Istruzione e formazione nell’istituto professionale: da Frosinone un appello
Enrico Bruno - 18-09-2002
Istruzione e formazione nell’istituto professionale


Quale valore assegnare alla istruzione professionale in questo determinato momento storico in cui si avanzano proposte di riforma della “formazione” professionale? Ha senso ancora parlare di istruzione? In quale accezione considerare la parola formazione?
Senza volere qui scendere sul valore e sul significato dei termini, sui quali sono state scritte innumerevoli pagine da pedagogisti e scienziati dell’educazione nel tentativo di dare una risposta definitiva ai rapporti tra istruzione, educazione e formazione, mi sembra opportuno compiere una necessaria premessa.
Nella presentazione del cosiddetto “Progetto 92”, che rappresenta l’attuale normativa di riferimento dell’istruzione professionale (Supplemento alla G.U. del 21.5.92), là dove si presenta l’impianto dell’area comune del biennio si legge testualmente «…La sintesi delle due esigenze (aspetti strumentali del sapere e completamento degli aspetti culturali in vista del proseguimento degli studi, ndr) corrisponde all’obiettivo di una condizione formativa generale dell’uomo, del cittadino e del lavoratore, che si pone come domanda fondamentale dell’educazione e come diritto costituzionalmente garantito». E più avanti «…I presenti programmi pongono prospettive di elevazione della dignità culturale del biennio e di adeguamento alle nuove esigenze che emergono dal mondo produttivo».
I punti prima riportati sembrano inequivocabilmente accettare due condizioni:
-la prima è che non si può pensare a una istruzione che non sia anche educativa. Non è infatti possibile la pura e semplice acquisizione, il più o meno meccanico apprendimento di conoscenze dal valore funzionale, senza attivare energie intellettuali, spinte emotive, valori morali. I risultati conseguiti dalla psicologia educativa negli ultimi decenni del secolo scorso hanno portato la scuola a puntare l’attenzione sull’apprendimento che, nella accezione di “apprendimento formativo” è in grado di realizzare il difficile ma possibile equilibrio nel rapporto tra educazione ed istruzione. Ma l’apprendimento scolastico non può avvenire in un ambiente asettico; se è scolastico, nel senso che non può fare a meno dell’ambiente “scuola” e della comunità che in essa si realizza, deve avvenire in un “ambiente educativo di apprendimento”, nel senso di un ambiente finalizzato alla convivenza e all’accettazione dei principi del rispetto e della solidarietà. In tale ambiente si tende a realizzare un’alfabetizzazione culturale consistente in una cognitività strutturale in cui si ritrovano tutti i fondamentali tipi di linguaggio, i quadri concettuali le abilità e le tecniche di indagine essenziali alla comprensione del mondo circostante. E’ la scuola che insegna ad imparare, dove l’apprendere ad apprendere è finalizzato alla costruzione delle capacità di pensiero riflesso e critico.
-La seconda condizione è quella del tentativo della scuola di adeguarsi alle nuove esigenze del mondo produttivo.
Una scuola che educa e forma, nel senso che mira ai processi di formazione umana, culturale e sociale delle nuove generazioni non si oppone e non è alternativa a una scuola che professionalizza e che dà strumenti di accesso al mercato del lavoro. E’ l’istruzione professionale nella quale operiamo quotidianamente come dirigenti, personale docente e non. E’ la scuola che si è andata lentamente strutturando ( i processi di cambiamento nella scuola hanno bisogno di tempo) a partire dalla riforma della scuola media nel 1962, allorché le mutate esigenze del lavoro (erano gli anni del boom economico e dell’imponente processo di industrializzazione del nostro paese) fecero maturare la convinzione della necessità di superare i due canali dell’istruzione, la scuola media che consentiva l’accesso alle scuole superiori e la continuazione degli studi a livello universitario e la scuola di avviamento professionale, che era mirata all’inserimento immediato nel mondo produttivo.
Senza entrare, a questo punto, nel merito della questione, mi limito ad osservare che tale svolta era appoggiata o ispirata dalle esigenze di un mercato del lavoro che richiedeva un diffuso livello di alfabetizzazione, superiore a quello elementare, con una preparazione di base che consentisse alle aziende di perfezionare “in loco” le abilità professionali, secondo le necessità produttive.
Dobbiamo allora chiederci ( a fronte di una probabile riforma) se queste esigenze, a distanza di quarant’anni, sono mutate. Direi proprio di no! Anzi esse si sono accentuate. A fronte delle straordinarie e veloci trasformazioni della società e del mondo della produzione, del moltiplicarsi delle conoscenze e della rapida obsolescenza delle cognizioni specifiche, alla scuola viene richiesto di formare giovani capaci di imparare in modo autonomo. La formazione richiesta non può essere limitata alla maturazione di specifiche competenze. Un mercato del lavoro definito globalizzato, ed in cui forte è la richiesta di flessibilità, chiede al sistema formativo giovani che abbiano un sicuro possesso di competenze di base e trasversali; le competenze specifiche possono essere acquisite mediante percorsi certificati di breve durata, che possono essere gestiti da varie “agenzie formative”, tra cui anche la scuola. L’apprendere ad apprendere, che la cultura pedagogica di ispirazione bruneriana, ha imposto come necessità per il nostro sistema scolastico, non solo non ha perso vigore, ma si impone come necessità.
Vorrei chiudere queste brevi note riportando le parole scritte dal Prof. Guido Giugni, già Ispettore centrale presso il M.della P.I.; sono parole datate, nel senso che hanno quasi trenta anni, ma che conservano una loro attualità, considerato che il mondo produttivo, in questo lasso di tempo, ha accentuato il suo carattere dominante, quello della continua trasformazione:
«Si è consolidata nel tempo l’idea della necessità, per il nostro tempo, di una scuola unica e differenziata. Unica in quanto attua per ogni alunno lo stesso compito, lo sviluppo integrale della personalità in funzione sociale; differenziata in quanto si adatta all’originalità di ogni singolo in modo che a nessuno sia inibito di partecipare ad una vita sociale aperta e a un mondo produttivo in continua trasformazione ed ognuno possa parteciparvi nella pienezza delle forze proprie, ossia delle sue reali possibilità e competenze» ( Pedagogia della scuola, Le Monnier 1974).

