Se si sbatte il mostro in redazione
Gianfranco Pignatelli - 09-10-2010
Curvo sulla sua lettera 32. Alto e magro, ma con la schiena professionalmente dritta. E gli occhi, fissi sui tasti e la realtà, limpidi e svegli. Poi ci sono le braccia tese a proteggere un foglio con l'identikit di un fatto da riferire così com'è. E lui dietro. Due fotogrammi nei quali tutti riconoscono Montanelli e Biagi. E come dimenticare le nitide pagine di Zavoli e Scalfari, Berselli e tanti altri ancora. Figure cristalline, autentici galantuomini, reporter di un'Italia migliore. Avevano, quei cronisti, i tratti delle persone autenticamente perbene e uno spessore intellettuale capace di conquistare tutti. Leggendoli cresceva la cifra linguistica, ma anche la conoscenza e l'autonomia di ciascuno. Su quella traccia, per fortuna, ci sono ancora tanti professionisti, capaci e tenaci. Tanto più indietro c'è anche un altro giornalismo, invertebrato, torvo, livoroso e triviale, dove non c'è traccia etica e manca ogni indizio di libertà. Sono, questi pseudogiornalisti, niente più che un manipolo di inchiostratori sotto lo schiaffo della cosca dell'impunità, dei soliti furbi e farabutti. Quelli che, siano professionisti o imprenditori, politici del fare o boss del malaffare, rubano per dominare, dominano per rubare e abusano dell'informazione per coprire e colpire a seconda della bisogna. Per loro il fare fa il paio col depredare, l'imprenditore è prim'ancora un estorsore, rapace più che capace. E se t'azzardi a dire che così non si fa, che così non va, il padrino-padrone, sguinzaglia i suoi e t'azzanna. Lo fa a suo modo, scatenando le sue bisce d'inchiostro, i sicari dell'informazione, i professionisti della diffamazione, del pestaggio mediatico, del linciaggio personale e familiare. Estorcono confidenze infamanti dal pattume e dal puttanaio nostrano, quello dell'Italia lercia, parassita e malavitosa, che vive alla grande, perché delinque e striscia alla grande. Di quest'Italia sono protagonisti e maggiori beneficiari chi manganella coi polpastrelli, ingozza di fango gli avversari di oggi come si faceva con l'olio di ricino ieri. Non sono i fieri cronisti di un tempo. Non si definiscono, infatti, cronisti ma, non a caso e con protervia, opinionisti. E non già perché esprimono opinioni - magari sostenute da fatti accertati e documentati - ma solo per la pretesa d'inculcare opinioni. Per far pensare e giudicare? Macché, solo condizionare e coartare. Lo fanno col ghigno mellifluo e sprezzante, l'espressione viscida e astiosa, il tono ringhioso e intimidatorio, Loro guardano le vittime da punire o gli amici da blandire attraverso le canne mozze del tornaconto loro e di chi li assolda, per il quale scrivono editoriali con penne a serramanico intinte nel veleno e nell'ingiuria. Si avvalgano di millantatori e depistatori, ruffiani ed infami. In sintesi dei ratti neri che frequentano il reticolo fognario del sottobosco politico, affaristico, massonico e mafioso italiano. Quelli che conoscono ogni tresca, tutti i malaffari e le cattive frequentazioni e aspettano il momento giusto per rinfacciare a ciascuno, a torto o a ragione, quanto sia farabutto, disonesto, pervertito, depravato e tant'altro ancora. Salvo poi negare o ritrattare.

Questo giornalismo è l'arma impropria di una politica che non propone ma impone, non fa opinione ma ricatta. Quella cinica, spregiudicata, violenta e ingorda, che concilia mafiosi siciliani e padani. I suoi leader, scortati come gangster, acclamati da clack quanto i loro avversari sono ingiuriati da guastatori ingaggiati ad hoc, col corollario di attentati simulati e contestazioni sceneggiate ad arte.

Un giornalismo senza qualità né credibilità che fa un uso improprio e paradossale del nome attribuito alle sue principali testate. Nomi che potrebbero essere commutati in Grembiale e Piffero. Di famiglia il primo, di fazione l'altro. È un giornalismo, questo, senza personalità e scrupoli, senza pudore e dignità, supino agli ordini, sempre pronto a riportare senza valutare. A proteggere o distruggere, lusingare o denigrare a seconda delle convenienze del proprio mandante. Sempre lui il padrino-padrone, il primatista in ricettazioni e corruzioni, concussioni e intimidazioni. Elusioni ed evasioni fiscali. Concorrenza sleale e assistenzialismo statale, con concessioni depredate e usurpate. Insomma, al primatista del peggio eppure di più. Capace di tutto tranne che, ovviamente, piegare la schiena dei reporter di quell'Italia che ci manca quanto loro.



interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Alfio Simeoni    - 10-10-2010
Scusa ma ti riferisci a Repubblica, vero? Che schifo le inchieste sulla D'Addario, ecc. mi hanno disgustato.

 Patrizia Rapanà    - 10-10-2010
E' vero, in fondo che c'è di strano? Io mi faccio la escort e poi la candido da qualche parte! E ci vogliamo disgustare per questo?