendimento, saltando da un argomento all'altro, da un esercizio all'altro, non favoriscono né un clima sereno né una crescita armonica e rendono sterile qualsiasi insegnamento anche il più dotto e sapiente.

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Pier Luigi Lunerti    - 13-04-2014
Nella grande commedia di Aristofane “Le nuvole”, un giovane, ansioso di fare proprio il nuovo insegnamento, si reca al Pensatoio retto da Socrate.
Per lui viene inscenato un dibattito in cui sono messi a confronto i meriti dell’educazione tradizionale con quelli del nuovo insegnamento socratico.
Il sostenitore della Vecchia educazione è un anziano soldato che predilige un regime patriottico, improntato a una rigida disciplina, che da molto spazio all’apprendimento mnemonico e poco alla discussione.
Adora ricordare il tempo, in cui i giovani obbedivano ai loro genitori e non desideravano nient’altro che morire per la propria patria; il tempo in cui i maestri insegnavano il nobile canto tradizionale e non le nuove strane canzoni di
oggi. Studia con me, così sbotta il soldato, e avrai l’aspetto di un uomo vero.
Il suo antagonista promette invece al giovane che
imparerà a considerare in modo critico le origini sociali di norme morali apparentemente eterne, a distinguere tra natura e convenzione, a formulare argomentazioni in maniera autonoma senza affidarsi ad alcuna autorità:
“Il bene più grande per l’uomo è fare ogni giorno
ragionamenti sulla virtù e sugli altri argomenti intorno ai quali mi avete ascoltato discutere e sottoporre ad esame me stessoe gli altri, e che una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta.” Studia con me, conclude, e avrai l’aspetto di un filosofo.

Carissima Claudia Mala tempora currunt, sed peiora parantur?


 Claudia Fanti    - 16-04-2014
Caro Pier Luigi, il tuo è un commento che sicuramente terrò presente sempre. Grazie di cuore, e l'augurio più sincero di buona Pasqua.