Viaggio in Indonesia
Gennaro Tedesco - 22-05-2009
Isole nella Corrente


Come si apprende a nuotare? Con i corsi in piscina o a scuola? Certo le nozioni teoriche sono utili, ma mia madre, oltre a inculcarmi l'amore per il mare, il migliore approccio educativo alla natura e al suo rispetto, mi ha costretto ad apprendere l'arte natatoria con un metodo molto semplice, diretto, attivo e protagonistico : semplicemente, un bel giorno, ancora infante, pur con la sua vigile presenza, mi spinse improvvisamente in acqua e da quel giorno, guizzando e sguazzando, "miracolosamente", divenni un imberbe e appassionato nuotatore .
Ho l'impressione che questa dimensione educativa, cioè pragmatica, la nostra scuola e la nostra università non l'abbiano ancora percepita, elaborata, metabolizzata e ancor meno attuata. E questa constatazione o considerazione ci sembra tanto più rilevante e determinante per capire perché le nostre due maggiori istituzioni educative siano entrate in cortocircuito nel momento in cui il Bel Paese sembra essere stato preso d'assalto da migranti provenienti da "Terre assai lontane", per citare i versi di un'antica canzone napoletana. L'unico approccio elaborato e praticato dalle suddette istituzioni è stato ed è spesso, anche se non proprio sempre, quello dell'educazione interculturale dove l'altro è un ectoplasma nebbioso che si smarrisce nelle brume della teoria .
La diversità che ti trasforma perché questo e non altro, secondo lo scrivente, dovrebbe essere il senso correttamente inteso di una educazione interculturale è assente. E questa trasformazione identitaria, che è reciproca nel momento dell' "impatto" con l'altro, dovrebbe essere al centro del discorso educativo e soprattutto della pratica educativa. Credo che i docenti, oltre agli allievi e più degli allievi, dovrebbero essere obbligati, prima di svolgere il loro ruolo strategico di educatori, ad andare e fare esperienza in Terre assai lontane. E il racconto del loro viaggio di autoformazione e di trasformazione dovrebbe essere il "capitale" e l'eredità che essi portano in dote ai nostri allievi per spingerli a loro volta ad andare per le infinite vie del vasto mondo per tornare arricchiti e trasformati nel cuore e nella mente, più ibridati e contaminati dall'altro, per porsi al servizio di una comunità divenuta sempre più cosmopolita proprio grazie alla loro acquisita e dialettica alterità .
Sogni di una notte di mezza estate? Voli pindarici? Chimere? Elucubrazioni a dir poco sterili e inconcludenti? Chi scrive è del parere che questi sogni, queste chimere, al contrario, siano le uniche realtà possibili e praticabili se non si vuole che la realtà della pressante e dilagante cosmopolitizzazione che ci circonda e ci sovrasta, incombente e imperversante come e più di uno spettro visibile, si trasformi, essa sì, in un incubo infinito al servizio di un incontenibile e irrefrenabile razzismo.
Per afferrare il senso più profondo dell'anima migrante che sopravvive e combatte per ritagliarsi un modesto posto al sole nel territorio per l'Altro ignoto in cui anche noi viviamo, bisogna andare, anche solo per qualche istante, in quelle Terre assai lontane e spesso sofferenti da dove è partito l'Altro per ritrovare noi stessi e l'Altro. Per poi raccontare e portare in eredità ai nostri allievi non un pezzo di intercultura, ma un pezzo di umanità e soprattutto un flusso ininterrotto di dialettica dialogica tra "noi" e "loro". I docenti di entrambe le suddette istituzioni educative una volta rientrati dal loro "viaggio" di autoformazione e di trasformazione, si assumono la tremenda e soverchiante responsabilità di narratori neo-odisseici destinati a ricreare una nuova, magica e coinvolgente epopea non solo affabulatrice, ma anche necessariamente critica e autocritica. Perché fare esperienza di un altro mondo non significa solo immergersi nelle sue abissali profondità, ma anche guardarsi nello specchio degli altri. Compito veramente ciclopico, ma strategico, necessario e ineludibile, alternativo a quell'altra narrazione esclusivamente mitologica e mitografica costruita e rappresentata dalla pervasiva macchina mediatica. Crediamo che non la trasmissione di una "semplice" e pur importante esperienza personale, ma l'interazione e la transazionalità di un itinerario divenuto metamorfico e trasformativo sia ormai una delle poche vere e sostanziali missioni che ancora rimangano saldamente monopolio dei docenti ovviamente nella doppia, inesauribile e dinamica prospettiva prima dell'interscambio dialogico con l'Altro e poi dell'incontro - scontro interattivo, argomentativo e performativo con gli allievi.


