L'ultimo treno prima della Restaurazione
Gennaro Tedesco - 20-10-2011
Si può comunicare la Storia ad adolescenti e giovani senza ricorrere a un saggio monografico di stampo accademico o a un manuale? Mi sento di rispondere affermativamente a questa domanda per tanti motivi. Il primo di questi è "filosofico", perché la "verità" ha tante facce quanti sono i soggetti che la vivono, la comunicano e la ricevono in un processo interattivo, ciclico e ricorsivo. E gli approcci, le forme e i modi della comunicazione non solo storica nella nostra epoca globalizzata, policentrica, poliedrica, frammentata e frammentaria che ha posto al centro dei suoi interessi e del suo divenire la pervasività informativa e informatica non sono più riducibili esclusivamente al saggio monografico o al manuale onnicomprensivo di storia o ai libri di testo. Non è nostra intenzione cassare con un colpo di spugna secoli, anzi millenni di comunicazione e didattica "vetero-testuale", anche perché tale complessa operazione richiederebbe tempi biblici e spazi siderali.
Cercheremo solo di fare in modo che essa sia integrata e metabolizzata all'interno di una globalizzazione non solo informatica e comunicativa, ma anche sociale e culturale. Gli sviluppi di tale processo, che possiamo definire, senza esagerazione, rivoluzionario, sono ancora in corso sotto i nostri occhi.
Si diceva all'inizio della irriducibilità della storia a un bel saggio monografico o anche ad una altrettanto bella ma effimera ed obsoleta lezione frontale da cui adolescenti e giovani rifuggono come la peste bubbonica.
Giornalisti marziani, docenti fragili e perplessi e storici di un sol pezzo arroccati in splendide e maestose torri d'avorio asettiche e a-sociali si chiedono, attoniti e atterriti, come mai i nostri post-moderni studenti dalle Medie alle Superiori e all'Università aborriscano le "normali" ed istituzionali monografie storiche e i secolari e tradizionali manuali, che sono, appunto, il "classico" contraltare della lezione lineare e ad imbuto dell'accademico o del docente di turno, che, come il saggio e il manuale, dall'alto e colonialisticamente riversa e spande indistintamente e unilinearmente la sua scienza nelle bocche aperte, affamate e assetate di sapere misterico di studenti dediti all'esclusiva adorazione di sacri testi e all'ascolto passivo e mistico di sacerdoti addetti alla loro unica ed ufficiale interpretazione.
Gli stessi giornalisti, docenti e storici perdono poi il lume della ragione quando scoprono l'orrenda e indicibile propensione dei dispettosi e cattivissimi discenti alla sistematica e dilagante abitudine a snobbare i grandi ("i grossi"), ponderosi e voluminosi testi per dedicarsi quasi con piacere alla lettura di smilzi, esili e fragili "libricini", "libretti", breviari, dispense brevi e brevissime, per non parlare del "neo-breviarismo" della corsara e piratesca navigazione elettronica debordante e dilagante.
Né i giornalisti, né i docenti e, a quanto pare, tanto meno gli storici, che pure dovrebbero essere in prima fila nell'esplorare il passato, avvertono che questa situazione storica si è già verificata nel passato della nostra storia: non era questa l'annosa e dibattutissima, infinita e storica polemica mai sopita degli Alessandrini contro il mega-libro a favore del micro-libro ovvero, con parole moderne, il "piccolo è bello"?
Ovviamente i responsabili, anzi i colpevoli di questa deplorevole e orribile regressione allo stato selvaggio di natura non sarebbero né i docenti e tanto meno i giornalisti, ma la "svogliatezza", la "pigrizia", le insane e cattive abitudini degli adolescenti e dei giovani, il dilagare stravolgente e sconvolgente di un "molteplice flusso caotico" di immagini e informazioni del tutto deleterio, primitivo e barbarico, di cui gli studenti, per primi, consapevolmente o inconsapevolmente, sarebbero vittime sacrificali e sacrificate sull'altare del Moloch globalizzante, perfido e cattivo.
Qui non si vuole e non si può entrare, per motivi di spazio e di tempo, nell'annoso dibattito sulla bontà o meno del processo di globalizzazione in corso. Quello che possiamo evidenziare, però, è che è proprio l''azione 'pervasiva' e invasiva della globalizzazione a spingere molti docenti, storici e giornalisti verso una 'reazione' 'fondamentalista' alla globalizzazione in corso. Sia i giornalisti che i docenti e gli storici rifiutano quello che essi, impropriamente, definiscono come indebolimento riduttivistico e frammentaristico del sapere . Di fronte all'incomprensione del 'contaminazionismo' e ' ibridazionismo' dei flussi informativi e formativi elettronici si arroccano e si rinserrano nel facile e 'reazionario' ritorno fondamentalistico al passato, più esattamente, alla ripresa 'integralistica' della disciplina e dei suoi statuti epistemologici abusati e usurati di logica univoca e unilineare.
Questo ritorno di fiamma dell'approccio disciplinare consente di navigare attraverso mari calmi, approdando in porti sicuri.
Dietro il fondamentalismo neo-disciplinare si avverte, però, il vuoto di idee e soprattutto l'incapacità di affrontare ed eventualmente governare i processi di globalizzazione in atto, ancora più profondi e incisivi nel mondo della scuola, dell'Università e della Storia.
