L'autonomia dai presidi manager
Lucio Garofalo - 04-04-2013
Nella mia carriera professionale ho incontrato soprattutto due generi di capi d'istituto.

La prima categoria, forse la più diffusa nel mondo della scuola, è quella del preside "hitleriano", o dispotico, che gestisce l'istituzione in modo autocratico e verticistico, scambiando l'autonomia scolastica per una tirannide individuale e considerando i rapporti interpersonali in termini di supremazia e subordinazione. Questa figura di preside non ama affatto le norme e le procedure democratiche, scavalca gli organi collegiali ed assume ogni decisione in maniera oltremodo arbitraria e discrezionale senza consultare quasi mai nessuno. Costui si pone sempre in modo arrogante, protervo ed autoritario, dimostra (intenzionalmente o istintivamente) un cipiglio severo e spietato per intimorire e mettere in soggezione gli altri. Abusa spesso dei propri poteri e tende a commettere facilmente angherie e soprusi verso i sottoposti, trattati alla stregua di sudditi privi di ogni diritto ed ogni libertà, con i quali si comporta in modo inclemente.

La seconda tipologia, forse la più pericolosa, è quella del dirigente affarista e demagogo, che spesso si sovrappone e coincide con il tipo assolutista. Tale soggetto concepisce la scuola come una sorta di proprietà privata, la sfrutta per scopi di lucro e prestigio personale, per cui la gestisce in modo da trasformarla nel più breve tempo possibile in un progettificio scolastico. In tal senso si adopera per reperire ogni finanziamento aggiuntivo messo a disposizione delle scuole, da cui attinge elargendo i fondi senza un giusto criterio, applicando logiche clientelari e paternalistiche per favorire di solito una cerchia composta dallo staff dirigenziale. Da un tale assetto politico-gestionale scaturisce un carrozzone progettuale ed assistenzialistico carico di una pletora di iniziative didattiche eccedenti che non hanno alcuna ricaduta positiva sulla formazione educativa e culturale degli studenti. Una tale sovrabbondanza di sovvenzioni e di contributi finanziari in realtà serve a beneficiare esclusivamente una minoranza di faccendieri e di cortigiani, ma soprattutto ad arricchire il dirigente stesso.

Infine, esiste un'altra tipologia, che è quella del preside umano, con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti. E' indubbiamente l'esemplare più raro, ma è l'unico che ispiri la mia simpatia e la mia approvazione sincera. Di rado se ne può incontrare persino qualcuno.

L'esser diventati più influenti e decisivi a livello politico-gestionale, sia pure in seguito ad un'investitura calata dall'alto e non per effetto di una designazione democratica proveniente dal basso, ha comportato per i dirigenti scolastici una serie di ineludibili responsabilità e di doveri che sono anche di natura informativa ed interpretativa, e consistono nel fornire in modo corretto e tempestivo il maggior numero di dati e cognizioni utili a far comprendere meglio le problematiche della "comunità scolastica" sia alla collegialità dei docenti e dei lavoratori della scuola, sia alle famiglie o, se si preferisce, all'"utenza", tanto per usare un gergo caro agli aziendalisti. Ormai nella scuola si sente sempre più spesso adoperare un lessico semi-imprenditoriale: termini come "profitto", "competitività", "produttività", sono di uso comune tra i dirigenti scolastici che non sono più esperti di psico-pedagogia e didattica ma pretendono di essere considerati "manager", benché siano in pochi a saper decidere come e perché spendere i soldi, laddove ci sono. Anche nella scuola sono stati introdotti organigrammi e metodi di gestione mutuati dalla struttura manageriale dell'impresa capitalista. In questo assetto gerarchico sono presenti vari livelli di comando e subordinazione. Si pensi ai "collaboratori-vicari" che, in base alle norme vigenti, sono designati direttamente dal dirigente, mentre in passato erano i Collegi dei docenti che eleggevano dal basso i propri referenti a supporto della dirigenza. Si pensi alle RSU, i rappresentanti sindacali eletti dal personale docente e non docente. Si pensi alle cosiddette "funzioni strumentali". In altri termini si tenta di emulare, sia pure in modo maldestro, la mentalità utilitaristica, la terminologia economicistica, i sistemi e i rapporti produttivi, gli apparati di tipo industriale all'interno di un'istituzione come la scuola che dovrebbe perseguire quale fine ultimo "la formazione dell'uomo e del cittadino". Altro che fabbricazione di merci.

