Dopo scioperi generosi, manifestazioni combattive e anche ragionate, dopo una campagna di controinformazione difficile ed estenuante ecco il ben servito alla scuola elementare, come alcuni si attendevano con timore, come troppi forse speravano di esorcizzare.
Abbiamo perduto! Questa è la semplice sacrosanta verità, perduto su tutta la linea e le cose si faranno, d'ora in avanti ancora più difficili.
Questo è bene sapere anche se, proprio per il livello di arroganza esercitato e d'incompetenza didattica dimostrata (anche se si sciacquano la bocca di tutela della psicologia infantile) da parte della classe politica e da questa miseria di ministra, o dai vari pasdaran alla Cota pronti a sproloquiare con panzane inventate di sana pianta (tipo l'arretramento, assolutamente non dimostrato, dei bambini dopo l'introduzione dei team di maestri), sta ora a noi cominciare a "mettere i puntini sulle i".
Allora diciamo subito che la grande differenza della scuola primaria con gli altri, livelli d'istruzione era, in primo luogo, la conquista di una collegialità esercitata, innanzi tutto, attraverso le ore settimanali di programmazione che obbligavano a costruire una mentalità non individualista ed una grande competenza nel rapportarsi ai percorsi degli altri.
Perdere le ore di programmazione è la cosa peggiore che poteva capitare ai docenti e chi ha fatto questo non pagherà mai abbastanza per il danno provocato. Bisogna augurarsi che questo regime finisca al più presto e che non sia sostituito da un altro che magari è già pronto a ringraziarlo per il lavoro sporco già fatto, ma sia piuttosto disponibile a ripercorrere la strada, tutta in salita, di una ritessitura di questo vestito violentato della scuola.
La perdita delle pur poche ore di compresenza è poi altro tassello non relativo di questa scientifica riduzione a caserma della scuola di stato.
Vogliono sminuire le competenze e le conoscenze che i bambini fanno e vogliono poi favorire solo l'ingresso, a pagamento di operatori privati per le educazioni teatrali, musicali o informatiche, vogliono poi che chi più ha bisogno si arrangi come può.
Questa attenzione che nella scuola era rivolta alle difficoltà, ai bisogni, alle attese di tempi lunghi, svanirà in un soffio, saremo tutti più poveri, di relazioni e di saperi, di affetti negati ai bambini, di ore di "altra scuola" colorata e cresciuta da e con i bambini.
C'è poi il capitolo dell'ora di religione che questa ministra clericale non perde occasione, ogni giorno, in modo veramente indecente, per presentare come curriculare, come ora alla pari con le altre.
Non è così; la religione cattolica è ora facoltativa, se dei bambini non si avvarranno di essa, ed io mi auguro che cresca nel tempo il numero di coloro che rifiutano questo vecchio compromesso fascista tipico di una cultura totalizzante, ebbene essi godranno di due ore in meno alla settimana.
Su questa assurdità poi di due ore, quando addirittura negli anni '50 di un'ora si trattava, ci sarebbe molto da dire, ma qui si entra nel campo dei mezzucci già utilizzati per la divisione dell'8 x 1000 et similia.
La nostra ministra proprio non capisce che già con l'ultimo concordato fu soppresso il concetto che "fondamento e coronamento "dell'istruzione statale dovesse essere la formazione cristiano-giudaica (per utilizzare un termine sin troppo abusato dai clericali).
E' il caso qui di tornare ad una piccola citazione tratta da "Patti Lateranensi e piccola antologia della legislazione italiana", Dall'Oglio Editore, Varese, 1968. Pagine 51-52
"...L'espressione « fondamento e coronamento dell'istruzione » risale ai tempi del filosofo Giovanni Gentile, il quale, da ministro, nel 1923, la introdusse nei programmi della scuola elementare italiana. Secondo il Gentile la religione doveva essere insegnata nella scuola elementare come « filosofia inferiore », cioè come visione del mondo offerta da un sistema mitologico e perciò accessibile alla mentalità infantile. Scriveva che a lui non credente non premeva affatto che fosse insegnato nella scuola il dogma della Vergine-madre; ma, poiché la dottrina comprende anche questo dogma, diceva che egli doveva « avere il coraggio di tirar la conseguenza » che lo si dovesse insegnare. È ben vero che da questo « fondamento e coronamento » dogmatico dell'insegnamento pubblico poteva derivare la perdita « della responsabilità morale e intellettuale dell'uomo »; ma al Gentile bastava che la « libertà della ragione » fosse data dalla filosofia idealistica in quella scuola liceale che egli definiva « alimento dello spirito alle classi dirigenti » (Educazione e scuola laica, p. 133-134). La Chiesa ottenne da Mussolini, col Concordato del 1929, l'estensione del « fondamento e coronamento » a tutta l'istruzione pubblica: così l'insegnamento della dottrina cattolica entrò anche nelle scuole secondarie, inferiori e superiori."
