Staccare dall’istruzione le scuole professionali significa togliere una chance “educativa” a tanti giovani che rifiutano la scuola. I risultati di due indagini nel Lazio dimostrano che rimotivare allo studio funziona
Nella discussione sul disegno di legge delega sulla riforma del sistema educativo forti riserve sono state espresse, da più parti, sulla costituzione di un percorso di istruzione e formazione professionale nettamente distinto e alternativo al percorso di istruzione dei licei. Tutti i percorsi di istruzione degli attuali istituti professionali sarebbero ridotti a 4 anni, non si concluderebbero con un esame di stato, potrebbero essere seguiti anche in alternanza scuola-lavoro e andrebbero a costituire un unico sistema, insieme ai percorsi della formazione professionale regionale. Una delle ragioni portate a sostegno di un sistema incentrato su percorsi orientati al lavoro e nettamente distinto dai percorsi liceali è individuata nella scarsa motivazione allo studio di una rilevante parte dei giovani che sarebbe orientata al lavoro e poco interessata o non in grado di seguire percorsi con prevalente o esclusivo carattere culturale. Questa caratteristica, considerata già definitivamente acquisita alla conclusione dell’attuale scuola di base, spiegherebbe gli insuccessi e gli abbandoni che segnano la storia scolastica di un gran numero di studenti e studentesse e spingerebbe a costruire percorsi che rinuncino a far conseguire quegli obiettivi formativi che “non sono alla portata di tutti” e che sono invece indirizzati a favorire un rapido ed efficace inserimento nel mondo del lavoro.
La rinuncia della Moratti
La scelta che si vuole operare parte quindi da una rinuncia. È inutile, non è economico, è sbagliato tentare di perseguire insieme apprendimenti acquisibili attraverso l’operatività e finalizzati a specifiche professionalità e apprendimenti di contenuti ed acquisizione di competenze di carattere trasversale e di base, funzionali a successivi e più ampi apprendimenti nello studio, sul lavoro e lungo l’intero arco della vita e non, almeno immediatamente, spendibili nel lavoro.
Se tale rinuncia si deve fare è questione che attiene alle finalità che il paese intende attribuire al sistema educativo di istruzione e formazione per rispondere ai bisogni dei cittadini e della società. Anche in riferimento a quanto ha detto e continua a dire l’Europa sulla società della conoscenza e sui suoi effetti sulla coesione sociale e sui diritti dei cittadini. È quindi una scelta di carattere politico oltre che tecnico con rilevanti conseguenze sul futuro delle prossime generazioni per quanto riguarda sia l’uguaglianza delle opportunità per tutti i cittadini sia le prospettive di mobilità sociale. Attiene inoltre alla considerazione di quali siano e di quale livello debbano essere le conoscenze, le competenze e le capacità necessarie all’esercizio di una piena cittadinanza. Da questo punto di vista il problema riguarda tutti i cittadini e non soltanto gli addetti ai lavori della scuola e del sistema della formazione.
L’obbligo all’istruzione è davvero inefficace?
È interessante invece, in particolare per gli operatori della scuola secondaria superiore, discutere sull’assunto di partenza relativo alla presunta inefficacia e quindi inutilità di un sistema unitario di istruzione che si misuri sia con le motivazioni e le autorappresentazioni del futuro dei giovani sia con le capacità di apprendere e con il livello di competenze che possiedono al momento dell’ingresso nella scuola superiore. L’autonomia scolastica e l’assegnazione ad ogni singola scuola del compito di favorire il successo scolastico per ognuno ed ognuna degli
studenti e delle studentesse ha messo in moto un processo di trasformazione delle scuole ed anche degli istituti professionali che ha prodotto ricerche e risultati interessanti. Una discussione che non si misurasse con la realtà dei risultati scolastici degli studenti che frequentano l’attuale segmento del sistema di istruzione rappresentato dagli istituti professionali e con le esperienze fatte ed i loro esiti, sarebbe astratta ed ideologica e rischierebbe di non portare alcun contributo di merito. Relativamente alla dispersione scolastica un contributo importante di ricerca sulle esperienze delle scuole è rappresentato dall’indagine effettuata dal Cirses
(1) su commissione dell’Ispettorato per l’educazione fisica e sportiva, pubblicata nel novembre 2000. Il prosieguo della ricerca (fase Il — gli interventi finalizzati al recupero) ha coinvolto, nel corso del 2001, 5 istituti di scuola secondaria superiore del Lazio
(2). Uno dei punti di partenza adottato nella ricerca, finalizzata a sperimentare interventi per la riduzione della dispersione scolastica e l’innalzamento del successo, è stata l’analisi delle condizioni di ingresso degli alunni ritenute decisive per la progettazione degli interventi didattici. In questo caso all’autonomia è stato attribuito il significato di assunzione di responsabilità rispetto ai risultati e di utilizzo delle risorse e degli spazi consentiti dall’autonomia didattica, organizzativa e di ricerca per realizzare percorsi coerenti all’obiettivo della riduzione degli esiti negativi attraverso l’individualizzazione degli interventi didattici e la personalizzazione dei percorsi stessi.