E' evidente a tutte le persone di buon senso che si tratta di uno scopo diametralmente opposto a quello che è l'interesse prioritario di un'azienda capitalista, vale a dire la massimizzazione dei profitti. I ministri e i "manager" dell'istruzione, in buona o in mala fede confondono tali obiettivi, alterando il senso primario dell'azione educativa, sempre più affine al ruolo di un'agenzia di collocamento o un'area di parcheggio per disoccupati e precari permanenti. Inoltre, taluni dirigenti concedono fin troppo spazio e credito alle meschinità umane: pettegolezzi, maldicenze, ipocrisie, sospetti, risentimenti personali e finti vittimismi, comportamenti e situazioni controproducenti che avvelenano l'ambiente lavorativo, pregiudicando il fine supremo dell'educazione alla convivenza democratica.

Se non si fosse compreso chiaramente, non nutro stima o simpatia verso tali figure, che ho sempre giudicato con diffidenza e criticità. Reputo i sedicenti o pretesi "manager" (non solo nel settore scolastico) come individui abili nell'arte della mistificazione, della dissimulazione, della manipolazione delle idee e delle persone. Insomma, una sorta di "virus" capaci di infettare e corrompere un corpo già potenzialmente malato come quello delle scuole (ma il discorso potrebbe essere esteso ad altri ambienti di lavoro) semplicemente per la loro presenza che rischia di infettare le cellule ancora sane ma vulnerabili. Il riferimento alla medicina è calzante in quanto è l'unico termine di paragone che consente di illustrare, con una metafora brutale quanto efficace, il convincimento che mi sono formato a proposito di tali dirigenti e degli ambienti che essi costruiscono a propria immagine e somiglianza. Presumo che nelle scuole private la situazione sia persino peggiore in quanto i dirigenti agiscono da padroni assoluti.

Questo è l'esito a cui sono approdate le scuole dal giorno in cui è entrata in vigore la legge sulla "autonomia scolastica", specie quella amministrativa-finanziaria, che assegna una serie di prerogative decisionali ai dirigenti e alle oligarchie che li affiancano nei loro arbitri.

In virtù della cosiddetta "autonomia" lo strapotere e l'autoritarismo paternalista di molti dirigenti dilagano oltre ogni misura ed è quasi impossibile contrastarli sul terreno della democrazia collegiale dato che gli organi collegiali sono esautorati, resi di fatto passivi e subalterni. Le scuole sono dunque gestite da presunti "manager", molti dei quali perseguono un'opera di proselitismo nel senso deteriore del termine, esibiscono atteggiamenti troppo disinvolti e spregiudicati in chiave personalistica, frutto di una mentalità paternalista forgiata su favoritismi concessi a vantaggio di una cerchia ristretta composta da traffichini, lacchè e adulatori. Tali scuole infestate dal "malaffare" non sono luoghi moralmente integri e frequentabili dai discenti. Le scuole contaminate dagli "agenti patogeni" dell'affarismo, dell'utilitarismo e del clientelismo, che decompongono un corpo già malato con il rischio di infettare le cellule ancora sane, non sono ambienti educativi in cui si esplica la formazione dell'uomo e del cittadino, come detta la Costituzione. Sempre più scuole si configurano come progettifici, nel senso che hanno assunto la fisionomia di "fabbriche di progetti" che sfornano in dosi industriali (solo sulla carta) iniziative inutili e fasulle, in qualche caso fantomatiche, non per rispondere alle istanze culturali, psicologiche e sociali degli allievi, bensì solo per appagare gli appetiti venali e l'ambizione di potere (un miserrimo potere) dei dirigenti e dei loro cortigiani. I quali si mostrano ossequiosi verso le figure gerarchicamente superiori, arroganti verso i soggetti umili e sottomessi. Le malcapitate scuole sono diventate carrozzoni assistenziali e pseudo aziendali che curano gli interessi esclusivi di cricche formate da gente mediocre e venale, conformisti e faccendieri, che circondano e corteggiano i capi d'istituto. I quali agiscono sovente in modo cinico e spregiudicato, cercando di condizionare o manipolare a proprio piacimento le persone, quasi fossero una sorta di sultani locali. Inoltre, un dirigente serio e scrupoloso, che ha a cuore l'interesse degli studenti e degli insegnanti, dovrebbe preoccuparsi di promuovere un clima relazionale sereno e favorevole al processo di insegnamento e di apprendimento.

