Scuola: stato o mercato?
Omero Sala - 21-02-2009
Il sistema formativo disgregato

Stiamo assistendo ad uno scontro fra politici e tecnici sulla questione del tempo-scuola. La diatriba è sia sul quanto (numero di ore di lezione), sia sul quando (mattino o pomeriggio).
Sul quanto i politici cercano di tagliare, riducendo le ore settimanali di lezione a 24; mentre i tecnici, e cioè gli esperti e gli addetti ai lavori (pedagogisti e insegnanti), ritengono il numero delle ore di insegnamento insufficiente a svolgere il programma e puntano a salvaguardare le 30 ore di lezione.
Sul quando - e cioè sul problema della articolazione dell'orario settimanale - i politici sono per le lezioni antimeridiane (ecco la ragione delle 24 ore settimanali, che possono essere collocate tutte in sei mattine e affidate ad un unico insegnante!): da veri liberisti, vogliono liberare i pomeriggi dall'obbligo ed incoraggiare (o scatenare) il sistema formativo allargato, la libertà di scelta della famiglia, la concorrenza, il libero mercato dei corsi a pagamento, la fiera del loisir,... Quasi tutti i tecnici invece sono statalisti-istituzionalisti, sostenitori del sistema formativo integrato e del ruolo centrale della scuola pubblica, responsabile della istruzione democratica, garante della uguaglianza delle opportunità, autonoma nel decidere la quantità, la qualità e la articolazione organizzativa dell'offerta formativa.
Vediamo nel dettaglio le due opposte posizioni. E proviamo anche a decifrare il substrato culturale e politico che ispira gli antagonisti.

IL PARTITO DEI LIBERISTI, si è detto, vuole ridurre le ore obbligatorie in modo da poterle collocare al mattino, riservando eventuali attività opzionali nel pomeriggio. La proposta si basa su due essenziali argomenti (se si vuole ignorare il non-argomento del risparmio che pare essere l'unico che ispira l'azione del trio Berlusconi-Tremonti-Gelmini):

1. Il primo argomento è quello che proclama la libertà di scelta della famiglia, dei genitori, primi responsabili dell'educazione dei figli, delle scelte formative, dell'organizzazione della giornata, della valutazione delle offerte educative (scolastiche ed extrascolastiche).

2. Il secondo argomento è quello della efficienza organizzativa in funzione della quale si sostiene che le 24 ore obbligatorie collocate nelle sei mattinate strutturano per tutti, insegnanti ed alunni, un orario semplice, comodo, compatto, ordinato, razionale; e la organizzazione di eventuali lezioni opzionali nei pomeriggi consente a chi non le gradisce di starsene a casa (o di frequentare altri luoghi di aggregazione, di coltivare altri interessi, di studiare, di compiere scelte alternative); e a chi le gradisce di godere di una mensa e di uno scuolabus meno gremiti, di laboratori poco affollati e perciò più produttivi, ... I liberisti sono sostanzialente per un sistema formativo allargato che si configura come un mercato, con un insieme di iniziative e di servizi ai quali ognuno può liberamente rivolgersi per soddisfare le sue particolari e diverse esigenze culturali e di tempo libero.
La loro posizione, apparentemente liberale, si riduce però ad essere una sostanziale accettazione della situazione esistente che:
- da una parte, sul versante dell'offerta, difende il mercato, legittima il ruolo delle diverse agenzie senza entrare nel merito della qualità delle proposte; accetta il parallelismo frammentaristico, l'affiancamento sommativo, la concorrenza libera, il mercato selvaggio, i fini di lucro, gli accaparramenti di clienti, ... e, se si sviluppano, i trust e i monopoli...;
- dall'altra, sul versante della domanda, presume nell'utenza capacità di arbitraggio che non sempre sussistono (soprattutto se si tien conto che la cultura del tempo libero è organizzata appunto come un mercato, come una grande fiera del loisir che si muove sotto l'influsso della cultura di massa, persegue obiettivi consumistici, si nutre di valori enfatizzati e - per ovvie ragioni - vede l'affermarsi più che altro di agenzie che sanno proporsi o imporsi, che sono brave a solleticare e convincere, che hanno mezzi per farsi conoscere, ... e poco o male si occupano e si preoccupano degli aspetti formativi).