Bali


Sono finalmente in Indonesia, precisamente a Bali, con la testa piena di propaganda e pubblicità negativa su queste contrade: mi aspettavo di trovare tristezza e desolazione, ma scopro che la tristezza e la desolazione veramente e abbondantemente esistono solo nei nostrani strateghi della strategia della tensione universale e mondiale. Evidentemente non pochi di questi strateghi sono ben pagati e remunerati da chi ha interesse a spargere nel mondo fobie e divisioni tra popoli e nazioni. Il fatto è che, purtroppo, anche i migliori tra noi europei cadono nella trappola del complotto universale e dell'immagine nefasta e subdola , ma latente e patente , dell'orientale col coltellaccio che ti attende nel buio del crocicchio per tagliarti la gola . E noi sappiamo che sono più reali tali immagini mediatiche e ancestrali che non la realtà effettiva .
Purtroppo a Bali e in Indonesia non ho avvistato né visto all'orizzonte né giornalisti né cronisti italiani che si siano presi la briga di andare in giro per quest'immenso Paese che è un Continente più che una nazione . Gli unici giornalisti che hanno compiuto qualche visita "sul campo" , per dirla con gli antropologi , ma anche di questi non ne ho incontrati , attraverso un documentario trasmesso da una delle nostre reti televisive , ci hanno riconsegnato un'immagine di un mondo "arretrato" dove i nostri giornalisti , tutti contenti e soddisfatti delle loro "scoperte" riconfermate "sul campo" , si meravigliavano però che " i primitivi" della foresta tropicale possedessero la televisione e la guardassero con un interesse "sospetto" !

Dunque sono finalmente a Bali . Un viaggio ancora lunghissimo e appena sbarchi all' aeroporto non avverti, ma "senti" subito sulla tua pelle e dentro la tua pelle , dall'aria e dai profumi che respiri, dai suoni , dai colori e dagli improvvisi assordanti silenzi e dalle altrettanto improvvise esplosioni di sorrisi ed allegria, che un altro mondo non solo è possibile, ma esiste per davvero ed è a portata di mano solo che si voglia veramente afferrarlo e viverlo. E se non lo afferriamo e non lo viviamo non è perché gli Altri sono brutti, sporchi e cattivi, ma perché sono le nostre fobie e i nostri Lestrigoni che ce lo impediscono .
Non sono abituato a perdere il mio tempo malgrado a Bali ormai si può dire che io sia di casa. Vado subito a incontrare l'Oceano, la sabbia e la gente che riversa e vive lungo la maestosa e infinita spiaggia. Se il primo bagno è in questo incredibile e selvaggio Oceano non della desolazione ma del furore e del piacere, il secondo è quello nella folla altrettanto spumeggiante, caleidoscopica e cosmopolitica di contadini, pescatori e ambulanti che ti assorbe e ti metabolizza come una spugna .
Sei in mezzo a "loro" come se lo fossi sempre stato, come uno di "loro". Non ci sono né barriere né confini eppure spicco in mezzo a "loro" per il mio cappello alla Hemingway, i miei pantaloncini corti e il mio idioma "barbaro". Alcuni si ricordano di me, altri e altre sorridono . Non ho neanche il tempo di far mente locale perché sono improvvisamente distolto da quell'incontro da una scena inusuale.
Tra Oceano e sabbia scorgo una giovane donna che prima balla, salta e canta e poi improvvisamente si ferma e a mani giunte si avvicina sempre più all'Oceano. Poi a un tratto vi si immerge parzialmente per offrire, con aria e tono meditabondo, fiori e frutta all'Anima dell'Oceano. Io conosco un po' di storia greco-antica e mi sono sempre appassionato nel tentativo di capire, si fa per dire, quale fosse il senso del così detto paganesimo, ammesso che il termine paganesimo sia giusto e altrettanto se ci sia un senso e sia giusto .
Comunque credo che sulla spiaggia di Bali l'incontro con la giovane donna balinese in quella che mi sembrava più che una "preghiera" un tentativo di "naturalizzazione", cioè un tentativo non so se riuscito di assorbimento e armonizzazione totale nella natura , in questo caso nelle forme del Mare Oceano, mi abbia veramente "illuminato" sul paganesimo. Credo cioè non di aver capito, ma di aver intuito cosa era ed è per un "pagano" vivere e morire nel mondo: un'esperienza di totale immersione e identificazione nella natura, un modo di concepire e praticare la "realtà" totalizzante e non separatistico. Non credo nemmeno che siano utili le nostre categorie schizofreniche di "mente" e "corpo" perché probabilmente, se esistono pure a Bali e in Indonesia, esse sono completamente diverse da noi e non concettualmente integrabili nell'approccio olistico e naturalistico dei nativi.