Laddove imperversano i notabili della politica, funzionari e burocrati ottusi, arrivisti, carrieristi e affaristi, la Politica, intesa nell'accezione più nobile della partecipazione diretta ai processi decisionali, degenera inesorabilmente in clientelismo e paternalismo che sono un malcostume antidemocratico. Tutto ciò che i notabili o i pretesi manager toccano, finisce per corrompersi e in ogni caso si deteriora. Si pensi alle scuole che essi organizzano e trasformano a propria immagine e somiglianza: mega-carrozzoni assistenziali, nella migliore delle ipotesi circhi in cui si spettacolarizza ogni iniziativa, in cui si spaccia per "cultura" un ventaglio di azioni pseudo formative prodotte in quantità industriale che rivestono una sola valenza, ossia una finalità affaristica e commerciale.

Non intendo generalizzare ragionando per categorie astratte o semplicistiche, tuttavia i presidi più "insidiosi" o "inaffidabili" sul piano della gestione politica delle scuole (a livello umano il discorso si fa ovviamente più complesso e profondo) sono quelli che, in malafede, vogliono a tutti i costi mostrarsi democratici e tolleranti verso chi dissente. E' indubbio che il dirigente effettivamente democratico non si vede, né si giudica nei momenti di consenso ma di dissenso. E' questo un caso emblematico in cui il "potere tautologico" della parola si contrappone alla "tautologia del potere". L'evidenza tautologica, o l'ovvietà, è il paradigma attraverso cui il potere, una volta affermato, tende a rafforzarsi ed auto-legittimarsi. E' facile professarsi, a chiacchiere, "convinti democratici" senza dover sostenere un contraddittorio, circondandosi di falsi adulatori in livrea che non vogliono, né sanno svolgere un ruolo critico sul piano della trasparenza e del controllo democratico. Il modo in cui si affronta la contestazione è la prova del nove per un vero democratico, a maggior ragione se si tratta del preside di un'agenzia educativa che adempie al ruolo, assai arduo e delicato, di formare i cittadini di domani.

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 Lucio Garofalo    - 05-04-2013
Replica ad un Dirigente Scolastico

Di recente ho letto un post scritto da un Dirigente Scolastico, il quale oppone una serie di obiezioni critiche alle mie esternazioni sull'autonomia scolastica. Onestamente, confesso di aver riscontrato spunti interessanti e validi per sviluppare ed approfondire ulteriormente il mio ragionamento. Per cui provo ad esplicitare meglio le mie posizioni.

Sarà probabilmente dovuto al caso o alla mala sorte, diciamo pure così, ma sta di fatto che, malgrado il mio intervento lasciasse trasparire una pessima immagine della scuola, numerosi colleghi hanno esplicitamente approvato il mio pezzo apparso su vari siti web.

Per precisare meglio alcuni concetti sarò costretto ad addentrami nel merito delle questioni, facendo dei precisi e circostanziati riferimenti alle mie esperienze professionali pregresse. Eviterò di raccontare alcuni episodi particolari, evitando opportunamente di fare nomi e, soprattutto, cognomi. Mi scuso in anticipo se sarò alquanto esteso nella esposizione, ma temo che sia inevitabile dilungarmi oltremisura.