Una ricerca effettuata nella provincia di Frosinone, nel 2000 e nel 2001, sugli alunni in obbligo scolastico e formativo ha mostrato che il 15% degli alunni, per i due terzi maschi, adempie all’obbligo scolastico senza uscire dalla scuola media avendo uno o più anni di ritardo. L’istituto professionale per l’industria e l’artigianato nel quale chi scrive svolge la funzione di dirigente scolastico ha realizzato negli ultimi anni un’anali-
si della situazione nelle classi prime relativamente all’età ed ai percorsi precedenti. Alcuni dati, non dissimili da quelli di altri istituti professionali, mostrano come accedano ai percorsi scolastici alte percentuali di alunni con le caratteristiche prima richiamate. Dei 201 alunni della scuola media che si sono iscritti al primo anno per l’a.s. 2002/2003, il 3 8,3% è in ritardo per precedenti insuccessi; un quinto di questi è in ritardo di due o tre anni. Non tutti gli iscritti frequenteranno la classe prima; i dati dei due anni precedenti hanno mostrato che il 9,2% (2000) e il 7,4% (2001) non supera l’esame di terza media. Nelle classi prime troveranno i non promossi dell’anno precedente della stessa scuola e di altre scuole. Nei due anni precedenti i ripetenti hanno rappresentato il 25,8% (2000/01) e il 23,2% (2001/2002) del totale degli iscritti. Insieme i fenomeni delle ripetenze e dei ritardi pregressi determinano una presenza media nelle classi prime di oltre il 50% di alunni non in obbligo scolastico (52,3% nel 2000/01 e 50,9% nel 2001/2002). Si tratta di valori medi che per alcuni indirizzi della scuola ed in particolare per quello meccanico e per quello elettrico-elettronico superano il 60%.
Questi dati sono esemplificativi di come all’istruzione professionale si rivolga una utenza i cui livelli di competenza in ingresso sono scadenti, scarsamente motivata allo studio e spesso con difficoltà non solo di tipo cognitivo. È, inoltre, un dato oggettivo che in Italia gli alunni in situazione di handicap scelgono in prevalenza l’adempimento dell’obbligo scolastico e dell’obbligo formativo nei percorsi degli istituti professionali.
La funzione educativa degli istituti professionali Questa tipologia di alunni trova negli istituti professionali un’organizzazione della didattica indirizzata, ormai da molti anni e con più determinazione oggi, al recupero e al riorientamento. L’impianto didattico e pedagogico consente - e lo dimostrano gli indici di conservazione (rapporto fra le popolazioni in uscita, alla qualifica ed al diploma, e quelle in ingresso) - che molti degli alunni che entrano con ritardi accumulati riescono a concludere con successo i percorsi trovando motivazione personale e costruendo una specifica identità professionale e culturale. Le ammissioni alle seconde classi analizzate in rapporto ai ritardi precedenti, pur confermando come l’esistenza di precedenti esperienze di insuccesso renda più probabile un nuovo insuccesso,mostrano che gli interventi attuati negli istituti professionali per compensare le carenze di base e recuperare le competenze necessarie alla prosecuzione degli studi siano efficaci e garantiscano significative percentuali di successo anche agli alunni con difficoltà di apprendimento. Una analisi condotta sulla composizione per età degli alunni qualificati e diplomati negli anni 1998/99, 1999/00, 2000/01 mostra che più della metà degli alunni acquisisce la qualifica con un anno di ritardo (31,4%) o con due o più anni di ritardo (23,%) e poco meno della metà arriva al diploma con ritardo (29,4% di un anno e 18,6% di due o più anni).
Questi dati, relativi ad una scuola, ma certamente generalizzabili ad altre della stessa tipologia e con una utenza confrontabile, mostrano come gli istituti professionali abbiano svolto e svolgano un ruolo di forte compensazione delle disuguaglianze culturali che esistono al termine del-. la scuola di base garantendo un. incremento delle percentuali di raggiungimento di titoli di studio secondari ed un avvicinamento alla medie europee.