IL PARTITO DEGLI ISTITUZIONALISTI invece, quello degli "statalisti", vorrebbe mantenere l'orario delle lezioni sulle trenta ore, articolandolo in attività obbligatorie e in laboratori opzionali, possibilmente non facoltativi (proponendo agli alunni un ampio ventaglio di scelta fra attività varie con una connotazione spiccatamente "ri-creativa").
I ragionamenti a sostegno di questa posizione sono più complessi di quelli addotti dai liberisti.

1. Un argomento è quello della efficienza organizzativa in funzione della quale si sostiene che la scelta generalizzata per le 30 ore consente, essendo gli alunni tutti e sempre presenti, di alternare le ore curricolari con quelle opzionali e di distribuire con equilibrio le attività sia nei diversi giorni della settimana che nelle diverse fasce orarie, evitando di assegnare ad alcune materie (italiano e matematica) il privilegio della prima fascia oraria e di dare la connotazione di secondarietà o di superfluità ad altre discipline (immagine, musica, motoria,...). La maggiore flessibilità organizzativa e l'articolazione libera dell'orario (senza collocazioni obbligate) permettono inoltre di sfruttare in pieno gli spazi e le attrezzature, di distribuire le compresenze in funzione delle esigenze degli alunni, di rispettare i carichi cognitivi e garantire tempi distesi di apprendimento e di socializzazione; mentre, al contrario, l'eterogeneità delle scelte proposta dai liberisti pone problemi organizzativi non indifferenti che condizionano la formazione delle classi o dei gruppi (scarsamente funzionali, poco equilibrati, non stabili,....), vincolano la definizione degli orari, costringono l'organizzazione dei laboratori in contemporanea (tutti nei pomeriggi) per un numero elevato di gruppi, con conseguenti problemi logistici e di funzionalità, ...;

2. Un secondo argomento è quello della qualità della didattica, meglio garantita da un orario più disteso che:
- risolve i problemi legati alla proliferazione delle discipline e l'intensificarsi delle proposte che si affollano ai margini del curricolo tradizionale (e costringono a sottrarre le ore riservate alle singole materie, a ritagliare tempi per far spazio alle emergenze, a ridurre il programma prefissato o ad accelerarne lo svolgimento,...);
- aiuta a superare gli intoppi riconducibili alla complessità epistemologica che caratterizza ogni disciplina (che ci impone metodologie e procedimenti articolati);
- offre l'opportunità di diluire i contenuti disciplinari in tempi di riflessione più distesi;
- soddisfa l'esigenza di stabilire connessioni interdisciplinari (per evitare la compartimentazione delle conoscenze che sclerotizza l'intelligenza delle cose, inceppa la capacità di giudizio e compromette l'equilibrio fra il sapere e l'essere)

