Primo Maggio. Un tempo bastava la parola ad evocare un mondo: l'esposizione universale a Parigi, le mille società dei lavoratori che acquistavano coscienza di sé, discutevano di diritti da conquistare, modalità di lotta, coscienza di classe e cultura operaia. Da alcuni anni tutto questo sembra svanito nel nulla. Nessuno ricorda e il Primo Maggio ha perso il suo significato profondo. E' stato giorno di lotta e non di rado di lutto, ma in questo tempo senz'anima e senza storia s'è ridotto al "
concertone" romano ed è ormai una strana festa del lavoro: senza lavoro, senza memoria e senza verità. Quante scuole quest'anno hanno ricordato l'uno maggio del 1947, festeggiato a Portella della Ginestra, nel pianoro che si stende tra San Cipirello, San Giuseppe Jato e Piana degli Albanesi? Chi le ricorderà domani le migliaia di persone raccolte attorno alle bandiere rosse, e i sogni, le speranze della neonata repubblica stroncati sul nascere dal fuoco aperto sui contadini inermi? Chi li ricorderà i morti e i feriti fatti dai padroni quel giorno?
I libri di storia soffrono ormai di preoccupanti vuoti memoria, confusi e generici si son fatti i programmi di studio e ci si può giurare: nel trionfo apologetico della bontà dei "datori di lavoro", quando se andrà via la generazione dell'ormai lontano Sessantotto, si perderà persino la memoria di un'antica tradizione della zona. A Portella della Ginestra, infatti, i lavoratori si adunavano in festa per il Primo Maggio fin dai giorni entusiasti e terribili dei Fasci siciliani, quando Nicola Barbato, apostolo del primo socialismo, parlava ai contadini, ritto in piedi su una roccia che diverrà poi il "
sasso di Barbato". L'antico organizzatore sindacale pagò col carcere dell'Italia liberale la sua passione socialista, ma non fu mai cancellato dalla memoria popolare, come accade oggi, mentre un nuovo regime autoritari cancella la storia del movimento operaio e chi si ostina a parlarne o è uon patetico nostalgico o, peggio ancora, un pericoloso sovversivo comunista. Presto purtroppo nessuno ricorderà che, caduto il fascismo, non solo quell'antica tradizione era stata ripresa, ma il primo maggio del 1947 i contadini si riunirono nel pianoro per festeggiare, assieme alla festa del lavoro, la sinistra vittoriosa sul fronte padronale, guidato dalla Democrazia Cristiana, alle prime elezioni regionali che si erano tenute il 20 aprile, dopo una campagna elettorale segnata dalla crescente violenza mafiosa. I segnali di trame occulte, intese inconfessabili, rapporti oscuri tra politica e malavita organizzata, che conducono difilato ai processi in corso sulle connivenze tra Stato e mafia, erano chiari sin da quei giorni lontani: Il 4 gennaio, infatti, era stato ucciso Accursio Miraglia, dirigente del PCI e animatore delle lotte contadine; di lì a poco, il 17 gennaio, era caduto il comunista Pietro Macchiarella e nei Cantieri Navali di Palermo erano stati impunemente esplosi colpi d'arma da fuoco. S'era votato in un clima così minaccioso, che ai comizi noti esponente della mafia avevano potuto pubblicamente minacciare gli elettori.
I fermati non furono mai arrestati, si escluse subito l'intreccio politica-mafia e le indagini si concentrarono sulla banda Giuliano. Il quadro dell'inchiesta diventò ben presto quello tipico della storia della repubblica quando in discussione sono state e sono le relazioni tra malavita organizzata e colletti bianchi. Indagini chiuse rapidamente, omissioni, perizie balistiche inesistenti, vittime sepolte senza autopsia, attenzione rivolta ai killer. Ai mandanti non pensa nessuno e gli imputati si riducono al "bandito" Salvatore Giuliano - un ex agente dei servizi segreti di Salò - e gli uomini della sua banda. Cinque anni dopo la "
giustizia" si ferma lì: ergastolo per Giuliano, al quale s'era intanto chiusa la bocca per sempre dopo un conflitto a fuoco, e per gli undici componenti della sua banda.