La scuola dove ho insegnato per vari anni era "appestata" dalla figura paternalista e dal ruolo accentratore e monocratico della preside, con tutte le conseguenze più deleterie che ne derivavano a livello interpersonale: cumuli di ipocrisie, veleni, rancori personali, abusi, angherie, prepotenze, furbizie, finti vittimismi, opportunismi e dualismi esasperati ad arte (per la serie "divide et impera", una formula cara ai potenti di ogni tempo e luogo) e quant'altro ho sempre biasimato e continuerò a deprecare con tutte le forze in mio possesso, trattandosi di comportamenti assolutamente sleali e disdicevoli.

Tutti sanno cosa sono le "vendette trasversali". Con questo termine, nel gergo mafioso, si indicano le ritorsioni punitive perpetrate a danno di congiunti o affini dei cosiddetti "infami": siano essi pentiti, delatori o funzionari dello stato, insomma chiunque sia bollato come un nemico o un traditore dalle cosche mafiose.

Per estensione iperbolica si potrebbe affermare che le "vendette trasversali" non sono una prerogativa esclusiva delle associazioni di stampo mafioso e camorrista, ma si iscrivono nel codice di comportamento "tipicamente umano". Con la differenza che, altrove, in ambienti non tecnicamente malavitosi, per realizzare propositi di vendetta si ricorre a sistemi meno cruenti, come l'ipocrisia ed altre forme di perfidia sistematica, il discredito lesivo volontario, il pettegolezzo velenoso o, peggio, le molestie e i maltrattamenti psicologici, l'emarginazione e l'indifferenza collettiva, ma non per questo, ossia per il fatto di non essere fisicamente brutali, si tratta di atteggiamenti meno riprovevoli e più accettabili.

Una volta ho discusso animatamente con una preside, di cui taccio opportunamente il nome; durante l'acceso confronto sono emerse profonde divergenze d'opinione rispetto ai termini, ai tempi e alle modalità organizzative, ai destinatari e alle finalità educative di un progetto, nella misura in cui contrastavano in modo stridente con l'ipotesi pianificata. Il capo d'istituto insisteva per promuovere il classico dibattito, oltretutto senza contraddittorio, utile solo ad ottenere visibilità mediatica e a riscuotere eventuali consensi da spendere politicamente. Come in altre circostanze, sono entrato in rotta di collisione con la mentalità propria di chi dichiara in partenza di concedere "carta bianca" ma poi cerca di manipolare a proprio piacimento le persone, trattate in modo paternalistico alla stregua di burattini, come sono adusi molti datori di lavoro delle aziende private. In sostanza, taluni presidi hanno la tendenza ad applicare nel mondo della scuola quelle pratiche a dir poco discutibili apprese dalla peggiore politica. Altro che "super partes".

E' evidente che in un contesto ambientale come quello dipinto con tinte inevitabilmente oscure, qualsiasi iniziativa pedagogica e culturale che si distingua per l'originalità, portata avanti in modo pulito, coerente e disinteressato, con onestà e trasparenza, con impegno, intelligenza e passione creativa, rischi di essere inquinata e mortificata da chi persegue solo finalità utilitaristiche in maniera cinica e spregiudicata.

E' curioso ma inevitabile scoprire che la maggior parte degli esseri umani si comporta alla stregua dei polli di Renzo, che si beccano tra loro mentre dovrebbero solidarizzare, quantomeno per il comune destino che li attende. Personalmente non so dire se si tratti di una questione di origine genetica, connessa alla cosiddetta "natura umana", o se sia un problema di ordine culturale, riconducibile a fattori materiali e spirituali, dunque anche al processo educativo, alla formazione etica ed intellettuale, alle abitudini sociali indotte dal sistema economico e politico in cui si è inseriti dalla nascita. In ogni caso, è certo che taluni dirigenti "giocano" a dividere, ossia intervengono proprio su questo atteggiamento di reciproca avversione e competizione, non importa se innato o indotto.

Inoltre, non ritengo sia una colpa ascrivibile ai docenti se taluni dirigenti scambiano l'autonomia scolastica per una sorta di tirannia personale, se la legge precede incentivi economici per promuovere le attività progettuali extracurricolari soprattutto in termini di laute percentuali a beneficio dei presidi, o se esistono molteplici tipologie di fondi aggiuntivi da cui è possibile attingere per sovvenzionare l'ampliamento e l'arricchimento dell'offerta formativa delle scuole autonome. A tale riguardo chiarisco subito, a scanso di eventuali equivoci, che non sono contrario, a priori, ai progetti di qualità e di valore.