Enrico Bruno
Dirigente scolastico IPSIA “G. Nicolucci”
Isola del Liri


Proposta di documento dei Dirigenti scolastici dell’istruzione professionale della provincia di Frosinone

I Dirigenti scolastici degli Istituti Professionali di Stato della Provincia di Frosinone, hanno valutato la proposta di legge Delega per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, in particolare per la parte riguardante l’istruzione professionale. Tale proposta prevede un percorso educativo che si articola, nel secondo ciclo, in un sistema di licei di cinque anni e in un sistema di istruzione e formazione professionale, quadriennale e senza esame di stato conclusivo; inoltre, la formazione dai 15 ai 18 anni può essere svolta oltre che sotto la responsabilità di un’istituzione scolastica anche di un ente di formazione ed in alternanza con il lavoro.
Si esprimono forti perplessità sul progetto di riforma, in quanto si separa dal sistema scolastico unitario nazionale l’attuale canale orientato sulla professionalità e si corre il rischio di appiattire l’istruzione professionale sull’attuale sistema di formazione regionale ineguale sul territorio nazionale ed in alcuni casi inesistente o gravemente in crisi.
I dirigenti si dichiarano, infatti, convinti che
Ø i saperi si accrescono a ritmo vertiginoso, per cui alla scuola si chiede non tanto di trasmettere contenuti, quanto di insegnare ad apprendere in modo che ognuno possa in modo continuo arricchire la propria formazione;
Ø le esigenze dell’attuale mercato del lavoro non richiedono alla scuola una formazione estremamente specialistica, destinata ad invecchiare precocemente;
Ø i fabbisogni formativi delle imprese relativi a profili di professionalità specifici possono e debbono essere soddisfatti da brevi percorsi di addestramento e/o da medi o lunghi periodi di formazione paralleli o successivi a quelli dell’istruzione;
Ø un sistema educativo deve garantire a tutti un nucleo centrale ed ampio di istruzione che possa garantire a tutti uguali opportunità per una formazione integrale.
Inoltre, essi mettono in evidenza il rischio che si compia una scelta che porti completamente a rinnegare quanto fino ad oggi è stato costruito proprio nel campo della educazione volta ai saperi tecnici e professionali, recentemente rinnovata dagli spazi aperti dall’autonomia e centrata sull’integrazione di soggetti diversi e con esperienze, strutture e finalità specifiche e si interrompa un processo di miglioramento e di crescita per il quale il confronto con il mondo del lavoro e con la formazione ha dato un contributo determinante.
Quando, infatti, nel 1962 si unificarono la scuola media, unico canale per gli studi liceali, e la scuola di avviamento professionale, si cercò di rispondere alla necessità di formare persone in grado di inserirsi in una società che si evolveva dal punto di vista economico sociale e aveva bisogno di soggetti in grado di orientarsi con maggiore consapevolezza di fronte ai nuovi sistemi mutevoli e complessi. I risultati ottenuti hanno consentito al sistema Italia di collocarsi tra i Paesi più avanzati al mondo da un punto di vista economico.
I dirigenti scolastici tengono a sottolineare, comunque, che l’attuale sistema dell’istruzione professionale può essere migliorato sia attraverso aggiustamenti consentiti dalla flessibilità organizzativa concessa dalla legge sull’autonomia che da un’impostazione complessiva che porti a superare alcune attuali difficoltà (monte ore complessivo, terza area, ecc.) e a rafforzare la sua capacità progettuale e organizzativa di rispondere alle esigenze del territorio e del mondo del lavoro, ma sostengono la necessità di ripensare l’impostazione del disegno di legge delega per un modello che riconoscendo le funzioni complementari dell’ istruzione e della formazione, coniughi il sapere e il saper fare e consenta di arrivare a quel saper essere che rappresenta l’unico e irripetibile modo di vivere la propria esistenza con coscienza, convinzione e capacità di compiere scelte autonome.

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