Luoghi comuni
Lucio Garofalo - 14-01-2011
Il populismo di Berlusconi e le proteste giovanili

Sarebbe giunta l'ora di sfatare alcuni luoghi comuni della politica nazionale. Ad esempio, una di queste persuasioni comuni, assolutamente banali e mistificanti, è l'idea secondo cui Silvio Berlusconi sarebbe un "populista". Non c'è nulla di più falso e becero.

Al di là dei facili stereotipi, adatti alle convenienze, Berlusconi non è un vero populista, ma un populista di comodo e di facciata. Mi spiego meglio. Se la gente lo vota Berlusconi è un populista e il popolo ha ragione, ma se la gente non lo vota e addirittura osa contestarlo, in tal caso il popolo ha torto, perciò Berlusconi non è un sincero populista.

Dunque, il populismo di Berlusconi è semplicemente un luogo comune, una menzogna che ormai viene accolta acriticamente come un dato di fatto, un'evidenza innegabile, mentre andrebbe ripensato criticamente per svelare la sua reale natura opportunistica e strumentale, in quanto elemento di mera propaganda e di mistificazione ideologica.

Se fosse un autentico populista, Berlusconi dovrebbe riconoscere piena legittimità e sovranità al popolo sempre, sia quando lo appoggia sia quando lo contesta. Il populismo è amore e devozione verso il popolo, un amore espresso in modo autentico e coerente, in ogni caso e non in base alle proprie utilità e convenienze politiche e personali.

Sempre a proposito di luoghi comuni, vale la pena di soffermarsi sugli stereotipi che già cominciavano a circolare per etichettare e stigmatizzare il nuovo movimento giovanile.

Non c'è dubbio che le ultime manifestazioni studentesche, partecipate in massa e in termini pacifici, sono state la migliore risposta proveniente dalla piazza e dagli altri luoghi della contestazione, verso le infamanti accuse lanciate dalla solita stampa che aveva già scatenato una canea sulla presunta identità tra studenti e "potenziali assassini". Fino a formulare l'irresponsabile equazione: manifestanti = terroristi.

Il tentativo dei "mezzi di distrazione di massa" per distogliere l'opinione pubblica dai nodi cruciali della protesta giovanile, ponendo l'accento sul carattere violento o meno delle manifestazioni, è la conferma dell'ottusa volontà del ceto politico di ignorare le rivendicazioni sollevate dalla piazza per proseguire ostinatamente in un atteggiamento di sterile chiusura autoreferenziale e in una recita di pupi a cui ormai siamo abituati.

Non mi riferisco solo alle istanze espresse dal movimento studentesco, ma pure alle lotte e alle questioni sociali rappresentate dagli operai e dai lavoratori precari delle fabbriche, delle scuole e degli altri luoghi fisici dello sfruttamento economico e sociale.

Inoltre, mi viene in mente una considerazione rispetto ad un luogo comune che deve essere assolutamente demistificato: prima c'era chi accusava i giovani di essere "bamboccioni", frivoli e passivi, pigri ed inerti politicamente, ora che provano a lottare e a ribellarsi vengono tacciati di essere addirittura "terroristi" e "potenziali assassini". Che si mettano d'accordo con il loro cervello. Ma chi sono, in realtà, i veri terroristi? I veri eversori sono i detentori del potere, i peggiori sovversivi e delinquenti sono al governo della nazione.

Il DDL Gelmini sull'università è, tutto sommato, il "casus belli" di una rivolta studentesca che punta a sollevare il dramma della precarizzazione economica e sociale che incombe come una "spada di Damocle" sul futuro delle nuove generazioni. E come si può dar loro torto? Perché biasimare chi rifiuta un destino di sottomissione e precarietà?

Infine, una chiosa critica verso questo movimento. Nel '68 circolava uno slogan che così recitava: "siamo realisti: vogliamo l'impossibile". Ebbene, questa nuova rivolta non esige l'impossibile, non avanza richieste che potrebbero apparire "velleitarie" in quanto non pretende di compiere la rivoluzione, ma si limita a rivendicare solo ciò che è possibile (e necessario) nell'immediato: una normale mediazione politica e dialettica, insomma il dialogo. Infatti, basta pensare all'esultanza con cui gli studenti, o una parte di essi, hanno accolto la disponibilità di Giorgio Napolitano ad ascoltare le loro ragioni per rendersi conto della diversità rispetto al Sessantotto, per cogliere l'enorme distanza che separa questo movimento giovanile rispetto agli anni '70. Nel bene e nel male.


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