Cammino lungo la via principale di Bali che costeggia l'Oceano. Ormai mi è impossibile mimetizzarmi. Mi conoscono e mi riconoscono tutti. Non riesco a comprendere come sia possibile nutrire sentimenti razzistici nei confronti di gente che ti sorride continuamente e allegramente. Ma qui, a quanto pare, sono uno dei pochissimi tra i "Noi" che si fermano, discutono e sorridono con "Loro" in mezzo a "Loro". Risulta pure difficile a me crederci e raccontarlo, però qui il razzismo è veramente qualcosa che per la sua assurdità e pervasività lascia stupiti e increduli.
Non voglio dare lezioni, ma veramente il razzista è uno che per la sua stupidità e chiusura mentale non solo è un pericolo pubblico per sé e per gli altri, ma non si rende nemmeno conto del mondo fantastico che si perde col suo atteggiamento .
Una volta che ci si è sintonizzati sulla giusta lunghezza d'onda dei balinesi, si viene subito ammessi in un mondo completamente diverso dal tuo, che però ti pare e forse è un posto in cui finalmente hai ritrovato una dimensione naturale e dove la tua anima ti pare in qualche modo più vicina alla Comunità Assoluta.
Non sono un esperto di antropologia e di religioni ma veramente capisco sempre meno, anzi non capisco affatto quegli imbecilli che, avendo paura della loro ombra e persuasi della loro pretesa superiorità occidentale, se ne vanno in giro, anche tra i pochissimi connazionali oltre ai tantissimi australiani, con l'unico scopo di rafforzare la propria debolissima identità, calpestando quella degli altri. Potrei raccontare centinaia di episodi del genere visti e vissuti in Indonesia. Eppure , malgrado ciò , "Loro "sopportano "noi", ci tollerano e quante volte mi sono sentito sprofondare sotto terra dalla vergogna perché "Loro" venivano da me ("noi"?) per raccontare e trovare in me ("noi") un interlocutore di quell'altro mondo che gli desse qualche plausibile spiegazione di quegli episodi indegni e inspiegabili! Sono morto dalla vergogna e dal dolore eppure hanno continuato a darmi un'immensa fiducia e hanno continuato a sorridermi come a uno di "Loro" in mezzo a "Loro".

Alla fine delle mie deambulazioni , sono solito fermarmi per mangiare a un ristorante sull'Oceano in stile balinese-indonesiano con commistioni occidentali. Lo gestiscono dei ragazzi e delle ragazze indonesiane che sembrano, malgrado i guai e i problemi dell'Indonesia, il ritratto della Gioia e dell'Armonia universale. I clienti sono per lo più indonesiani. Ormai mi conoscono tutti anche qui. Negli ultimi anni la politica internazionale ha inasprito i toni contro l'Indonesia e pure la propaganda. E allora un indonesiano musulmano appartenente alla ricca borghesia nazionale si sente in dovere di approfittare del momento per mettere in difficoltà un europeo isolato che poi sarebbe lo scrivente. Sinceramente non è che ho gioito quando mi sono visto apostrofare in pubblico, essendo l'unico figlio del Grande Occidente in quel momento e in quella sede, ma neanche mi sono perso d'animo e ho reagito prontamente, rispedendo al mittente le cretinerie del borghese musulmano. Ma non ho neanche finito di rispondergli per le rime che i ragazzi e le ragazze che gestiscono il ristorante, spalleggiati e sostenuti da sguardi di freddo disappunto da parte dei clienti indonesiani, si sono precipitosamente avvicinati al borghese musulmano per strappare le posate a lui e alla sua famigliola e zittirlo.
Mi sono sentito in dovere di intervenire per non inasprire ulteriormente il linciaggio morale a cui veniva sottoposto insieme alla sua malcapitata famigliola.
Mi sono avvicinato al borghese per stringergli la mano e difenderlo da quello che ormai stava diventando per lui e la sua famigliola uno scivoloso e pericolo incidente di percorso oltre che diplomatico. E anche questa è Indonesia!

Tags: viaggio, indonesia, intercultura, paganesimo, occidente


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 Emanuela Cerutti    - 22-05-2009
Torna alla mente Pessoa:

[..]Viaggiare? Per viaggiare basta esistere.
Passo di giorno in giorno come di stazione in stazione,
nel treno del mio corpo, o nel mio destino,
affacciato sulle strade e sulle piazze,
sui gesti e sui volti, sempre uguali e sempre diversi
come in fondo sono i paesaggi.[..]

[..]La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo non è ciò vediamo, ma ciò che siamo.[..]


E la narrazione diventa storia, a più voci. Storie, che a volte possono intrecciarsi anzichè combattersi.