Quello delle "attività aggiuntive" a carattere non obbligatorio, ossia gli impegni progettuali extra-curricolari, è un altro tema molto serio avvertito dal corpo docente.

Nel campo della didattica e dell'istruzione scolastica, i criteri di quantità e qualità sono in genere difficilmente conciliabili tra loro, nel senso che l'una esclude l'altra. In genere la quantità di tipo "industriale" rischia di inficiare la qualità creativa di un progetto. Ciò è vero a maggior ragione in un sistema educativo, laddove i progetti sono prodotti in serie, praticamente standardizzati. In tal modo le singole istituzioni scolastiche rischiano di diventare vere e proprie "fabbriche di progetti", ovvero "progettifici scolastici". Con inevitabili ripercussioni negative sulla qualità e sul successo formativo dei giovani allievi.

Per non parlare dei continui, imbarazzanti strappi alle regole, delle reiterate e inopinate violazioni di norme e diritti sanciti dalla legge, delle frequenti scorrettezze e furbizie commesse all'interno delle singole scuole, derivanti da invidie, rivalità personalistiche ed altre meschinità che sono gestite male all'interno di un paradigma dirigista ed accentratore, in virtù di una leadership pateticamente ed artificiosamente paternalista.

Stendiamo dunque un velo pietoso: le scuole sono ormai ridotte ad essere progettifici privi di qualità. E' evidente che i progettifici scolastici sono deplorevoli non per una presa di posizione aprioristica o astratta, ma per motivi di ordine pratico. Nulla mi impedirebbe di avallare i progetti di qualità, purché siano discussi e realizzati seriamente, ma nel contempo sono cosciente che i casi virtuosi sono eccezioni assai rare. Invece, i progettifici scolastici si caratterizzano negativamente anzitutto per l'assenza di creatività e trasparenza, per elementi di inefficacia e inadeguatezza degli interventi, per una mancata rispondenza ai bisogni formativi e socio-culturali degli studenti, mentre obbediscono solo a logiche mercantili ed affaristiche. Non è un caso che si chiamino progettifici in quanto si configurano proprio come fabbriche di progetti che sacrificano la qualità per privilegiare e premiare soprattutto la quantità industriale.

Ribadisco ancora una volta che non sono affatto contro i progettifici per rivendicazioni ideologiche astratte, ma per ragioni molto concrete legate alla mia esperienza diretta.

Vengo ora alla questione cruciale della scarsa trasparenza nella gestione politico-finanziaria e della democrazia collegiale, che versa in condizioni di estrema decadenza.

Dall'emanazione nel 1974 dei Decreti Delegati che istituirono varie forme e strumenti di democrazia collegiale nella scuola, la partecipazione alla vita e al funzionamento degli organi collegiali si è progressivamente ridimensionata e deteriorata, fino ad essere sancita solo sulla carta. Oggi il potere decisionale detenuto ed esercitato all'interno degli organi collegiali (Consigli di Istituto, Collegi dei docenti, Consigli di classe, interclasse e intersezione) esclude sempre più la maggior parte delle famiglie, degli studenti, del personale docente e non docente. In pratica l'esercizio del potere politico-decisionale nelle singole realtà scolastiche è riservato ad una ristretta cerchia oligarchica formata dal Dirigente scolastico e dai suoi più stretti e fidati collaboratori.

Esaminiamo il caso emblematico di un organo essenziale come il Collegio dei docenti.

Un tempo il Collegio dei docenti era la sede deputata a discutere di argomenti più elevati, vale a idre tematiche di tipo psico-pedagogico, per cui gli insegnanti più aperti, curiosi, motivati, culturalmente preparati e coscienti, avevano modo di confrontarsi e di maturare sotto il profilo intellettuale e professionale.