Fu chiaro a tutti, anche ai giudici, che lo scrissero nella sentenza: la strage intendeva colpire i comunisti, impegnati nelle aspre lotte per i diritti dei contadini; i giudici facevano cenno a una forma di "supplenza": i "banditi", di fatto, avevano operato come una sorta di "polizia di riserva". Ciò che non poteva consentirsi lo Stato al servizio dei padroni, era stato compiuto dai mafiosi.
Il Primo maggio del 1947 non è solo la prova storica che una sinistra vera è ugualmente pericolosa per gli interessi dei padroni e delle cosche mafiose, ma ricorda a chi vuole capire che il padronato ha sempre remato contro l'Italia nata così come vollero gli antifascisti. Se il Paese avesse memoria storica e coscienza di se stesso, sentirebbe fino in fondo la violenza che sta subendo dal governo Letta. Un governo che ignora il risultato delle urne, rivendica pubblicamente la sua collocazione storica nell'area che fu della DC, pilastro, con Scelba, della reazione antifascista, e di fatto, riconduce indietro le lancette della storia. Questa memoria non c'è. La scuola è stata piegata, l'università è in ginocchio e manca un'autentica sinistra di classe. O si trova il modo di organizzarla rapidamente contro questa sorta di golpe o è bene dirselo chiaro: crisi della finanza e crisi della democrazia sono ormai un treno che procede spedito sullo stesso binario. Alla prima sosta, attende paziente, ma minaccioso, il fascismo del nuovo millennio.
Gianni Lamagna - 01-05-2013
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Primo maggio 2013: una riflessione sul lavoro.
- Nel momento in cui il lavoro è sotto un ennesimo e feroce attacco del padronato,
- nel momento in cui il lavoro è ridotto a una merce come un’altra,
- nel momento in cui l’articolo primo della nostra Costituzione è stato di fatto cancellato e riscritto così “La Repubblica italiana è fondata sugli interessi dell’impresa e dei mercati”,
noi intendiamo affermare che:
- i lavoratori hanno non solo il diritto, ma il dovere morale di opporre resistenza all’attacco padronale, coalizzandosi e organizzando tutte le forme di resistenza praticabili e non violente;
- il lavoro deve realizzarsi come una delle espressioni della creatività delle persone e, quindi, uno dei fattori massimi della loro dignità;
- la Repubblica italiana deve essere fondata, non solo a parole, sul lavoro e, prima ancora, sul valore e sulla dignità della persona umana.
A partire da queste considerazioni, noi riteniamo che una società civile e i lavoratori, in modo particolare, non possano e non debbano accontentarsi di un lavoro qualunque e comunque.
Noi riteniamo che una società civile debba innanzitutto garantire ad ogni suo membro un reddito minimo di cittadinanza, che ne assicuri una esistenza dignitosa e lo sottragga ai possibili e sempre incombenti ricatti del cosiddetto (espressione infame!) “mercato del lavoro”.
Riteniamo poi che un lavoro di qualità (cioè un lavoro che non garantisca solo un reddito, ma promuova anche la realizzazione delle persone) debba avere alcune caratteristiche imprescindibili:
- deve rispondere a bisogni umani e sociali profondi e veri e non futili e indotti;
- deve corrispondere alle vocazioni produttive del territorio e delle comunità che lo abitano;
- non solo non deve inquinare e danneggiare l’ambiente, ma lo deve proteggere e valorizzare;
- deve essere rispettoso dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori (soprattutto relativamente alla retribuzione, alla salute, all’orario);
- deve essere un lavoro il più possibile cooperativo, che accorci (e, in prospettiva, tenda addirittura ad annullare) la distinzione tra i proprietari e i lavoratori dell’impresa.
Su questi obiettivi Alba è nata e continuerà il suo impegno.
A.L.B.A. (Alleanza Lavoro Benicomuni Ambiente) nodo di Napoli
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Gemma Gentile - 01-05-2013
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Bellissimo articolo, bella ricostruzione storica! Il 1 maggio di Portella era l'esplosione della gioia dei lavoratori per la liberazione, sancita anche dai risultati elettorali che davano il Blocco del popolo come vittorioso e quindi temibile per il padronato che amava il fascismo e temeva la vittoria resistenziale. Oggi assistiamo di nuovo all'abbraccio sindacato confindustria, in un nuovo patto scellerato per un sindacato apertamente istituzionalizzato e corporativo, proprio nel maggio rosso. E' un'infamia! |