Abilitazioni all'insegnamento. L'Anvur alla prova dei fatti
Giuseppe Aragno - 18-01-2014
Trionfa il «merito». Internazionalizzazione, «mediane» e requisiti aggiuntivi sono la via maestra per giudicare la ricerca. Per la «tornata 2102», tuttavia, i giudizi pubblicati dalla Commissione per l'abilitazione scientifica nazionale danno le vertigini. maestro_discipuloCon la Consulta che ci rassicura sulla legittimità giuridica delle Camere - di quella politica e morale poco o nulla ormai sopravvive - non ci si bada purtroppo - in campo ci sono Renzi e le leggi elettorali, ma la vita continua e studiosi d'ogni disciplina, da anatomia a scienza delle costruzioni e ingegneria sanitaria, disegnano il futuro. Non si tratta di scienze umane, che comunque non è dir poco, ma di salute, sviluppo e sicurezza.
Per Storia Contemporanea, il «prodotto doc» della «misurazione quantitativa» è il successo scontato del candidato che, a tredici anni dalla laurea, ha già nove libri «curati» e otto ne ha scritti di suoi, assieme a due voci enciclopediche e trenta tra contributi in volume e articoli in rivista. Rigo più, rigo meno, 200 pagine all'anno. Dotato di resistenza alla fatica, lo studioso ha all'attivo undici convegni organizzati, la partecipazione a ventinove tra simposi e festival nazionali, dodici seminari e workshop internazionali e, «dulcis in fundo», un ruolo di revisore per la valutazione di «prodotti di ricerca» su riviste italiane ed estere, quattro progetti - uno di rilevanza nazionale, tre internazionali - e un posto in otto comitati scientifici. Fatica premiata dall'Istituto Salvemini, che una domanda, però, la pone: dove ha trovato il tempo per la ricerca? La risposta non tocca alla Commissione, presa e persa tra curricoli, fasce, progetti e docenze estere.
Al di là delle esasperazioni quantitative, nei fatti, la sbornia di dati «oggettivi» rafforza le scelte discrezionali. L'internazionalizzazione, per dirne una, che, dopo tanto suonar di grancasse, costa l'abilitazione a più di un ottimo candidato, a conti fatti, è un parametro vago, legato a logiche interne all'accademia e difficile da rendere oggettivo. Come spiegare, infatti, la scelta della commissione, che per un candidato si contenta di un «un mese d'insegnamento alla PUC di Porto Alegre in qualità di visiting professor» - un mese, tutto compreso, sabato, domeniche e probabili festività - per un altro ignora la docenza etiope, benché superi largamente i requisiti quantitativi minimi e presenta prodotti articolati, convincenti e ricchi di sbocchi metodologici?
Poiché è difficile capire come nascono seri giudizi di merito su centinaia di libri e migliaia di articoli, mai letti - a cinque docenti non sarebbe bastata una vita - chi cerca tra le «sentenze» criteri sicuri, si perde. Gli articoli di prima fascia, ad esempio, sono un ancoraggio fermo ma, come per l'internazionalizzazione, criteri univoci non ne trovi. Se quattro articoli di prima fascia, infatti, sono il «bollino di qualità» che consente di abilitare un candidato privo dei requisiti minimi, come si spiega la bocciatura di chi i requisiti li ha, assieme a sette articoli in riviste di classe A, alcuni in inglese e francese, e «prodotti scientifici» adeguati per metodo e contributi offerti alla conoscenza storiografica, però resta al palo?
Mentre l'accento ripetutamente posto su dati qualitativi - solidità, impianto, complessità della documentazione, finezza di una presentazione - diventa indizio di sconfinamenti in un giudizio di valore che non nasce dall'attenta lettura dei lavori misurati, scopri un candidato di cui si dice un gran bene: la produzione è sicura, convincente, documentata e aggiornata. Metti a tacere il bisogno di capire se i cinque commissari hanno letto le sue trentatré pubblicazioni - perché quelle, poi, e non altre? - e ti contenti di aver trovato un riferimento. Per la commissione, infatti, la buona produzione del candidato non basta, perché ruota su un unico tema: Pci, Komintern, e repressione degli italiani antifascisti nei gulag. C'è tutto, qualità, quantità, docenze estere con relativi studi editi in terra straniera, progetti di rilievo nazionale, membership della redazione di rivista, ma l'abilitazione scientifica alla prima fascia non arriva, perché, a sentire la Commissione, il respiro degli interessi è corto. La ristrettezza dell'ambito di ricerca è, quindi, il punto fermo che lascia il candidato nella seconda fascia da cui proviene, in compagnia di studiosi la cui produzione scientifica si incentra ancora esclusivamente su monotemi: Francesco Crispi e l'età crispina, o il «patriota traditore» e la vita che mena chi scrive a Milano nella prima metà dell'Ottocento. Ti convinci che localismo e respiro corto, intesi come limite negativo, fanno argine alla discrezionalità della Commissione, quando scopri, sconsolato, l'abilitazione toccata a candidati che non escono dall'ambito regionale o addirittura lo riducono, fermandosi a studiare Vescovo, Azione cattolica, clero e parrocchie di Vicenza, per spingersi tutt'al più alle episcopato triveneto e a un sintetico profilo del padovano Giulio Alessio.
Quando trovi Spartaco Capogreco e Mimmo Franzinelli relegati in seconda fascia, uno per misteriose questioni didattiche e l'altro perché lento a correggere imprecisate forzature interpretative, non solo rimpiangi la libera docenza, ma le cooptazioni che, se non altro, impegnavano direttamente la dignità dei «maestri». La bandiera bianca, però, la alzi solo di fronte alla sorte di un «eretico», un neoplatonico «demodé» incurante del tribunale tomista e delle sue verità di fede. Un eretico che, annota scandalizzata la Commissione, insiste sulla subordinazione dei prefetti al potere politico - scempiaggini da Salvemini - e addossa agli italiani la colpa della mancata defascistizzazione. Dovrebbe saperlo, lo stupidello, che furono gli Anglo-americani a imporre a Togliatti il presidente del Tribunale della razza, cui affidare la legge sull'amnistia, e a Giovanni Leone la strenua difesa dei fascisti, poi riciclati dalla DC. In quanto all'assoluzione dei responsabili dell'omicidio Rosselli, ad Azzariti posto alla guida della Corte Costituzionale e agli autori del manifesto della razza mai rimossi dalle cattedre universitarie, tutto nacque, si sa, da pressioni estere. Una mano straniera, del resto, eclissò l'armadio della vergogna. Il neoplatonico ora lo sa: costretto dal bisturi a constatare che il sistema nervoso fa capo al cervello, il figlio del pensiero unico non fece una piega: ci crederei, commentò, se Aristotele non avesse detto che tutto parte dal cuore.
Se è andata così per tutte le discipline, sorge legittimo un sospetto: tra qualche anno, affidarsi a un medico sarà come giocare alla roulette russa.

Roars, febbraio 2014

Tags: abilitazione scientifica, Anvur, Consulta, Guido Alessio, gulag, internazionalizzazione, Komintern, Mimmo Franzinelli, Pci, Renzi, Salvemini, Spartaco Capogreco, Vicenza, visiting professor


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