Oggi i Collegi dei docenti sono ridotti ad essere centri di ratifica puramente formale e di adesione acritica alle delibere assunte altrove dai Dirigenti e dai loro staff di collaboratori. L'avallo avviene in genere mediante procedure antidemocratiche che esautorano e mortificano la dignità e la sovranità decisionale dei Collegi stessi. Questi sono ormai il luogo più alienante e passivizzante in cui al massimo si affrontano questioni finanziarie, senza fornire la dovuta trasparenza informativa e normativa, senza riferire alla platea collegiale tutti i dati, le notizie ed i parametri relativi al budget effettivo di spesa delle singole scuole.

Insomma, i Collegi avallano spesso e volentieri senza nemmeno conoscere fino in fondo l'oggetto reale posto all'ordine del giorno all'attenzione degli organi collegiali: si pensi, ad esempio, alle somme e ai fondi economici aggiuntivi, in taluni casi piuttosto cospicui, stanziati ad esclusivo vantaggio e sovvenzionamento di un'esigua minoranza di colleghi che, guarda caso, finisce per coincidere esattamente con la cerchia che fa capo al cosiddetto "staff dirigenziale", tanto per usare una terminologia assai cara ai "presidi-manager" e tipica del triviale gergo aziendalista che oramai imperversa nelle scuole.

Da troppi anni la scuola pubblica italiana risente di un deficit crescente di collegialità e dialettica democratica. In modo particolare, gli spazi di libertà e partecipazione si sono ridotti, subendo colpi letali inferti dai precedenti governi senza soluzione di continuità.

Con l'istituzione dell'autonomia scolastica e l'applicazione della legge n. 53/2003 (meglio nota come "riforma Moratti", a cui ha fatto seguito l'opera di affossamento compiuta dalla Gelmini, affiancata in questo disegno demolitore dal ministro Brunetta) è stata introdotta una dei ruoli di stampo oligarchico, imponendo un'impostazione autoritaria e creando una profonda divisione gerarchica nel quadro delle relazioni umane e professionali tra i lavoratori della scuola. In particolare, all'interno del corpo docente si è prodotta una netta disparità di redditi e funzioni non corrispondenti a meriti o capacità reali, a qualifiche professionali o specifiche competenze, innescando un processo di mercificazione delle mansioni didattiche e un effetto di aziendalizzazione (oltretutto maldestra) degli ordinamenti e dei rapporti interni, caratterizzati in termini di comando e subordinazione, che hanno logorato ed azzerato la democrazia collegiale.

Negli ultimi anni abbiamo sperimentato come l'avvento dell'autonomia scolastica e l'attuazione della "riforma Moratti" non abbiano sortito esiti positivi in termini di apertura delle scuole alle reali esigenze del territorio. La formulazione giuridica dell'autonomia non ha stimolato le scuole ad esercitare un ruolo di traino culturale rispetto al contesto sociale di appartenenza. In troppi casi le istituzioni scolastiche assumono posizioni di sudditanza psicologica verso i poteri egemoni a livello locale: mi riferisco anzitutto alle Pubbliche Amministrazioni, che si dimostrano incapaci o restie a finanziare le iniziative progettuali di arricchimento qualitativo dell'offerta formativa.

A ciò si aggiunga un imbarbarimento dei rapporti umani, per cui si assiste a conflittualità sempre più frequenti. Tale degenerazione è una conseguenza dell'autonomia, che non ha generato equità ed efficienza, ma ha creato solo irrazionalità, contrasti, assenza di certezze, violazione di norme e diritti, premiando gli atteggiamenti più arroganti e furbeschi, esasperando le rivalità e gli egoismi più venali. In questo disegno restauratore e disgregatore sono palesi le responsabilità politiche dei precedenti governi che hanno avviato la demolizione della scuola pubblica e della democrazia partecipativa, per cui il precedente governo Berlusconi ha avuto la possibilità di infliggere il colpo letale al diritto costituzionale all'istruzione grazie alla controriforma varata dal ministro Gelmini.

In tal modo lo stato di confusione, disorientamento, la crisi delle norme democratiche e sindacali, si sono accentuati, acuendo le contraddizioni intestine al mondo della scuola.