Giustissimo, la Gelmini lì è rimasta e forse nessuno le ha detto che il loro "beatificato" Bettino Craxi fece un nuovo concordato (18 febbraio 1984) che, seppur ci ha regalato la religione alle scuole dell'infanzia - figuriamoci se la chiesa cattolica regalava qualcosa!) di fatto, con l'abolizione dell'anticostituzionale riferimento alla «sola religione dello Stato», abrogò l'articolo 36 del concordato fascista che testualmente recitava:
"L'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della Dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica e perciò consente che l'insegnamento religioso ora impartito nelle scuole pubbliche elementari abbia un ulteriore sviluppo nelle scuole medie, secondo programmi da stabilirsi d'accordo tra la Santa Sede e lo Stato..."
Si chiudeva allora un lungo percorso, già iniziato con la legge Casati che già allora introdusse la religione a scuola perché il ministro Casati riteneva (così sottolineava nelle sue istruzioni ministeriali) che l'insegnamento della religione contribuiva a inculcare nei fanciulli l'importanza dell'obbedienza verso i poteri costituiti, non per timore del castigo ma per ossequio al pubblico interesse che essi rappresentavano e tutelavano, in maniera non dissimile dall'obbedienza filiale.
Insomma mica tanto diverso dal nostro Sarkozy!
Sì e pure la Gelmini è rimasta attaccata ai programmi del 1955 (DPR del 14.061955 n. 503) che a questo proposito, recependo il concordato fascista allora vigente, recitavano appunto:
"L'insegnamento religioso sia considerato come fondamento e coronamento di tutta l'opera educativa. La vita scolastica abbia quotidianamente inizio con la preghiera, che è elevazione dell'anima a Dio, seguita dalla esecuzione di un breve canto religioso o dallo ascolto di un semplice brano di musica sacra. Nel corso del ciclo l'insegnante terrà facili conversazioni sul Segno della croce, sulle principali preghiere apprese (Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre, preghiera all'Angelo custode, preghiera per i Defunti), su fatti del Vecchio Testamento ed episodi della vita di Gesù desunti dal Vangelo..."
Il movimento deve apprestarsi per una nuova battaglia, si noti, assolutamente non disgiunta dal resto delle nostre piattaforme, per portare la facoltatività alla sua essenza e promuovere piuttosto una richiesta forte di formazione alla conoscenza delle culture religiose che non sia bypassata dai docenti di religione cattolica che, negli ultimi anni, si sono pure appropriati di quest'ultima formula per rendersi più graditi, ma solo ed unicamente dai docenti di base, segnatamente da chi promuove il lavoro dell'area storico-antropologica.
Insomma un lavoro lungo e durissimo ci attende con esiti ancora meno scontati. Lo faremo col pianto in gola e con la disperazione di chi tutto ha perduto, ma dobbiamo farlo assolutamente, necessariamente, solo così la comunità educante, fuori dai palazzi, può riconoscersi in un cammino che parte dalla carta del 1949 e attraversa i percorsi forti (e condivisi! mai dimenticarlo!) della riforma della scuola media del 1962 e arriva ai programmi dell'85.