Per un sistema che vede ormai la quasi totalità dei giovani accedere alla scuola secondaria superiore.il raggiungimento.degli standard europei sulla percentuale di giovani diplomati per età può avvenire solo attraverso la riduzione dei fenomeni di dispersione e l’accettazione di
• quanto è necessario fare per aumentare il numero di alunni che proseguono e concludono i percorsi di istruzione
Che questo abbia dei costi è di tutta evidenza. Che essi siano alti richiede di definire la scala alla quale ci si riferisce. Che non debbano essere più sostenuti richiede una valutazione delle altre tipologie di costi che deriverebbero, ad esempio, dalla mancanza di una adeguata quantità di soggetti in possesso delle competenze richieste dal mercato del lavoro, dal più alto numero di soggetti noti in grado di trovare lavoro e da quelli necessari a garantire protezione e coesione sociale.
Gli istituti professionali sono oggi impegnati nella valutazione dei risultati dei modelli organizzativi consolidati o in corso di sperimentazione e delle scelte operate in attuazione dei regolamenti sull’autonomia, sull’obbligo scolastico e sull’obbligo formativo. I primi risultati ottenuti, in un contesto da poco forte- -•, mente innovato e caratterizzato dalla ricerca di riferimenti certi anche per quanto riguarda le risorse ed il governo di sistema confermano come sia perseguibile l’obiettivo del successo scolastico e formativo per ognuna ed ognuno, attraverso la definizione di percorsi lunghi di istruzione per tutti, integrati anche con, interventi di formazione e di raccordo con il mondo del lavoro e fondati sull’analisi dei bisogni èducativi e formativi, sulla modularità della progettazione didattica e sulla necessaria flessibilità organizzativa.
Note
(1) G. Benvenuto, G.Rescalli, A.Visalberghi (a cura di), Indagine sulla dispersione scolastica, Milano, La Nuova Italia, 2000 • . -
(2) Sintesi della ricrerca Cirses (Centro di Iniziativa è di Ricerca sul Sistema Educativo e Scientifico) Roma IPSIA De Amicis Roma 2002
Giovanni Carlini
Dirigente scolastico IPSIA “Galilei” Frosinone
prof. Claudio Zanoni - 27-09-2002
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Come non essere d'accordo con quanto detto dal dirigente prof. Giovanni Carlini. E' una scelta politica quella sottesa alla proposta di riforma Bertagna. E' una scelta che rinuncia a investire su quei giovani che per per motivi vari - dal contesto socioambientale, a quello culturale fino alle differenze individuali - non riescono a seguire un percorso scolastico, mi si passi il termine, normale.
E' una scelta, a mio avviso, miope e spiegabile solo nella logica immediata dei tagli di spesa o in quella viziata da una visione sociale deterministica.
Una scuola del successo formativo è una scuola vincente, ma è meritata solo da una società che crede nella persona, che ha fiducia nelle differenze ( non ho detto " diversità ", perché il " deviare da.." ha in germe una discriminazione ), che non considera il lavoro " manuale " una bocciatura.
La didattica e gli studi di psicologia mettono oggi in evidenza come non si possa parlare di un'unica intelligenza, come ognuno di noi abbia il proprio stile cognitivo, il proprio talento. Ebbene gli istituti professionali ( e non solo naturalmente, ma tutte quelle scuole, quei dirigenti e docenti che svolgono con professionalità il proprio lavoro ) vogliono lavorare su quelle funzioni cognitive che una scuola " a senso unico " non vede, o meglio non vuole vedere. Recuperare gli allievi che hanno alle spalle degli insuccessi, che non hanno fiducia nel sistema scolastico, che spesso non hanno fiducia nemmeno in se stessi, è, come ricordava il dirigente Carlini, un obiettivo che molti istituti professionali si propongono. Recuperare le abilità di base essenziali - l'intelligenza linguistica e logica -, valorizzare quelle intelligenze che la scuola di solito snobba - l'intelligenza corporeo cinestetica, l'intelligenza spaziale, quella personale, vedi H. Gardner " Formae mentis " - è un impegno difficile, che si scontra quotidianamente con problemi più vari. L'autonomia scolastica sembrava, spero lo sia ancora, una strada che andava nella direzione giusta, che permetteva alle scuole di lavorare sul territorio con intelligenza e programmazione. Però, e concludo il mio commento, bisogna che la politica creda in questa scelta, bisogna che dica chiaramente agli operatori della scuola che idea di società ha e che uomo vuole per il XXI secolo. Grazie al prof. Giovanni Carlini per il suo stimolante e competente intervento.
prof. Claudio Zanoni docente di IIS " Luigi Carnacina " Bardolino ( VR ) |