Spero che queste ulteriori riflessioni siano chiare ed esaurienti, ancorché non esaustive.

 Mario Pietro Lorenzo    - 14-04-2013
Gentile Garofalo,
pur condividendo gran parte delle tue osservazioni, mi permetto di raccontarti un breve discussione fatta anni fa con un preside di mia conoscenza. Aveva vinto da poco il concorso e dirigeva la scuola assegnatele con buoni risultati e soddisfazione dei docenti.
Alla domanda "quanto conta un preside?", la sua risposta fu "il potere del preside è inversamente proporzionale a quello che i docenti riescono ad esercitare in sede di collegio o in sede di consiglio di classe".
Per questa ragione ma anche per la mia esperienza non posso essere d'accordo quando scrivi:
"Inoltre, non ritengo sia una colpa ascrivibile ai docenti se taluni dirigenti scambiano l'autonomia scolastica per una sorta di tirannia personale, se la legge prevede incentivi economici per promuovere le attività progettuali extracurricolari soprattutto in termini di laute percentuali a beneficio dei presidi, o se esistono molteplici tipologie di fondi aggiuntivi da cui è possibile attingere per sovvenzionare l'ampliamento e l'arricchimento dell'offerta formativa delle scuole autonome. A tale riguardo chiarisco subito, a scanso di eventuali equivoci, che non sono contrario, a priori, ai progetti di qualità e di valore."
L'ipocrisia, la pusillanimità, il leccac..lismo ecc. ecc. di moltissimi insegnanti non può essere né taciuta né giustificata.
Credo inoltre che proprio la perdita di dignità da parte di molti abbia contribuito, ovviamente insieme alle politiche scolastiche e molto altro all'attuale degrado della scuola.

 Claudia Califano    - 14-04-2013
Gent. le collega,
ho letto con grande interesse il tuo contributo. Un tempo avrei certamente detto che il quadro è troppo fosco! Oggi, dopo aver toccato con mano gli effetti del "discredito lesivo e volontario" cui taluni presidi danno ascolto, devo dire ahimè che sono totalmente d'accordo. Che dire... oggi mi sto ancora chiedendo se e a cosa serva lavorare con professionalità, dedizione e fierezza, ma senza servilismi!
Aggiungerei, inoltre, che il danno più grande che certi DS fanno è proprio quello di alienare e annientare anche le forze sane della nostra scuola: i docenti che credono nella loro professione ed anelano a liberarla dal "progettificio" o dall'azione nefasta delle oligarchie.
Certo i meccanismi di reclutamento dei DS giustificano in un certo senso questo stato di cose, che non è il portato dell'autonomia, ma della fragilità della natura umana. Perché non pensare ad attento esame delle doti umane e psicologiche, prima ancora che alla competenza manageriale?

 Lucio Garofalo    - 15-04-2013
@ Mario Pietro Lorenzo. Non pretendo di aver ragione su tutto, anzi. Non sono infallibile. Nessuno lo è, specie in un ambito (molto empirico e pratico) come quello dell'educazione e dell'istruzione scolastica. Ho semplicemente provato ad esprimere e raccontare la mia versione personale e soggettiva della realtà scolastica, che è inevitabilmente parziale ed unilaterale, benché riscontri vaste simpatie ed approvazioni da parte di numerosi colleghi. Nel contempo aggiungo di essere pienamente d'accordo con il preside che hai citato a proposito della questione: "quanto conta un preside?", la cui risposta fu "il potere del preside è inversamente proporzionale a quello che i docenti riescono ad esercitare in sede di collegio o in sede di consiglio di classe". Di conseguenza, non dubito affatto che le colpe e le responsabilità dei docenti, quindi le nostre, specie in termini di subalternità e passività degli organi collegiali, quindi rispetto alla carenza di democrazia collegiale, siano presenti in una misura inversamente proporzionale alla quantità di potere e di arbitrio concentrata nella figura del dirigente. Un principio che è valido in ogni campo della vita lavorativa ed anche in quella politica. E' lo schiavo, il servo, che crea il padrone; il suddito crea il tiranno, il cortigiano crea la corte del re. Non c'è alcun dubbio su tale questione.