Giuseppe Aragno - 14-12-2008
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Un articolo lucido, ricco di spunti di riflessione e di un esemplare realismo. Importantissimo, mi pare, il richiamo finale a un percorso che è nelle possibilità dei docenti e che può attenuare l'effetto devastante delle leggi Gelmini sui nostri ragazzi. Per quanto mi riguarda, abbiamo perso una battaglia - e la sconfitta era da mettere in conto - ma la guerra non è finita. I conti si fanno alla fine. |
Claudia Fanti - 15-12-2008
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Premetto che il rischio, quando si parla di buona politica scolastica e religione, in generale, è di umiliare e ferire, senza volerlo e senza esprimere giudizi su di essi, colleghe e colleghi che hanno storie personali di fede altissima; si rischia di far sentire un giudizio di valore negativo sul loro operato che spesso è splendido per onestà intellettuale e per competenze anche in campo di insegnamento della religione. Tali persone rispettano le fedi altrui e ci lavorano, come sulla propria, con estrema delicatezza e approccio etico e filosofico. Ecco, forse è questo il motivo per cui, al di là di una presa di posizione di difesa sacrosanta della scuola pubblica, nessuno va oltre, tranne pochi…e, senza forse, ritengo che nel nostro Paese sia manifestato un tabù che viene da lontano nel non volere affrontare con la dovuta profondità il tema dell’opportunità o meno di far lezione di religione a scuola…
Le famiglie, tra l’altro, soprattutto nella primaria, anche quelle atee o agnostiche, tendono a lasciare in classe i bambini e le bambine durante tale attività, perciò dovremmo rifletterne pacatamente i motivi, che non sono solo quelli della mancanza di attività alternative, in quanto nelle realtà in cui queste esistono modificano di poco il numero di iscritti alla frequenza… Rifletterne i motivi significherebbe entrare inoltre nel campo dell’antropologia culturale, non soltanto della storia italiana e della Chiesa, e sarebbe alquanto interessante scoprire chi siamo e perché siamo in un certo modo…
L’ articolo di Gabriele è lucidissimo, sapiente e realistico. Eppure credo che noi saremo morti da un pezzo, qui in Italia, prima che non si confonda più Chiesa con fede. Ne sono sempre più convinta. Sarà anche amara tale considerazione, tuttavia è sicuramente dentro la “storia", ma anche fuori e lontano da essa e spiccatamente italiana. Ecco perché nessuno sembra prendere realmente a cuore il problema. C'è poi la visione tutta di casa nostra, anzi casereccia, che "un po' di religione non ha mai fatto male a nessuno, anzi, se mai fa bene anche a chi non crede, perché lo rende più sereno nell'affrontare le difficoltà...". Dentro ogni famiglia e fra colleghe e colleghi di uno stesso Collegio ci sono miriadi di posizioni sull’argomento religione, piaccia o non piaccia. Da donna e da docente chiedo di indagare le ragioni di ciò non soltanto con un approccio da storici intellettuali…
La problematica dell'insegnamento della religione nel Paese, inoltre, va vista considerando varie angolazioni, perfino le meno riflessive, che ispirano i diversi protagonisti della scuola: c’è chi ha vera fede e non è in malafede, perciò ritiene tale insegnamento come indispensabile alla formazione globale della persona, quindi non lascerà mai tale convinzione in favore di una visione laica della questione; c’è chi non crede e insegna ugualmente religione, e lo fa perché così non perde la gestione delle ore di insegnamento di altre materie; c’è chi crede senza troppa convinzione, così lo fa perché se no viene meno a un dovere e si sente in colpa nel dire no a tale insegnamento; ci sono poi tante più sfumate posizioni, così come sempre ci sono nel non prendersi a cuore le questioni e le cose in generale...ci sono i ponzio pilato, ci sono gli indifferenti, quelli che sempre di più dicono "ma chi me lo fa fare" di imbarcarmi in una crociata...insomma l'Italia è pirandelliana...
Credo comunque che in questo momento più che alle divisioni dovremmo puntare all’unità delle teste più sensibili e spenderci prima su altri fronti, ma forse mi sbaglio…l’analisi storica di Gabriele ci espone una rivendicazione che viene da lontano, ma ancora ci vorrà tanto tempo per giungere nel porto di una scuola laica…io poi non credo alla storia delle religioni, credo di più in percorsi di filosofia trasversali alle materie per tutti i bambini e le bambine…percorsi che li facciano ragionare e riflettere sulle grandi domande, magari anche sulla questione religiosa, sui simboli religiosi che un territorio propone ovunque, e sull’uomo…credo che sia la famiglia a dover vivere, se lo desidera, secondo la propria fede e a dialogare coi piccoli su preghiere, riti, abitudini…
Certo lo spazio striminzito di una risposta è poco per dare giusto peso all’analisi di Gabriele, però ho voluto commentare, perché non mi piace che chi si spende a scrivere con tanta bravura si senta "solo" e non compreso…in realtà voglio dire che comprendo, e vorrei che tutti ragionassimo e dialogassimo anche su questo tema senza pregiudizi e senza timori atavici…
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