La scuola al tempo dell'armata
La Redazione - 24-09-2010
L'idea di partenza era semplice, originale e affascinate: avevamo l'ambizione di raccontare la scuola. Non ne sarebbe venuto fuori il Paese nel suo insieme, ma uno dei suoi connotati più significativi. La scuola non è l'Italia, ma se non conosci la scuola non capisci l'Italia. Ci piaceva raccontarla in una maniera originale, riportando la cronaca dei fatti minimi e di quelli che lasciano un segno, i momenti che preoccupano e angosciano e quelli lievi, che ti dicono quant'è bello vivere di scuola, veder crescere la libera espressione dei pensieri o sentire il flusso delle emozioni che li accompagnano. Volevamo che la passione e lo sdegno, la rabbia, l'entusiasmo, la delusione di ogni "lettore-autore" trovassero uno spazio condiviso d'ascolto e di comprensione in cui non ci fossero "ragioni" o "torti", ma l'incontro di differenti prospettive e la costruzione di un prezioso patrimonio comune. Cercavamo un dialogo autentico, convinti che non ci siano "requisiti particolari per la collaborazione, se non il desiderio di costruire una scuola, pubblica, in grado di accogliere tutti e ciascuno e a tutti e a ciascuno offrire una significativa opportunità di crescita e di sviluppo". Nulla di tutto questo è cambiato, ma ci muoviamo da tempo in un contesto profondamente diverso. L'intero nostro ragionamento aveva alle spalle uno scenario che pareva un punto fermo: la scuola dello Stato, in un quadro di democrazia che ha come strumento di crescita il dibattito. Questo contesto oggi non c'è più. Il sistema di valori di riferimento sul quale si fondava la nostra piccola scommessa è stravolto. Noi continuiamo a ospitare testimonianze personali, diamo notizie, pubblichiamo appelli e comunicati, ma è sempre più raro che giungano proposte didattico-educative e riflessioni sui modelli pedagogici o sociali. E' raro, perché la scuola dello Stato, così com'era in Italia solo pochi anni fa, non c'è più. Nel tessuto democratico del paese s'è aperta una breccia attraverso la quale è passata e passa una devastante e tragica onda anomala, che rende difficile, se non impossibile, l'espressione di giudizi sui percorsi di riforma o sulle scelte politiche da cui traggono origine. La riforma non è una riforma e la politica s'è smarrita in un labirinto d'interessi particolari senz'anima e senza respiro etico. Il cambiamento cui intendevamo contribuire s'è trasformato in smantellamento, tagli di risorse economiche e umane, guerra alla didattica e spregio della metodologia. Sotto i colpi di una campagna mediatica ideologica, tipica dei regimi reazionari, s'è puntato e si punta a cancellare la libertà d'insegnamento e a screditare i docenti; mentre il rapporto tra personale scolastico e Amministrazione torna ad essere quello gerarchico di stampo autoritario, si mercifica il sapere e, in ossequio a un'idea aziendalistica dell'intera società - "l'azienda Italia" - si accentuano le distanze tra i diversi segmenti del sistema formativo, ripristinando le divisioni nei gruppi sociali e preparando il ritorno a una società classista, fondata sul censo e sulle origini sociali e culturali. Uno dietro l'altro saltano i pilastri su cui reggeva la scuola della Repubblica: continuità didattica, valori di riferimento costituzionali, sperimentazione, tempo-scuola, diritto allo studio, laicità, standard nazionali, attenzione, rispetto e integrazione delle diversità, inclusione e pari opportunità. Noi continuiamo a perseguire i fini per cui siamo nati, Lo facciamo da anni, proviamo come meglio ci riesce a "raccontare" la scuola e a rincorrere le notizie che la riguardano. Talvolta, però i fatti, con la loro inquietante evidenza, dicono molto più di mille parole ed è senza commenti che affidiamo a due link il racconto di una ambigua "militarizzazione" della scuola, di cui oltre a quello che si intuisce, che molto evidentemente inquieta, potrebbe esserci altro non detto. E' assurdo pensare di vedere anche un "peggio" col quale c'entra il protagonismo separatista della Lega?

La Redazione

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