Curvo sulla sua lettera 32. Alto e magro, ma con la schiena professionalmente dritta. E gli occhi, fissi sui tasti e la realtà, limpidi e svegli. Poi ci sono le braccia tese a proteggere un foglio con l'identikit di un fatto da riferire così com'è. E lui dietro. Due fotogrammi nei quali tutti riconoscono Montanelli e Biagi. E come dimenticare le nitide pagine di Zavoli e Scalfari, Berselli e tanti altri ancora. Figure cristalline, autentici galantuomini, reporter di un'Italia migliore. Avevano, quei cronisti, i tratti delle persone autenticamente perbene e uno spessore intellettuale capace di conquistare tutti. Leggendoli cresceva la cifra linguistica, ma anche la conoscenza e l'autonomia di ciascuno. Su quella traccia, per fortuna, ci sono ancora tanti professionisti, capaci e tenaci. Tanto più indietro c'è anche un altro giornalismo, invertebrato, torvo, livoroso e triviale, dove non c'è traccia etica e manca ogni indizio di libertà. Sono, questi pseudogiornalisti, niente più che un manipolo di inchiostratori sotto lo schiaffo della cosca dell'impunità, dei soliti furbi e farabutti. Quelli che, siano professionisti o imprenditori, politici del fare o boss del malaffare, rubano per dominare, dominano per rubare e abusano dell'informazione per coprire e colpire a seconda della bisogna. Per loro il fare fa il paio col depredare, l'imprenditore è prim'ancora un estorsore, rapace più che capace. E se t'azzardi a dire che così non si fa, che così non va, il padrino-padrone, sguinzaglia i suoi e t'azzanna. Lo fa a suo modo, scatenando le sue bisce d'inchiostro, i sicari dell'informazione, i professionisti della diffamazione, del pestaggio mediatico, del linciaggio personale e familiare. Estorcono confidenze infamanti dal pattume e dal puttanaio nostrano, quello dell'Italia lercia, parassita e malavitosa, che vive alla grande, perché delinque e striscia alla grande. Di quest'Italia sono protagonisti e maggiori beneficiari chi manganella coi polpastrelli, ingozza di fango gli avversari di oggi come si faceva con l'olio di ricino ieri. Non sono i fieri cronisti di un tempo. Non si definiscono, infatti, cronisti ma, non a caso e con protervia, opinionisti. E non già perché esprimono opinioni - magari sostenute da fatti accertati e documentati - ma solo per la pretesa d'inculcare opinioni. Per far pensare e giudicare? Macché, solo condizionare e coartare. Lo fanno col ghigno mellifluo e sprezzante, l'espressione viscida e astiosa, il tono ringhioso e intimidatorio, Loro guardano le vittime da punire o gli amici da blandire attraverso le canne mozze del tornaconto loro e di chi li assolda, per il quale scrivono editoriali con penne a serramanico intinte nel veleno e nell'ingiuria. Si avvalgano di millantatori e depistatori, ruffiani ed infami. In sintesi dei ratti neri che frequentano il reticolo fognario del sottobosco politico, affaristico, massonico e mafioso italiano. Quelli che conoscono ogni tresca, tutti i malaffari e le cattive frequentazioni e aspettano il momento giusto per rinfacciare a ciascuno, a torto o a ragione, quanto sia farabutto, disonesto, pervertito, depravato e tant'altro ancora. Salvo poi negare o ritrattare.
Questo giornalismo è l'arma impropria di una politica che non propone ma impone, non fa opinione ma ricatta. Quella cinica, spregiudicata, violenta e ingorda, che concilia mafiosi siciliani e padani. I suoi leader, scortati come gangster, acclamati da clack quanto i loro avversari sono ingiuriati da guastatori ingaggiati ad hoc, col corollario di attentati simulati e contestazioni sceneggiate ad arte.
Un giornalismo senza qualità né credibilità che fa un uso improprio e paradossale del nome attribuito alle sue principali testate. Nomi che potrebbero essere commutati in Grembiale e Piffero. Di famiglia il primo, di fazione l'altro. È un giornalismo, questo, senza personalità e scrupoli, senza pudore e dignità, supino agli ordini, sempre pronto a riportare senza valutare. A proteggere o distruggere, lusingare o denigrare a seconda delle convenienze del proprio mandante. Sempre lui il padrino-padrone, il primatista in ricettazioni e corruzioni, concussioni e intimidazioni. Elusioni ed evasioni fiscali. Concorrenza sleale e assistenzialismo statale, con concessioni depredate e usurpate. Insomma, al primatista del peggio eppure di più. Capace di tutto tranne che, ovviamente, piegare la schiena dei reporter di quell'Italia che ci manca quanto loro.
Alfio Simeoni - 10-10-2010
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Scusa ma ti riferisci a Repubblica, vero? Che schifo le inchieste sulla D'Addario, ecc. mi hanno disgustato. |
Patrizia Rapanà - 10-10-2010
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E' vero, in fondo che c'è di strano? Io mi faccio la escort e poi la candido da qualche parte! E ci vogliamo disgustare per questo? |