3. Il terzo argomento è quello della maggiore efficacia educativa consentita se gli insegnanti, oltre che "somministrare" la loro materia, trovano il tempo per:
- tenere nella dovuta considerazione il disorientamento causato ai nostri ragazzi dall'ipertrofico universo mediatico;
- sanare almeno in parte la dicotomia fra scuola ed extrascuola (che appaiono realtà spesso troppo distanti fra loro) e superare la conseguente difficoltà che la scuola incontra nell'aiutare i suoi utenti a decifrare una realtà estremamente complessa ed in continua evoluzione;
- rispondere meglio alla dilatazione degli interessi dei nostri ragazzi (che ci interrogano su mille problemi, esprimono mille curiosità, invocano certezze intellettuali e riferimenti culturali,...);
- capire, con una frequentazione meno ossessionata dal programma, gli smarrimenti esistenziali di una generazione disorientata dalla eterogeneità dei riferimenti e incerta fra l'adesione ai valori suggeriti dagli educatori e la seduttività dei modelli proposti dal contesto sociale;
- appagare il bisogno, presente sia negli educatori che negli educandi, di instaurare una relazione meno frenetica e di coltivare un rapporto affettivo che valorizza e potenzia quello educativo: la "simpatia" fra gli interlocutori infatti decuplica la disponibilità alla comunicazione, accende la voglia di apprendere, apre il cuore e la mente, sprigiona la voglia di ascoltare e potenzia i livelli di comprensione (tutti sappiamo che l'interesse è regolatore di energia e che una materia diventa interessante se chi la propone sa conquistare la simpatia) 4. Il quarto argomento è quello che tocca la libertà di scelta della famiglia, prima responsabile dell'educazione dei figli, delle scelte formative, dell'organizzazione della giornata.
Questa libertà è indiscutibile. Ma chi la esalta, in questo momento e su queste questioni, non sa, o fa finta di non sapere, che oggi la famiglia si trova spesso in una condizione di apparente libertà, limitata da problemi concreti di reddito, da vincoli di tempo, di orari, di impegni di lavoro; o influenzata da condizionamenti sociali, suggestioni consumistiche, mode; o plagiata da profferte affascinanti quanto inconsistenti. Tutti sappiamo che la varietà di proposte che il mercato offre, con le pressioni che conosciamo, provoca confusione e determina talvolta scelte casuali o legate a pregiudizi o motivate da ragioni non specificamente educative,... E non vi è libertà di scelta se le tasche sono vuote e le merci sono rare o esose. (la ministra dell'istruzione, invitando i genitori a fare meno ore a scuola per aderire a proposte alternative, assomiglia al capo del governo che invita le massaie, allarmate per il caro-vita, a cercare punti di vendita con prezzi concorrenziali).

5. Il quinto argomento è quello della uguaglianza delle opportunità: chi l'ha a cuore sa che questa uguaglianza, sancita dalla Costituzione, può realizzarsi solo nella scuola pubblica, luogo sociale per eccellenza nel quale tutti confluiscono, convivono e si confrontano (costruendo relazioni di scambio); luogo diverso dagli altri luoghi di aggregazione (palestre, scuole di musica o di danza, oratori, internet,...) nei quali si consolidano quasi sempre relazioni di appartenenza (fra chi li frequenta) e di esclusione (per chi è "fuori").