E infatti l'esaltazione del disciplinarismo e della specializzazione a compartimenti stagni conduce, per logica e conseguenza interna, alla riaffermazione di un modello di scienza e di storia tipicamente occidentale, condotto, però, alle estreme e paradossali conseguenze non tanto in Europa quanto negli U.S.A.
La riaffermazione del predominio disciplinare è il preludio dell' "Epifania" bella e progressiva delle forme scientifiche e tecnologiche attraverso cui è imposto il modello storico, educativo e politico oltre che economico del mondo occidentale e capitalistico.
Il disciplinarismo consente di parcellizzare la realtà sia metafisicamente che, soprattutto, tecnologicamente. Di questa parcellizzazione e specializzazione non solo scientifica e tecnologica, ma anche delle scienze umane e sociali, si appropria sia l'industria vera e propria che l'editoria, consegnandoci un mondo diviso in blocchi compatti e impenetrabili tra di loro e a compartimenti stagni.
Il capitalismo globale rivendica e impone tale organizzazione del sapere che gli consente di concentrare, manipolare e controllare tutti i processi di produzione capitalistica dall'origine fino alla fase finale senza interruzioni e deviazioni.
Il disciplinarismo si rivela, dunque, uno dei più solidi sostegni e baluardi del capitalismo e dell'industrialismo e aziendalismo non solo economico, ma anche ideologico, culturale ed educativo.
L'ideologia aziendalistica, diretta filiazione del disciplinarismo separatistico e specialistico, riduce l'infinita e magmatica complessità del reale, scindendo e atomizzando per l'allievo e non solo per l'allievo la realtà nei termini di un sostanzialismo economicistico, linguistico (l'inglese) e tecnologistico (Internet e computer).
L'industria editoriale e soprattutto l'editoria scolastica e universitaria ripropongono, poi, a loro volta, a fini ideologici e di profitto capitalistico, testi disciplinaristici e specialistici progettati e pubblicati a misura dei docenti delle Accademie universitarie e dei Musei liceali che riattualizzano attraverso le loro soporifere e vetero-testuali lezioni frontali, il verbo editoriale e capitalistico dell'ultimo e decadente Occidente.
La reazione politica strisciante in Europa e in America contro la globalizzazione del sapere, o meglio contro la sua transnazionalizzazione e soprattutto cosmopolitizzazione, interdisciplinarizzazione e transdisciplinarizzazione è speculare alla richiesta e alla pratica dilagante nelle scuole e nelle università del ritorno al nozionismo e specialismo disciplinaristico.
Il fondamentalismo religioso, etnicistico e regionalistico delle piccole patrie è anche il risultato della rinazionalizzazione del sapere e della sua riterritorializzazione disciplinaristica che nella mistica del ritorno alle radici e alle identità separatistiche sia in prospettiva politica che epistemologica, culturale ed educativa ritrova la sua più congeniale e reazionaria espressione.
Non solo assistiamo alla rinazionalizzazione e regionalizzazione delle masse, ma anche alla loro riconversione, rieducazione e riorientamento. La riparcellizzazione e la recintazione della storia disciplinare comporta la lagerizzazione della cultura , della scienza e dell'educazione. E' la cittadella europea, assediata dai Barbari d'Oriente con le sue più o meno piccole patrie, che di fronte all'azione e all'assalto dell'Elefante indiano e del Dragone cinese, "reagisce" all'accerchiamento dirompente con il ritorno al passato e alle paratie stagne. L'Europa riconferma, e rivisita la sua storia, riproponendo la sua scienza ridisciplinarizzata, riparcellizzata, recintata e imposta al resto del mondo col suo dominio prima colonialistico, ora, ma sempre meno, culturale ed educativo.
L'Oriente incalza e propone la sua cultura, la sua scienza e la sua educazione. Al momento è un dialogo tra un sordo e un cieco.
Una volta ammessa l'esistenza di un rapporto tra fondamentalismo e riproposizione delle barriere disciplinari a scapito del globale nella società, nella scuola e nell'Università, in quale punto di questo circolo vizioso possiamo e dobbiamo intervenire per bloccarlo e sostituire ad esso il circolo virtuoso della regolazione della globalizzazione e della solidarietà sociale e umana, ma anche interdisciplinare e transdisciplinare?
Attraverso quali sottili linee e margini di confine delle varie discipline oggi assurdamente compartimentate e parcellizzate possiamo sperare di trovare dei sentieri trasversali atti a introdurci nel mondo della Scuola e dell'Università opportunamente deterritorializzate, denazionalizzate e despecializzate alla riconquista dell'uomo non a una dimensione, ma interculturale, multilaterale e multidimensionale?
Dovremo sforzarci di introdurre nelle Università, nelle Scuole e soprattutto nei curricoli il concetto educativo e la pratica didattica della trasversalità, ordine-disordine, frattalità e caos, complessità e quindi dell'imprevedibilità spesso dei risultati, l'irriducibilità della Scienza e l'incomprimibilità della vita, il concetto e la pratica dell'apertura e della scommessa dell'umano sapere .

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