IL RUOLO DELLA SCUOLA PUBBLICA, mi sembra evidente, non può che essere centrale nel sempre più vasto panorama del sistema formativo; e insostituibile, ineguagliabile, ineludibile.
Questo per ragioni storiche, per ragioni logistiche (la scuola è, fra le istituzioni educative, l'unica diffusa capillarmente sul territorio), per ragioni democratiche (in quanto la scuola è l'unica fra le istituzioni pubbliche dotata di una struttura organizzativa che prevede la gestione partecipata di operatori scolastici e genitori), per ragioni istituzionali (la scuola è l'unica fra le agenzie educative che ha per definizione il compito esclusivo di formare l'uomo e il cittadino, di promuovere la prima alfabetizzazione culturale, di sviluppare la personalità, rimuovendo gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana, di porre le premesse all'esercizio del dirittodovere di partecipare alla vita sociale e di svolgere una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società).
Assumere un ruolo centrale non significa egemonizzare l'educazione, pretenderne l'esclusiva, detenere e difendere il monopolio, lasciarsi ispirare da ossessioni di controllo totale e da deliri di onnipotenza e onnipresenza; ma significa assumere la funzione di polarizzazione, di richiamo e coordinamento, di aggregazione e sollecitazione di tutte le attività educative del contesto culturale; significa controllare i processi di trasformazione (non subirli), imparare ad interpretarli, a gestirli con consapevole responsabilità.
La scuola pubblica può sicuramente essere affiancata da altre agenzie, ma deve mantenere il suo protagonismo, aiutare i genitori a scegliere, assumere una funzione di coordinamento di tutte le esperienze educative dell'alunno. L'aula infatti, come ben sanno tutti gli insegnanti attenti alla "vita" dei loro alunni, è il naturale bacino in cui convergono tutte le esperienze esistenziali che in classe possono essere ripensate, confrontate, drenate, filtrate; e nel rapporto educativo possono trovar modo di sedimentarsi e costituire strato sostanziale. L'aula è il luogo in cui si esprimono bisogni, si formalizzano richieste, si creano movimenti, si formalizzano giudizi, si confrontano idee, si maturano convinzioni, si affinano sentimenti, si esprimono emozioni, ci si apre e si cresce.
Gli statalisti-istituzionalisti, che ad alcuni potrebbero apparire totalitari, sono essenzialente per un sistema formativo integrato nel quale si dà spazio ad una concezione pedagogico-sociale esplicitamente culturale che disegna un progetto organico attento alla qualità delle proposte, alla uguaglianza delle opportunità e alle interconnesioni armoniche: L'attenzione alla qualità delle proposte pone il problema della legittimazione pedagogica: se anche nel settore educativo e del tempo libero la logica di produzione è il profitto, si può dubitare della qualità educativa; e diventa superfluo credere o non credere nella capacità degli utenti di scegliere un itinerario educativo nei labirinti delle proposte.
L'attenzione alla uguaglianza delle opportunità pone il problema della legittimazione istituzionale: se le pubbliche istituzioni si defilano, si riduce il controllo sociale sui processi formativi; solo un controllo e una programmazione pubblica possono invece consentire il perseguimento dell'obiettivo della uguaglianza delle opportunità; contro un sistema in cui le condizioni socio-economiche e culturali delle famiglie determineranno inesorabilmente percorsi formativi di diversa qualità, di differente durata, di diseguale velocità; contro un sistema in cui gli educatori capaci di progettualità, di continuità e di permanenza saranno (come già sono!) marginalizzati dal mercato.
L'attenzione alle interconnessioni pone il problema della legittimazione sociale: se prevale la logica di mercato, si determinano conflitti e collisioni, concorrenza e sovrapposizioni, caos e frastornanti confusioni, come in un universale paese dei balocchi; la prospettiva invece deve essere quella ecologica che persegue sinergie e non disgregazioni, sollecitazioni e non concorrenza, coordinamento e non confusione, polarizzazione e non frantumazione.
Una scuola che non vuole perdere il treno deve essere in grado di conoscere le richieste esplicite e comprendere i bisogni inespressi dei suoi utenti, deve saper valutare le opportunità di azione, le risorse economiche, gli spazi normativi, le condizioni sociali e ambientali.
E deve essere capace di definire STRATEGIE (non finalità astratte, ma obiettivi e linee di azione perseguibili con le risorse a disposizione), di individuare alleanze e partner per valutare forme di collaborazione (se le finalità sono convergenti o integrabili), per stabilire collegamenti (se le finalità sono complementari), per misurarsi in sfide di qualità (se le iniziative esterne sono in concorrenza con quelle istituzionali).
E deve - ovviamente - diventare il centro promotore (non necessariamente attore) delle attività educative e culturali in genere, assumendosi in prima persona il difficile ma ineludibile compito di rispondere a sollecitazioni di apertura, di recepire le istanze ambientali anche contraddittorie, di contrastare pressioni concorrenti, di aprirsi alla compartecipazione,... e ricercare nello stesso tempo una razionalizzazione del servizio, l'efficienza, la funzionalità,... e proporsi come arbitro in una situazione che sta assumendo aspetti caotici.

L'autonomia della scuola "non é già un'indifferente neutralità nei confronti della vita dell'ambiente, ma al contrario, si fonda su un positivo processo di assorbimento del contenuto della vita sociale; ... quanto più la scuola fa suo il contenuto dell'esistenza sociale, tanto più l'educazione che essa realizza si libera dall'influenza di questa; ... da ente che stabilizzava gli esistenti rapporti sociali, la scuola diventa strumento della trasformazione sociale." (Hessen, 1939)

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